Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-01-2012, n. 1179 Accertamento Oneri deducibili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La sig.ra C.E., titolare della ditta Domus Night Club ricorre nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, riformando la sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso della contribuente avverso tre avvisi di accertamento relativi, rispettivamente, a IRPEF e SSN 1997, IRPEF 1998 e IRPEF e SSN 1999.

Il ricorso della contribuente si fonda su tre motivi. L’Agenzia resiste con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 17.11.11, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

Col primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, si censura l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alla utilizzazione della documentazione extracontabile rinvenuta presso la sede della ditta ai fini dell’accertamento di maggiori ricavi. La ricorrente lamenta che la Commissione Tributaria Regionale si è limitata a sostenere che la contabilità parallela (il cd.

"brogliaccio") sarebbe utilizzabile a fini accertativi come quella ufficiale, senza tuttavia illustrare le ragioni per le quali semplici appunti rinvenuti dagli accertatori – evidenzianti soltanto nominativi di persone e dati numerici e ritenuti in prime cure privi di efficacia probatoria – potessero considerarsi una contabilità parallela.

11 motivo è inammissibile per due ragioni. In primo luogo, perchè esso è carente di autosufficienza, in quanto nel ricorso non sono trascritti, per le parti rilevanti, i documenti ai quali, secondo il ricorrente, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato nel l’attribuire efficacia probatoria di contabilità parallela, nè risulta indicato in quale fase processuale detti documenti siano stati prodotti ed in quale fascicolo di parte essi si trovino. E’ infatti costante insegnamento di questa Corte (tra le tante, da ultimo, sent. 2966/11) che il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) – di indicare il contenuto del documento in questione, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso, e di indicare esattamente in quale fase processuale detto documento sia stato prodotto ed in quale fascicolo di parte esso si trovi. In secondo luogo, il motivo è inammissibile perchè esso impinge nel merito, in quanto si risolve nella contestazione della valutazione effettuata dalla Commissione Tributaria Regionale in ordine al contenuto degli appunti extracontabili rinvenuti dalla Guardia di Finanza e, quindi, non censura un vizio del percorso motivazionale del giudice di merito, ma richiede inammissibilmente alla Corte di cassazione di sostituirsi a tale giudice nell’esame delle risultanze istruttorie.

Col secondo motivo di ricorso si censura la statuizione della sentenza gravata secondo la quale la contribuente non avrebbe superato la presunzione di cui D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e si propongono congiuntamente due doglianze, una riferita al vizio di motivazione e una riferita alla violazione di legge e, in particolare, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2.

Con la censura relativa al vizio di motivazione la ricorrente lamenta che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di considerare che dagli estratti conto bancari risultavano movimenti ictu oculi non riferibili all’attività di impresa. La censura è inammissibile sotto un duplice profilo. In primo luogo, essa manca di autosufficienza, perchè nel ricorso non sono trascritti i documenti bancari da cui emergerebbero le risultanze asseritamente trascurate dalla Commissione Tributaria Regionale, nè risulta almeno indicato in quale fase processuale detti documenti siano stati prodotti ed in quale fascicolo di parte essi si trovino. In secondo luogo, la censura impinge nel merito, in quanto si risolve nella contestazione della valutazione effettuata dalla Commissione Tributaria Regionale in ordine alle risultanze degli estratti conto posti a base dell’impugnato accertamento tributario e, quindi, non censura un vizio dei percorso motivazionale del giudice di merito, ma richiede inammissibilmente alla Corte di cassazione di sostituirsi a tale giudice nell’esame delle risultanze istruttorie.

Con la censura di violazione di legge la ricorrente assume che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe violato la norma desumibile dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, secondo cui l’ufficio deve estrapolare dai conti bancari le poste che senza ulteriore indagine risultino non attinenti atl’attività esercitata. La censura è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi, in quanto la sentenza non si è pronunciata sull’esistenza o inesistenza del dovere dell’Ufficio di estrapolare dai conti le poste ictu oculi estranee all’attività aziendale, ma ha affermato, con un giudizio di fatto censurabile solo col mezzo di cui all’art. 360, n. 5, che il contribuente non ha superato la presunzione di imponibilità dei movimenti bancari emergenti dagli estratti conto (ossia, in altri termini, non ha provato che detti movimenti fossero estranei all’attività aziendale).

Col terzo motivo di ricorso si lamenta che la sentenza gravata non abbia accolto le doglianze della contribuente relative alla mancata quantificazione dei costi correlali ai maggiori ricavi accertati per il 1997 (sulla scorta della contabilità parallela) e per il 1998 e 1999 (sulla scorta della documentazione bancaria). Il motivo si articola in una duplice censura, perchè vi si lamenta:

– il vizio di omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (così qualificato nella rubrica del motivo) o di omessa pronuncia (così qualificato – senza peraltro alcun richiamo al n. 4 dell’art. 360 c.p.c. – nel corpo del motivo, pag. 13, rigo 3, e pag.

16, rigo 20, del ricorso) sul fatto decisivo della quantificazione e deduzione dei costi correlati ai maggiori ricavi accertati;

la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e art. 52 (ora 55) TUIR, nonchè 53 Cost. per avere il giudice di merito trascurato il principio secondo cui in sede di accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2 l’ufficio deve dedurre costi e oneri correlati ai maggiori ricavi accertati, anche in assenza di contabilità ed anche se l’accertamento dei maggiori ricavi si fondi su indagini bancarie.

La prima censura è in effetti qualificabile ai sensi del n. 3 e non del n. 4, art. 360 c.p.c., giacchè parla di omessa pronuncia su fatti, non di omessa pronuncia su domanda; essa è inammissibile perchè manca il momento di sintesi ex art. 366 bis c.p.c., necessario per l’ammissibilità di un motivo fondato sull’art. 360 c.p.c., n. 3, e perchè non specifica quali sarebbero i costi sulla cui mancata deduzione la sentenza sarebbe stata priva di motivazione.

Al giudizio di inammissibilità si dovrebbe peraltro pervenire anche se sì qualificasse la censura in esame come denuncia di omessa pronuncia, mancando il quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., necessario per l’ammissibilità di un motivo fondato sull’art. 360 c.p.c., n. 4, e non essendo stato trascritto in ricorso il passo delle controdeduzioni in appello (citate a pag. 11, penultimo rigo, del ricorso) in cui sarebbe stata riproposta in secondo grado, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 56, la questione della deduzione di costi e oneri correlati ai maggiori ricavi accertati.

La seconda censura, relativa alla pretesa violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e art. 52 (ora 55) TUIR, nonchè dell’art. 53 Cost., è infondata. Il dovere dell’ufficio di dedurre costi e oneri correlati ai maggiori ricavi accertati esiste infatti solo in relazione alle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, e non già in relazione a componenti negative astratte ed indeterminate (in questo senso, da ultimo, Cass. 5192/11: "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, dovendosi, peraltro, escludere l’automatica inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili, in quanto le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili"; Vedi anche Cass. 3995/09. che, pur ammettendo la determinabilità induttiva componenti negative del reddito, richiede pur sempre che le stesse siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti.

In definitiva devono disattendersi tutti i motivi di ricorso, che pertanto va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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