T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 10-10-2011, n. 7847Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

In data 5.4.2007 la S. s.r.l. presentava al Comune di Monte Porzio Catone richiesta di permesso di costruire per la realizzazione di un edificio residenziale, previa demolizione di preesistente fabbricato.

Il 28.6.2007 la società inoltrava al Comune, per il tramite del proprio procuratore, diffida a provvedere sulla domanda di permesso di costruire. Con determinazione dirigenziale n. prot. 9796 del 17.7.2007 il dirigente responsabile dell’Area Pianificazione e Gestione del Territorio, premesso che a seguito dell’adozione di variante al piano regolatore generale l’area oggetto del previsto intervento edificatorio è stata classificata zona B – sottozona B1 – edificata satura, disponeva di sospendere l’esame della domanda di permesso di costruire nelle more dell’approvazione regionale, riconoscendo l’obbligatorietà delle misure di salvaguardia previste dalla legge 3.11.1952 n. 1902.

Avverso il provvedimento inibitorio la S. ha presentato ricorso alla stregua delle seguenti deduzioni:

1) Ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. 6.6.2001 n. 380 – testo unico dell’edilizia, che ha ripreso l’articolo unico della legge 3.11.1952 n. 1902 – le misure di salvaguardia hanno efficacia fino a tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico di riferimento, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento è stato sottoposto all’approvazione dell’amministrazione competente entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione. La variante al piano regolatore generale di Monte Porzio Catone è stata adottata con delibera 4.8.2003 n. 29 del Consiglio Comunale; pertanto la sospensione dell’esame della domanda di costruire, avvenuta nel 2007, cioè oltre il triennio previsto per l’applicazione delle misure di salvaguardia, non è legittima. Il maggior termine di cinque anni non può essere considerato, perché in tal caso la delibera consiliare di adozione della variante sarebbe dovuta essere trasmessa alla Regione, ai fini dell’approvazione, entro un anno dalla pubblicazione; invece è stata trasmessa solo in data 23.5.2005, laddove la fase pubblicitaria era stata conclusa dalla pubblicazione il 30.9.2003 sul bollettino ufficiale regionale.

2) Il provvedimento impugnato viola l’obbligo legale della motivazione sufficiente, laddove non esplicita le ragioni del contrasto del titolo edificatorio richiesto dalla S. con lo strumento urbanistico in itinere.

3) Sotto l’aspetto formale, ulteriore profilo d’illegittimità è ravvisabile nell’omessa comunicazione del funzionario responsabile del procedimento, in contrasto con l’art. 20 del D.P.R. n. 380/2001 e con gli artt. 4 e 5 della L. n. 241/1990,.

Il Comune di Monte Porzio Catone si è costituito in giudizio e ha presentato memoria di controdeduzioni.

Parte ricorrente ha depositato memoria conclusionale.

La causa passa in decisione all’udienza del 7 luglio 2011.

Motivi della decisione

Occorre, innanzitutto, richiamare il principio enucleato da A.P. 7.4.2008 n. 2, secondo cui le disposizioni contenute nel testo unico dell’edilizia, approvato con D.P.R. 6.6.2001 n. 380, prevalgono sulle previgenti norme regionali con esse confliggenti.

Invero, l’art. 1, comma 1, del medesimo D.P.R.. n. 380/2001, stabilisce: "il presente testo unico contiene i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia", mentre a termini dell’art. 2, commi 1 e 3, "le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico" e "le disposizioni, anche di dettaglio, del presente testo unico, attuative dei principi di riordino in esso contenuti, operano direttamente nei riguardi delle regioni a statuto ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai principi medesimi".

Le suddette norme si muovono nella logica del terzo comma dell’art. 117 della Costituzione, secondo cui sono materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al "governo del territorio" e, "nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato".

L’art. 12, comma 3, del testo unico per l’edilizia ha inteso, invero, nel riprendere i contenuti sostanziali dell’articolo unico della legge n. 1902/1952, dettare, pur con norma apparentemente di dettaglio, una disposizione che ben può essere riguardata quale norma di principio – espressiva dell’esigenza di riordino del sistema che permea il testo unico – che, in armonia con i criteri della trasparenza, efficacia, celerità ed economicità dell’azione amministrativa e, in generale, con gli ordinari canoni di buona amministrazione e nell’ottica dei principi di semplificazione e di non aggravamento del procedimento, vale ad indurre le amministrazioni locali a definire tempestivamente l’iter procedimentale conseguente all’adozione degli strumenti urbanistici generali con il loro tempestivo invio agli organi deputati alla loro approvazione, correlando agli eventuali ritardi burocratici un regime di minor favore, volto, essenzialmente, ad evitare le strumentalizzazioni che un non sollecito esercizio dell’azione amministrativa renderebbe possibile e (con contenuti in certo modo sanzionatori delle spesso defatiganti lungaggini amministrative) a favorire una maggiore responsabilizzazione degli amministratori locali, in funzione anche, come cennato nella decisione di rimessione, dell’esigenza di tutelare il valore costituzionale della proprietà e delle connesse facoltà edificatorie.

In tale ottica va, quindi, letta la norma sollecitatoria contenuta nel comma 3 dell’art. 12 in esame, che limita a tre anni l’efficacia delle misure di salvaguardia qualora lo strumento approvato non venga inviato, entro l’anno dalla conclusione della fase di pubblicazione, all’amministrazione competente all’approvazione.

Ora, nel momento in cui il legislatore nazionale è intervenuto nella materia, assegnando alle norme contenute nel t.u. dell’edilizia volte al riordino della stessa il carattere di norme di principio (e tale, per le ragioni anzidette, appare la norma di cui si discute), devono ritenersi, per ciò stesso, abrogate le norme delle regioni a statuto ordinario con esse confliggenti; ciò in quanto, fino all’adeguamento delle Regioni a statuto ordinario alle norme di principio recate nel testo unico, le norme aventi tale portata in questo contenute sono destinate a prevalere sulle prime.

Il citato art. 12, comma 3, del T.U. n. 380/2001 prevale, dunque, sulle disposizioni di cui all’art. 5 della legge regionale del Lazio n. 24/1977 e all’art. 36 della L.R. n. 38/1999, le quali nel territorio laziale prevedevano per le misure di salvaguardia un termine di efficacia di cinque anni dall’adozione dello strumento urbanistico. Anzi la normativa regionale deve intendersi abrogata dalle disposizioni di principio di cui al D.P.R. n. 380/2001 (A.P. n. 2/2008 cit.).

Peraltro la disposizione statale di cui al predetto art. 12, comma 3, ammette la validità delle misure di salvaguardia nel più lungo termine quinquennale qualora la delibera di adozione dello strumento urbanistico sia stata inviata all’amministrazione competente per l’approvazione entro un anno dalla sua pubblicazione.

Al riguardo, va evidenziato che la pubblicazione degli strumenti urbanistici risulta costituita, secondo le previsioni dell’art. 10 della legge 17.8.1942 n. 1150 e successive modificazioni, da una sequenza di atti collegati. Per i piani regolatori generali e le loro varianti la pubblicazione non si risolve nell’inserzione del testo della delibera sul B.U.R. (che non è sufficiente ai fini della pubblicità legale), ma ricomprende ulteriori formalità, quali la pubblicazione di un avviso di deposito degli atti presso gli uffici comunali a disposizione del pubblico e il deposito stesso degli atti, i quali sono rilevanti ai fini della tempestività del ricorso (A.P. 8.5.1996 n. 2).

Così, la data da cui muove il termine per impugnare la previsione della strumentazione generale decorre dal momento conclusivo dell’ultima misura conoscitiva messa in atto.

A tale proposito, occorre richiamare che, secondo la giurisprudenza, la presunzione legale di conoscenza non ha luogo, ai fini del decorso del termine per la proposizione dell’impugnazione, sino a che l’intera fase della pubblicità legale non si sia perfezionata (Cons.St., IV, 19.1.1988 n. 3); il che ordinariamente avviene con riferimento alla scadenza del termine di pubblicazione dell’avviso di deposito degli atti presso gli uffici comunali (Cons.St., IV, 23.9.1998 n. 1173; id. 12.11.2002, n. 6278; T.A.R. Lazio, II, 4.6.2010 n. 15500; T.A.R. Lombardia, Brescia, 1.12.2004 n. 1743; T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 17.9.2009, n. 4977).

Pertanto, non è sufficiente per la decorrenza del termine la pubblicazione dell’atto di adozione sul B.U.R. se non sussiste la possibilità della piena conoscenza del piano, la quale presuppone l’esame di tutta la documentazione relativa allo stesso e perciò può aversi solamente mediante il deposito del piano medesimo a libera consultazione dei cittadini, con il relativo pubblico avviso nelle dovute forme di legge (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 22.4.2004 n. 406).

È vero che nell’ipotesi della procedura di approvazione del piano la procedura seguita, ossia la procedura cd. di "copianificazione" disciplinata dall’art. 66 bis della legge regionale del Lazio. n. 38/1999 ha carattere di specialità; e che il comma 9 del medesimo articolo sancisce che "l’efficacia del piano regolatore generale è subordinata alla pubblicazione nel BURL dell’avviso della avvenuta approvazione"; ma questa disposizione attiene all’efficacia del piano e non incide direttamente sul distinto profilo della piena conoscibilità legale: profilo in ordine al quale, per evidenti ragioni garantistiche attinenti all’effettività della tutela giurisdizionale, occorre attenersi al menzionato criterio generale.

Del resto, anche in giurisprudenza si sono rilevate significative ipotesi, pure in relazione alle diverse previsioni della legislazione regionale, nelle quali si è ritenuto di dover distinguere tra la data in cui il piano regolatore generale ha efficacia, e la data di perfezionamento degli adempimenti pubblicitari, che invece rileva ai fini della presunzione di conoscenza per la decorrenza del termine d’impugnazione (Cass.civ., II, 4.3.2008 n. 5892; Cons.St.,. IV, 11.12.1998 n. 1782).

Dunque la lettura normativa dell’ultima parte del comma 3° dell’art. 12 D.P.R. n. 380/2001, laddove contempla la validità delle misure di salvaguardia assunte nel quinquennio successivo all’adozione dello strumento urbanistico qualora questo "sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione", va intesa, nell’identificare il dies a quo, non soltanto con riferimento alla pubblicità della delibera comunale di adozione sul B.U.R., bensì alla conclusione dell’iter completo di pubblicazione di tutti gli atti inerenti la fase di adozione (considerato che solo da questo momento è possibile assumere piena conoscenza di essa).

In fattispecie la pubblicazione è terminata il 10.12.2004, con l’affissione all’albo pretorio comunale delle controdeduzioni amministrative alle osservazioni presentate sulla variante in itinere. Perciò la trasmissione, in data 23.5.2005, degli atti alla Regione per l’approvazione della variante è avvenuta entro un anno dalla "conclusione della fase di pubblicazione" di tutte le attività formali inerenti l’adozione dello strumento urbanistico; quindi le misure di salvaguardia potevano essere legittimamente assunte – com’è avvenuto nella circostanza, dacché il provvedimento inibitorio dell’esame del permesso di costruire chiesto da S. ha la data del 17.7.2007 – entro il termine di cinque anni dalla delibera di adozione (assunta nella seduta consiliare del 4.8.2003).

La motivazione della misura di salvaguardia è implicita alla stregua della riclassificazione della zona interessata dall’intervento edificatorio previsto, come definita nella variante al p.r.g., essendone dichiarata la saturazione edilizia.

Quanto alla censura di omessa comunicazione del responsabile del procedimento, il Collegio, premesso un richiamo al principio giurisprudenziale di economia dell’azione amministrativa, con la conseguente irrilevanza degli atti che si dimostrino inutili al fine normativo (in fattispecie l’omessa formale comunicazione non ha impedito alla società che aveva richiesto il permesso di costruire di interloquire in contraddittorio con l’Ufficio comunale competente, al quale aveva presentato sollecito e diffida a provvedere, il 28.6.2007), ritiene, in conformità con pronunciati del Giudice Amministrativo, che detta omissione non incide sulla legittimità dei provvedimenti assunti in materia, posto che, in caso di mancata indicazione di altro soggetto, ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge 7.8.1990 n. 241, comunque riveste ruolo di responsabilità il funzionario preposto all’unità organizzativa tecnicourbanistica competente alla trattazione della pratica (T.A.R. Campania, Napoli, VII, 9.4.2010 n. 1855; id. 13.10.2009 n. 5411; T.A.R. Marche 13.10.2001 n. 1651; T.A.R. Liguria, I, 18.4.2002 n. 446).

In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis) rigetta il ricorso in epigrafe.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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