Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-06-2011) 22-09-2011, n. 34441 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 20.9.2010 la Corte di Appello di Torino confermava la sentenza emessa in data 27.4.2010 del GIP del Tribunale di Vercelli che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva condannato E.A., con circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 ed 1 bis, per avere detenuto hashish per un peso complessivo di 306,570 grammi, suddiviso in tre panetti con principio attivo variabile tra il 6,66% e 7,08%, contenenti 846 dosi medie singole e 42,3 volte superiore al quantitativo massimo di soglia che, avuto riguardo al peso lordo complessivo e alle circostanze del rinvenimento, appariva destinato ad uso personale (commesso il (OMISSIS)).

L’imputato era stato colto dai Carabinieri mentre effettuava un’inspiegabile manovra di parcheggio dell’autovettura che conduceva in zona defilata rispetto al (OMISSIS): a bordo del veicolo gli operanti rinvenivano i tre panetti di hashish.

Avverso tale sentenza della Corte torinese ricorre per cassazione E.A., deducendo il vizio motivazionale "in relazione all’art. 192 c.p.p., comma 2". Assume al riguardo che l’impianto accusatorio si era retto solo su prove indiziarie e che non poteva dirsi integrato il reato contestato sulla scorta del mero dato quantitativo dello stupefacente che non era atto a far ritenere che la sostanza fosse in tutto o in parte destinata alla cessione a terzi.

Deduce, ancora, il vizio motivazionale in relazione all’"onus probandi", contestando le argomentazioni dell’impugnata sentenza circa la detenzione al fine di spaccio dello stupefacente, rappresentando l’assenza di "riscontri estrinseci e logici". Infine, denunzia la violazione di legge e il vizio di motivazione per inosservanza del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, essendo stata esclusa l’attenuante di cui alla citata norma in considerazione del solo dato quantitativo, ritenuto talmente rilevante da doversi ritenere assorbente rispetto alla valutazione degli ulteriori indici che consentono la concedibilità della stessa.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche oltre che manifestamente infondate.

E’ palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile, laddove ha dato conto con meticolosa e logica analisi dell’infondatezza di tutte le giustificazioni addotte dall’imputato e dalla sua difesa in ordine alla pretesa destinazione ad uso personale dello stupefacente, nonchè l’oggettiva rilevanza del quantitativo dello stupefacente rinvenuto ed occultato sull’auto, tale da escludere la concedibilità dell’impetrata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 3, comma 5.

Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecifidtà conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1 lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv.

216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv.

240109). Peraltro, i motivi si appalesano manifestante infondati poichè tendono ad indicare questioni in fatto o differenti valutazioni di risultanze processuali, in quanto simili indagini esulano dai poteri attribuiti al giudice di legittimità, al quale è preclusa la possibilità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito.

Del resto, il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. 4, 19.6.2006, n. 33424).

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., sez. 2, 15.1.2008, n. 5994; Sez. 1, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. 4, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636).

Quanto alla seconda censura, in particolare, la decisione impugnata risulta in perfetta linea con l’orientamento consolidato di questa Corte sul punto della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità ( D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5) secondo il quale, se il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa) deve al contempo negare la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti a escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità". E in un tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sè sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio (Cass. pen. Sez. 4, 21.11.2007, n. 47188:

da queste premesse, la Corte, sul punto, ha rigettato il ricorso dell’imputato avverso la sentenza di merito che aveva negato l’attenuante "de qua" apprezzando in modo particolare il quantitativo della droga, risultato pari a grammi 11 lordi di cocaina, con principio attivo di grammi 6,18; v. anche Sez. 4, 22.4.2007, n. 18357 e Sez. Un. N. 17 del 21.6.2000). Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

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