Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-06-2011) 22-09-2011, n. 34444

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23.3.2010 del Tribunale di Fermo A. H. veniva riconosciuto colpevole di due delitti di furto aggravato di cui all’art. 624 c.p., art. 625 c.p., nn. 4 e 7: il (OMISSIS), approfittando di una momentanea disattenzione di G.R. che aveva appena finito di pulire la propria autovettura e stava effettuando analoga operazione sulla vicina auto della moglie, si era introdotto nella prima autovettura impossessandosi di due telefoni cellulari ed il successivo (OMISSIS), lungo la spiaggia di (OMISSIS), si era impossessato di un borsone lasciato incustodito da B. R. presso l’ombrellone e contenente una fotocamera ed un anello in argento. Seguiva, ritenuta la continuazione e con la contestata recidiva specifica infraquinquennale, la condanna alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed Euro 600,00 di multa.

L’imputato veniva riconosciuto da taluni testi (il teste L. lo aveva poi riconosciuto) stazionare sotto l’ombrellone del B. qualche attimo prima del furto e trovato in possesso dalla Forze dell’Ordine dell’anello di Argento riconosciuto dal predetto derubato. Il G. aveva visto il prevenuto passare qualche attimo prima di accorgersi dell’avvenuto furto e guardare dentro l’auto; il G., che poi riconobbe l’ A. nel corso delle indagini e del giudizio, persi no lo inseguì in bicicletta senza raggiungerlo e successivamente lo contattò per cercare di recuperare la refurtiva e l’imputato gli aveva assicurato il proprio interessamento in proposito. Tale sentenza veniva confermata dalla Corte di Appello di Ancona con sentenza in data 4.11.2010.

Avverso la pronuncia della Corte marchigiana ricorre per cassazione il difensore di fiducia di A.H. deducendo i motivi di seguito sinteticamente riportati.

1. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’art. 522 c.p.p., assumendo il difetto di contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 4 riguardo all’episodio del furto in danno del G.;

2. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione all’art. 516 c.p.p., con riferimento all’episodio di furto in danno del B., circa la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7 e per aver omesso di replicare alla specifica doglianza della difesa sul punto;

3. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine al diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche e all’eccessiva misura della pena inflitta.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e dev’essere respinto.

E’ palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.

Come si rileva dal capo d’imputazione riportato nell’intestazione della sentenza di primo grado, l’aggravante della "destrezza" è contestata nell’incipit della rubrica sia in fatto sia con la specifica indicazione della norma ad essa relativa ( art. 625 c.p., n. 4) e con palese riferimento ad entrambi i furti, mentre per quello in danno del B. l’aggravante della sottrazione di bene esposto alla pubblica fede (lasciato incustodito sotto l’ombrellone, ex art. 625 c.p., n. 7) è contestato in fatto in modo chiaro ed inequivocabile (cfr. Cass. pen. Sez. 5, n. 38588 del 16.9.2008, Rv.

242027), sicchè deve ritenersi che l’imputato sia stato posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante.

Adeguata e corretta nonchè esente da vizi logici o giuridici s’appalesa la motivazione addotta dalla sentenza impugnata nell’apprezzare la ricorrenza degli estremi delle aggravanti contestate e la validità della loro contestazione, sicchè non può ritenersi in alcun modo elusa la specifica doglianza mossa al riguardo già in sede di appello. Altrettanto infondata è la censura sub 3.

Infatti, la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p., potendo persino essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 c.p. le espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congnio aumento (tra le altre, Cass. pen., Sez. 6, n. 7251 del 11.1.1990, Rv. 184395; Sez. 2, n. 36245 del 26.6.2009, Rv. 245596).

La valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche – ovvero in ordine al giudizio di comparazione delle circostanze, nonchè per quanto riguarda in generale la dosimetria della pena – rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p. è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Evenienza che qui deve senz’altro escludersi avendo il giudice congruamente motivato con riferimento alla personalità del prevenuto desunta dai suoi plurimi precedenti penali specifici.

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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