Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-01-2012, n. 1177 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3/35/06, depositata il 20 febbraio 2006, che, dichiarando inammissibile l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Roma 4, ha confermato il riconoscimento ad M.A.M., ex dipendente del C.N.R., del diritto al rimborso della ritenuta IRPEF operata dal datore di lavoro sulla parte del trattamento di fine rapporto costituita dagli interessi sui buoni postali fruttiferi utilizzati dal datore di lavoro quale forma di impiego per accantonare le quote di tfr, perchè ritenuta esente da Imposte.

Il giudice d’appello ha infatti ritenuto che il gravame, con il quale si assumeva che gli interessi maturati sui buoni postali fruttiferi erogati a titolo di trattamento di fine rapporto mantenevano tale medesima natura giuridica, e dovessero perciò essere assoggettati a tassazione ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 16 e 17 – t.u.i.r., prospettava una eccezione nuova, non sollevata in primo grado, e perciò inammissibile per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57.

La contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Motivi della decisione

Con il primo motivo l’amministrazione ricorrente, il denunciando violazione di legge, assume che nei giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione del silenzio rifiuto su istanza di rimborso non sarebbe precluso all’amministrazione, che in primo grado non si sia difesa nel merito, proporre appello fondato sulla corretta interpretazione delle norme regolative della materia; con il secondo motivo censura la sentenza in ordine al merito della spettanza del rimborso, su cui pure il giudice d’appello si era pronunciato, sostenendo che gli interessi sui buoni postali fruttiferi erogati dal datore di lavoro a titolo di trattamento di fine rapporto avrebbero la stessa natura dell’indennità di fine rapporto, e perciò sarebbero assoggettati a ritenuta IRPEF, ai sensi del t.u.i.r. del 1986, artt. 16 e 17, limitatamente alla differenza fra l’aliquota applicata su tutta l’indennità corrisposta dal datore e quella relativa alla ritenuta d’acconto operata al momento della riscossione degli interessi medesimi.

Il primo motivo del ricorso è fondato, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "nel processo tributario, quando il contribuente impugni il silenzio rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto, e l’amministrazione finanziaria può, dal canto suo, difendersi quindi "a tutto campo", non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto. Ne consegue che le eventuali "falle" del ricorso introduttivo possono essere eccepite in appello dall’amministrazione a prescindere dalla preclusione posta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, in quanto, comunque, attengono all’originario thema decidendnm (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto del rimborso), fatto salvo il limite del giudicato" (Cass. n. 11682 del 2007, n. 21314 del 2010).

Il secondo motivo è perciò inammissibile, ove si consideri che "qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, 1’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata" (Cass., sez. un., 20 febbraio 2007, n. 38 40).

Il primo motivo del ricorso va pertanto accolto, mentre il secondo motivo va dichiarato inammissibile, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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