Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-06-2011) 22-09-2011, n. 34447

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 21.10.2010 la Corte di Appello di Salerno confermava quella emessa in data 9.6.2008 dal Giudice monocratico del Tribunale di Nocera Inferiore che aveva condannato C. A., con circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena condizionalmente sospesa di mesi uno di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede con assegnazione di una provvisionale, avendolo riconosciuto colpevole del delitto p. e p. dagli artt. 40 cpv. e 590 c.p., art. 583 c.p., comma 1, "perchè, in qualità di proprietario del fabbricato sito in (OMISSIS) alla via traversa (OMISSIS), e, come tale, di garante della relativa situazione di pericolo, per negligenza ed imprudenza rappresentata dal mantenere in stato di grave fatiscenza il predetto immobile, omettendo di predisporre idonee misure atte ad impedire sia il pericolo di crollo di parti pericolanti dell’edificio, sia l’ingresso nell’area privata di persone estranee, sia, infine, di avvertimento per i terzi di passaggio del pericolo incombente, e, perciò per tale comportamento omissivo da ritenersi gravemente colposo e che avrebbe dovuto assumere per impedire l’evento lesivo, cagionava al minore R. D., il quale, introdottosi all’interno del cortile privato del predetto edificio, rimaneva travolto dalla caduta di una pesante porta in ferro che gli provocava lo schiacciamento e la conseguente frattura del femore destro, e, dunque, lesioni personali gravi rappresentate da un periodo di malattia superiore a 40 gg. e lieve indebolimento permanente dell’organo della deambulazione dovuto a mancanza di allineamento dei monconi femorali. Fatto che, adempiendo l’obbligo giuridico di impedire l’evento, non si sarebbe verificato (In (OMISSIS))". Il Giudice di primo grado, alla cui motivazione si rimetteva per relationem la Corte, aveva basato la colpevolezza del C. prevalentemente sulla deposizione del teste R.C., zio del minore accorso alle grida del medesimo in suo soccorso, il quale aveva riferito che il cantiere era completamente aperto e che chiunque aveva facile accesso al suo interno.

La Corte riscontrava tali assunti sulla scorta di fotografie ritraenti lo stato dei luoghi nell’immediatezza del fatto.

Avverso tale sentenza della Corte salernitana ricorre per cassazione C.A. deducendo la violazione di legge ed il vizio motivazionale. Assume che l’acquisizione probatoria (in particolare il contenuto delle deposizioni testimoniali assunte circa la messa in sicurezza del cantiere da parte dell’imputato) contrastava con la decisione di riconoscimento di responsabilità dell’imputato.

Si duole, altresì, della mancanza di motivazione in ordine alle modalità della dinamica dell’infortunio ovvero al mancato superamento logico della versione alternativa e preclusiva della dinamica offerta dalla Pubblica Accusa: rappresenta che gli stipiti della porta erano ancora saldi alle pareti, sicchè la porta non era caduta, bensì riposta dagli operai prima di iniziare i lavori.

Richiama la già eccepita culpa in vigilando dei genitori del bambino e l’interesse del teste R.C., zio del minore infortunato.

Reclama la prevalenza che andava data alla prova logica su quella testimoniale predetta inficiata da interesse.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche, manifestamente infondate e non consentite nella presente sede.

Anzitutto è palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che in buona patte hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile. Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). Peraltro le doglianze sono di puro fatto, come tali inibite nella presente sede di legittimità, laddove tendono a sovrapporre una diversa valutazione degli accadimenti e una diversa ricostruzione della vicenda rispetto a quelle motivatamente svolte dal Giudice di merito (circa la l’assenza di predisposizione da parte del prevenuto di cautele necessarie ad evitare che dal fabbricato fatiscente potessero derivare danni a terzi, la circostanza che gli stipiti della porta fossero saldi alle pareti e che la porta non fosse caduta ma riposta per terra dagli operai prima di iniziare i lavori) nonchè manifestamente infondate, dal momento che la motivazione addotta dalla Corte territoriale sui punti oggi riproposti è esaustiva ed esente da vizi logici o giuridici. L’accertamento della mancanza di recinzioni o di altro dispositivo di sicurezza che rendessero il fabbricato inaccessibile a soggetti non autorizzati è stato dalla Corte distrettuale effettuato non solo e non tanto sulla base della deposizione dello zio del bambino infortunato, quanto piuttosto in forza dell’oggettiva constatazione tratta dalla visione delle foto ritraenti i luoghi nell’immediatezza dei fatti, onde nessun dubbio può residuare in ordine all’attendibilità del teste e alla totale assenza di culpa in vigilando dei genitori del piccolo.

Del resto, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all’Interno della decisione (Cass. pen. Sez. 5, n. 39048 del 25.9.2007, Rv. 238215). Nè risulta rispettato il principio di c.d. autosufficienza del ricorso, costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, ma che trova applicazione anche nell’ambito penale, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi o allegazione di copia integrale di essi in modo da rendere possibile il completo apprezzamento del vizio dedotto (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 26.6.2008 n. 37982 Rv. 241023; Sez. 1, 22.1.2009, n. 6112, Rv.

24322).

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., sez. 2, 15.1.2008, n. 5994; Sez. 1, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. 4, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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