Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-01-2012, n. 1190 Rovina e difetti dell’immobile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’Arch. M.D. propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 10 ottobre 2008, che riformando quella di primo grado, lo ha condannato al risarcimento dei danni riportati dalla Cooperativa odierna intimata a seguito dell’attività svolta dal predetto quale progettista e direttore lavori dell’immobile realizzato dalla società, quantificando la condanna nel controvalore in euro di L. 35.000.000 nonchè del controvalore in euro di L. 69.790.000, oltre rivalutazione monetaria secondo ISTAT, rispettivamente dal 4.2.1999 e dal 6.6.2001 fino alla sentenza definitiva.

1.1. Secondo la Corte territoriale, "risulta, invero, dalla relazione 6.6.2001 che, essendosi posto il problema di ovviare allo sconfinamento, il M. presentò un progetto di variante, che prevedeva la riduzione dello spessore dei muri divisori interni da 30 a 20 centimetri, senza peraltro preoccuparsi di assicurare l’isolamento termico ed acustico delle villette (che nel progetto originario era assicurato da un intercapedine di lana vetro). E’, pertanto, fin troppo evidente la grave responsabilità del progettista che, non soltanto presentò un progetto originario non rispettoso delle distanza legali, ma trascurò anche di considerare nella variante al progetto un sistema d’isolamento sostitutivo di quello inizialmente previsto (così indirettamente consentendo all’impresa appaltatrice di lucrare sul maggiore costo di costruzione previsto nel capitolato e calibrato sul progetto iniziale). Sostiene, al riguardo, l’appellante che nessuna responsabilità sarebbe ravvisabile a suo carico, per avere egli presentato la variante dietro autorizzazione della cooperativa, cui sarebbe imputabile la scelta di ridurre lo spessore dei muri, da lui proposta in alternativa ad altre soluzioni. Ora, a parte ogni considerazione in punto di prova sufficiente della tesi dedotta, giova evidenziare che manca ogni specificazione circa la natura degli interventi alternativi asseritamente proposti, parimenti soddisfacenti 1 interesse della committenza alla esecuzione di manufatti legali. In ogni caso, è assorbente il rilievo che la variante fu necessitata da un errore progettuale (violazione delle distanze) e che anche la mancata previsione di un sistema adeguato d’isolamento tento- acustico, comunque compatibile con il ridotto spessore dei muri, non può che ricondursi ad un errore tecnico, per sua stessa natura non attribuibile alla committenza (che, del resto, nessun vantaggio conseguì in termini di riduzione di spesa, avendo corrisposto per intero il prezzo dell’appalto, commisurato al maggiore dimensionamento dei muri divisori ed all’applicazione del materiale isolante). Risulta, poi, dalla relazione 4.2.1999 che furono installate caldaie da 12.000 Kcal/h e non da 30.000 Kcal/h.

Altrettanto evidente appare, allora, la responsabilità del M., questa volta quale direttore dei lavori, per non avere vigilato sulla corretta esecuzione dell’appalto. Nè può ascriversi alla stessa committente la mancata verifica della minore potenza delle caldaie, non soltanto perchè si ignora se un osservatore non qualificato avrebbe potuto rilevare la difformità ma soprattutto perchè ogni controllo tecnico in ordine alla corretta esecuzione dell’appalto era stato demandato al direttore dei lavori. Non c’è, inoltre, dubbio che si versi in ipotesi di gravi difetti, imputabili al progettista – direttore dei lavori, incidendo significativamente l’assenza di isolamento termo-acustico e la ridotta potenza delle caldaie installate in difformità dal capitolato sulla fruibilità e sulla funzionalità dell’opera (Cass. 456/1999). Ne consegue l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione, versandosi nell’ipotesi di cui all’art. 1669 c.c. e trattandosi di vizi occulti.

In conclusione, incontestabile è la colpa professionale del progettista-direttore dei lavori sotto i profili esaminati. Fondato, appare, peraltro l’appello circa la liquidazione del danno da mancato utilizzo, effettivamente non sorretto da correlativa domanda (risulta, allora, assorbito il motivo relativo alla carenza di legittimazione attiva della cooperativa). Quanto agli interessi, effettivamente è tardiva la domanda proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni, essendo essi relativi al lucro cessante da mancata tempestiva disponibilità della somma dovuta a titolo extracontrattuale ed essendo, comunque, consentito emendare la domanda nei tempi di cui all’art. 183 c.p.c.. Spetta, peraltro, la liquidazione del danno emergente, sotto il profilo della svalutazione monetaria (Cass. 883/2002), con decorrenza dalla stima del danno (4.2.1999 per le caldaie e 6.6.2001 per i muri) fino alla sentenza definitiva. In parziale accoglimento del gravame, allora, il M. deve essere condannato al pagamento della somma di L. 6.979.000 (e non L. 11.029.000) per ognuna delle dieci unità abitative, a titolo di spesa per la realizzazione di pareti divisorie idonee (punto 3 della relazione 6.6.2001).

In realtà, le unità abitative interessate dai lavori di ripristino della muratura divisoria sarebbero otto (cfr. relazione 6.6.2001, pag 2. sesto rigo e pag. 4, settimo rigo), ma l’errore del Tribunale (pag. 6 della sentenza) non è correggibile in assenza di doglianza specifica". 1.2. L’intimata resiste con controricorso in cui chiede respingersi l’impugnazione.

2. Il ricorrente propone i seguenti motivi:

2.1. Violazione degli artt. 1218 e 2236 c.c. e chiede a questa S.C. "se la Corte territoriale, con la sentenza impugnata, abbia legittimamente, o meno, applicato i predetti articoli nel capo in cui ascrive a titolo di responsabilità del progettista le conseguenze di un progetto in variante in c.o. in atti, come accettato e presentato dal committente". 2.2. Violazione e/o omessa e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c. e chiede alla Corte se il giudice di appello "abbia legittimamente, o meno, applicato dette disposizioni nella parte in cui ha ritenuto non provati i fatti e le circostanze e dedotti e documentati da convenuto, in assenza di prova contraria e di specifica contestazione da parte dell’attrice appellata". 2.3. Violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 e chiede alla Corte se il giudice di appello "abbia correttamente o meno applicato detto art. 112 nel capo in cui, in assenza di domanda e di allegazione da parte della Cooperativa attrice, ha statuito la condanna del direttore dei lavori a titolo di responsabilità professionale". 2.4. Violazione dell’art. 1669 c.c., L. n. 10 del 1991, art. 36, L. n. 46 del 1990, artt. 2 e 3 e chiede alla Corte se il giudice di appello "abbia correttamente applicato dette disposizioni nella parte in cui ha statuito la responsabilità del ricorrente quale direttore dei lavori per le difformità dell’impianto termico riconoscendo la competenza in capo al medesimo, con riferimento all’eccezione di prescrizione e/o decadenza dell’azione". 3. Come raccomandato dal Collegio, viene adottata motivazione in forma semplificata.

4. E’ pervenuto atto di rinuncia al ricorso sottoscritto dal difensore del M. e, per accettazione, dal difensore della cooperativa resistente. Sulla base di detto atto, le parti hanno dedotto di rinunciare al giudizio di cassazione e la rinuncia risulta sottoscritta dai difensori delle parti, ma non anche dalle parti personalmente.

Tanto premesso, deve rilevarsi che, pur non essendo l’atto di rinuncia, per la mancata sottoscrizione delle parti, idoneo a determinare la estinzione del processo, esso documenta la sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente stesso a coltivare il giudizio, e pertanto l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile per la cessata materia del contendere, con la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra le parti costituite (Cass. n. 7242/2010; 5679/2006; 11821/1997).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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