Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-06-2011) 22-09-2011, n. 34442

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 8.11.2006 il Tribunale di Enna in composizione collegiale riconosceva la penale responasabilità di S. S. e B.L. in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 (detenzione al fine di cessione a terzi di cocaina), e condannava, esclusa l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 e concesse alla B. le circostanze attenuanti generiche, quest’ultima alla pena condizionalmente sospesa di anno uno di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa e lo S. a quella di anni tre e mesi tre di reclusione ed Euro 11.000,00 di multa, con le pene accessorie come per legge.

Il fatto, come esposto nelle sentenze di merito.

Gli operatori di P.G., nell’ambito di una perquisizione effettuata verso le ore 7.30 del (OMISSIS) presso l’abitazione di S.S. e B.L., si accorgevano che la minore B.R. si dirigeva verso il bagno con un maglione attorcigliato attorno ad un braccio. Tale comportamento insospettiva gli operatori che rinvenivano, all’interno del manica del maglione della minore due involucri, di cui uno contenente carta stagnola, con della polvere bianca e l’altro con degli ovetti Kinder, con all’interno 13 cartine contenenti polvere bianca.

Dalle analisi compiute dal Gabinetto di Polizia Scientifica della Questura di Enna emergeva che la sostanza era pari a 13,8 grammi e conteneva una percentuale di cocaina del 40% circa, pari a mg. 3,480.

Nel corso della successiva perquisizione domiciliare, vennero rinvenuti un bilancino di precisione, posto sopra un pensile della cucina ed un coltellino a serramanico, e si procette quindi all’arresto in flagranza dei due maggiorenni e della minorenne.

Il Tribunale riteneva provata la responsabilità dello S. in quanto, nonostante l’imputato avesse dichiarato di essere tossicodipendente e tale circostanza fosse stata confermata anche da B.L. e dal padre dello S., la quantità sostanza ritrovata, il fatto che fossero state trovate più confezioni in quattro involucri separati e diversi attrezzi per pesare e tagliare la droga deponevano inequivocabilmente per la loro destinazione allo spaccio, unitamente alla percezione di redditi assolutamente modesti.

Tale sentenza, nel resto confermata, veniva parzialmente riformata da quella in data 15.7.2010 della Corte di Appello di Caltanissetta solo quanto alla pena irrogata allo S. per il quale si ravvisava il vincolo della continuazione con i reati giudicati con altra sentenza della Corte territoriale, per l’effetto aumentando quella di cui all’impugnata sentenza di anni uno di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza della Corte nissena ricorrono per cassazione i rispettivi difensori di fiducia di S. S. e B.L..

Nell’interesse del primo si deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale (fino a sostenere la mera apparenza della motivazione) circa l’affermazione della sua penale responsablità senza indicazione delle ragioni per le quali gli elementi probatori conducessero a tale conclusione, senza alcuna considerazione delle censure difensive, in assenza degli elementi esplicativi in ordine alla presenza degli indici di spaccio nel caso concreto in luogo dell’uso personale e senza alcun accenno allo stato di tossicodipendenza del ricorrente e alla compatibilità dello stupefacente rinvenuto con tale stato.

Nell’interesse della B. si rappresenta la mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione contestandosi il ritenuto concorso nel reato e la consapevolezza dell’esistenza in casa dello stupefacente stesso.

Ci si duole della mancata spiegazione di come la ricorrente avesse fattivamente contribuito al disfarsi dello stupefacente e fosse stata consapevole della destinazione dello stesso allo spaccio e non già ad uso personale del compagno.

Motivi della decisione

Il ricorso di S.S. è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche, manifestamente infondate e non consentite in questa sede. E’ palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, vanamente contestata con argomentazioni del tutto inconsistenti e ripetitive.

Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. S191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109; Sez. 6, n. 20377 del 11.3.2009, Rv. 243838).

Invero la sentenza della Corte nissena, e prima ancora quella del Tribunale di Enna che con essa si fonde in un unicum inscindibile, ha fornito ampia e congrua motivazione, esente da vizi logici o giuridici; ha indicato elementi che deponevano per la non plausibilità della tesi difensiva di un esclusivo uso personale e quindi, di converso, per la destinazione allo spaccio dello stupefacente rinvenuto, nonostante lo stato di tossicodipendenza dell’imputato, atteso il numero (14) degli involucri separati contenenti la sostanza e la quantità della stessa e il suo valore, palesemente incompatibile con il modesto guadagno dichiarato (di 400 euro la settimana) con cui provvedeva al mantenimento della famiglia;

la presenza del bilancino di precisione e di un coltellino a serramanico usualmente adoperato per la preparazione delle dosi. E’ stato anche spiegato che mancava qualsiasi indicazione di immediatezza del consumo e ritenuta la destinazione allo spaccio sulla scorta del quantitativo valutato come "non indifferente" dello stupefacente detenuto in una al tentativo di dispersione dello stesso.

Tanto s’appalesa in perfetta linea – e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità – con l’orientamento di questa Corte in tema di detenzione di stupefacente ai fini di spaccio a seguito dell’introduzione nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, laddove è stato ritenuto che "In tema di stupefacenti, a seguito della modifica del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), introdotta con il L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 4 bis, il parametro della quantità costituisce, assieme alle modalità di presentazione della droga e ad altre circostanze dell’azione, uno dei possibili indici da cui desumere la destinazione ad un uso non esclusivamente personale, ed il relativo giudizio, se congruamente motivato, si sottrae al sindacato del giudice di legittimità" (Cass. pen. Sez. 6, 1.4.2008 n. 19788, Rv. 239963). Ne consegue che la pretesa del ricorrente di dare una lettura alternativa a quella fornita dalla Corte di merito delle circostanze del caso rimane preclusa in questa sede di legittimità dalla valutazione delle risultanze processuali secondo corretti criteri di metodo e con l’osservanza di canoni logici che presiedono alla forma del ragionamento e che hanno portato ad una motivazione che ha fornito una spiegazione plausibile e logicamente corretta delle scelte decisionali operate. E’ fondato, invece, il ricorso di B. L. essendo effettivamente la motivazione carente e manifestamente illogica.

Questa Corte ha ritenuto che in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso di persone nel reato vada individuata "nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone è richiesto un contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino la detenzione, l’occultamento e il controllo della droga, assicurando all’altro concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare".

(Cass. pen. Sez. 4, 10.4.2006, n. 21441, Rv. 234569 e successive conformi).

Ai fini della configurazione del concorso nel reato contestato, cioè, è necessario un positivo contributo alla custodia della sostanza e alla gestione del traffico illecito di spaccio posto in essere dal correo.

In particolare, con specifico riferimento al caso di specie, "il convivente del soggetto autore di attività di "spaccio" di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, consentendone l’occultamento, mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attività" (Cass. pen. Sez. 3, 10.12.2008 n. 9842, Rv. 242996).

La Corte di appello, nonostante i motivi di gravame dell’imputata sul punto, ha ritenuto provato il concorso ed una partecipazione della B. nell’illecita attività del convivente e quindi la sua responsabilità perchè ella era a conoscenza dell’attività di spaccio; perchè non aveva contrastato tale attività; perchè aveva concorso nel tentativo di utilizzare la figlia minore per disfarsi della droga.

Tale ultima affermazione della sentenza di appello non trova corrispondenza in quella di primo grado che attribuisce, invece, l’indicata condotta esclusivamente all’imputato S. nè la Corte di merito indica in alcun modo quale sia la fonte di tale diversa e decisiva circostanza processuale.

Quindi se la mera conoscenza dell’attività di spaccio era elemento ininfluente e per attribuire rilevanza al mancato contrasto di tale attività sarebbe stato necessario indicare la sussistenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento, di cui non v’è traccia nella sentenza impugnata, per l’integrazione del concorso del reato sarebbe stato necessario che la B. tenesse un comportamento non meramente passivo, agevolando, piuttosto, concretamente la detenzione della droga consentendone l’occultamento.

Su tale punto la motivazione è del tutto carente, poichè avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali, nel caso concreto, la sostanza stupefacente potesse ritenersi "occultata" sì da assicurare al correo una certa sicurezza.

Consegue l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di B.L. con rinvio ad altra sezione della Corte di d’Appello di Caltanissetta per nuovo giudizio. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di S.S. consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna di tale ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.L. con rinvio ad altra sezione della Corte di d’Appello di Caltanissetta.

Dichiara inammissibile il ricorso di S.S. che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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