Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-06-2011) 22-09-2011, n. 34467 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza del 12.6.2008, il Gup presso il Tribunale di La Spezia dichiarò J.M. e O.M.I. responsabili dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80, e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione – concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante per J. e applicato l’aumento per la contestata aggravante ed escluso l’aumento per la ritenuta recidiva specifica infraquinquennale per O. – diminuita la pena di un terzo per la scelta del rito, condannò J. alla pena di anni sei di reclusione ed Euro 30000 di multa, e O. alla pena di anni otto di reclusione ed Euro 40000 di multa.

Avverso tale pronunzia proposero gravame gli imputati, e la Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 3.6.2009, in parziale riforma della decisione di primo grado, eliminava nei confronti di J. la misura dell’espulsione dallo Stato, e confermava nel resto.

Ricorrevano per cassazione gli imputati, e la Corte Suprema di Cassazione, 6 Sezione, con sentenza del 18.5.2010, ritenuto che la sentenza impugnata non offriva un’esauriente risposta alle specifiche censure mosse con i motivi d’appello dall’ O. riguardo all’affermazione di responsabilità del prevenuto in ordine ai vari capi di imputazione al medesimo ascritti, e ignorava del tutto le doglianze relative all’applicato aumento di pena per l’aggravante contestata per un reato (sub 20) non addebitato al medesimo, e che anche le censure mosse da J.M. in reazione alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 erano fondate, annullava la sentenza impugnata e rinviava per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza del 22 ottobre 2010, giudicando in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza del Gup del Tribunale di La Spezia in data 12.6.2008, esclusa l’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, riduceva la pena a J.M. ad anni cinque mesi otto di reclusione ed Euro 26000 di multa, e confermava nel resto.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato J.M., deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento agli artt. 62 bis e 69 c.p.. Il primo giudice ha concesso le attenuanti generiche, operando un giudizio di equivalenza sull’allora contestata aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, senza esprimersi di conseguenza sull’entità di tale riduzione di pena. Alla Corte d’Appello era pertanto preclusa ogni valutazione di carattere di merito circa l’entità della riduzione da operare, dovendosi pronunciare solo ed esclusivamente in merito alla sussistenza o meno dell’aggravante, in riferimento alla quale la Corte di cassazione aveva annullato la sentenza. Per tale ragione, una volta esclusa correttamente l’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, la Corte d’Appello avrebbe dovuto operare la piena riduzione di pena prevista per effetto delle già concesse circostanze attenuanti generiche, secondo il principio del "favor rei" e del divieto di "reformatio in peius", senza operare alcuna ultronea valutazione di merito in punto pena, motivata per di più in modo contraddittorio e illogico sulla presunta gravità dei reati posti in essere dallo J..

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato O.M. I., deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) e e) errata interpretazione della legge penale, inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, e mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 125 e 546 c.p.p. in relazione al motivo d’appello avente ad oggetto la censura della condanna per l’aumento di pena per la contestata aggravante di cui al capo 20; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per errata applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e ai motivi d’appello aventi ad oggetto le censure delle condanne per i capi di imputazione nn. 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 13 e 15; 3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) errata interpretazione della legge penale, inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, e mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dalla sentenza e dagli altri atti indicati nel motivo d’appello in relazione all’art. 192 c.p.p. e al motivo d’appello avente ad oggetto la censura della condanna per i capi di imputazione nn. 12 e 17; 4) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dalla sentenza e dagli altri atti indicati nel motivo d’appello in relazione al motivo d’appello avente ad oggetto la censura per il capo di imputazione n. 21, e all’attendibilità delle dichiarazioni della coimputata B.C.L..

Entrambi i ricorrenti chiedono pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il ricorso di J.M. è infondato, e va rigettato.

Nei confronti dello J., la sentenza della corte d’Appello del 30.6.2009 è stata annullata ai fini di una rinnovata valutazione in ordine all’aggravante della quantità "ingente" di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2; la Corte d’Appello in sede di rinvio, ritenuto che il quantitativo di cocaina sequestrato a J. M., pari ad 800 grammi di prodotto puro, non può costituire ingente quantità, e, quindi, esclusa l’aggravante in questione determinava la pena in anni cinque e mesi otto di reclusione ed Euro 26000 di multa, ridotta la pena base per le già riconosciute attenuanti generiche, non ritenute nella massima estensione, sia perchè "le stesse per la gravità dei fatti posti in essere non gli sarebbero dovute essere concesse, e sia perchè la sola incensuratezza, a tal fine, non può essere considerata in assenza di elementi positivi da valutare".

Nel calcolo della pena operato dai giudici di appello a seguito dell’esclusione dell’aggravante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, non si ravvisa alcuna "reformatio in pejus".

E’ principio consolidato di questa Corte (Sez. U, sent. n. 40910/2005 Rv. 232066) che il giudice dell’impugnazione, ove accolga l’appello dell’imputato relativamente a circostanze o a reati concorrenti, anche se unificati dalla continuazione, ha l’obbligo di diminuire la pena complessiva irrogata e di rifissare la pena base in misura non superiore rispetto a quella determinata in primo grado, al fine di non violare il principio del divieto di "reformatio in pejus".

Deve tuttavia ritenersi consentito, in quanto rientrante nel potere valutativo del giudice circa la incidenza da attribuire alle circostanze attenuanti generiche in riferimento alla funzione regolatrice della adeguatezza della pena al caso concreto, che in appello, a seguito dell’accoglimento della richiesta dell’imputato di eliminazione di una aggravante, sia nuovamente formulato il calcolo della detta incidenza e utilizzato anche un parametro con effetti matematici non identici purchè la pena finale, ferma altresì la pena base, risenta della diminuzione dovuta alla eliminazione della aggravante (Cfr. Cass. Sez. 5, sent. n. 48036/2009 Rv. 245394).

Non si apprezza, quindi, nel calcolo della pena operato dalla Corte, l’errore evidenziato dal ricorrente.

Deve, poi rammentarsi che il computo della pena è esplicazione di un potere discrezionale del quale il giudicante deve dare conto al fine di consentire a questa Corte di esercitare la funzione di controllo che le è propria. Una volta che, però, si rinvenga una motivazione aderente ai dati processuali e che giunga a conclusioni che non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, esse non sono censurabili in Cassazione.

E, nella specie, non vi è dubbio che la Corte abbia agito a ragion veduta tenendo conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p. e, soprattutto, della gravità dei fatti.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto devono essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Il ricorso di O.M.I. va, invece, accolto nei soli limiti di seguito specificati.

Nei confronti dello O., la sentenza della corte d’Appello del 30.6.2009 era stata annullata, perchè priva di un completo e coerente supporto argomentativo, idoneo a dar conto delle ragioni della decisione in risposta alle specifiche censure mosse con i motivi d’appello, e per aver poi del tutto ignorato le doglianze relative all’applicato aumento di pena per l’aggravante contestata per un reato (sub 20) non addebitato all’ O..

Anche la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello a seguito di rinvio non fornisce motivazione alcuna circa la doglianza relativa all’applicato aumento di pena per l’aggravante contestata per il reato sub 20, non addebitato al ricorrente.

In accoglimento del primo motivo di ricorso, e limitatamente al trattamento sanzionatorio, s’impone pertanto l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Genova.

Nei motivi di ricorso riguardanti i capi di imputazione 12, 17 e 21 (sostanzialmente identici a quelli dedotti nel ricorso del 18.7.2009 avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova del 3.6.2009) vengono riproposte, in modo del tutto generico, le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame. I motivi in questione vanno, pertanto, considerati non specifici, per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità, conducente, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), nell’inammissibilità (Cass. Sez. 4 n. 5191/2000 Rv. 216473).

Le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano, poi, viziate da illogicità manifeste e sono infine esaustive, avendo risposto correttamente a tutte le doglianze contenute nell’atto d’appello in riferimento al giudizio di responsabilità per i capi di imputazione in questione, evidenziando quanto al capo 12) e al capo 17) che le dichiarazioni rese da C.d.L. e da M. P.F. sono attendibili e hanno trovato riscontro nelle intercettazioni telefoniche, e quanto al capo 21) che il coinvolgimento dell’ O. nell’attività di trasporto dello stupefacente di cui è destinatario si ricava dalle conversazioni telefoniche, nonchè da un servizio di O.C.P. dalla Stazione di Sestri Levante a quella di La Spezia a bordo del treno IC 611 Versilia, conclusosi con l’arresto della V. e della B., e che "il tentativo della B. di far intendere che il contenuto delle telefonate era strettamente personale non ha trovato riscontro nelle conversazioni, ma è smentito proprio dal contenuto della telefonata intervenuta tra l’ O. ed un cittadino italiano interessato all’arrivo dello stupefacente".

Il motivo di ricorso avente ad oggetto le condanne per i reati di cui ai capi di imputazione nn. 5, 6, 7,8, 9, 10, 11, 13 e 15, è infondato.

Con motivazione congrua ed esente da evidenti vizi logici (v. pagg.

13-15 della sentenza impugnata), la Corte ha infatti risposto anche ai motivi d’appello concernenti le altre imputazioni, in materia di ed. droga parlata, rilevando – in particolare – come tutti i soggetti in contatto con l’ O. fossero già a conoscenza degli elementi che costituivano l’oggetto dell’accordo, per cui non avevano necessità alcuna di domandare ogni volta il tipo di stupefacente ed il prezzo. E la stessa qualità dei soggetti (interessati al mercato della cocaina e in stretto contatto con l’ O.) e la stabilità delle relazioni tra gli stessi a garantire, quindi, la consapevolezza degli interlocutori in ordine all’oggetto dell’accordo, e a far ritenere validamente formatosi il consenso in relazione ai reati contestati, e a tutti gli elementi dell’accordo, come quantità, e qualità della sostanza, "anche se gli stessi non sono stati indicati tutti nelle conversazioni telefoniche intercettate".

Per quanto riguarda poi l’interpretazione che il Tribunale ha ritenuto di poter desumere dalle conversazioni intercettate, rileva il Collegio che essa non è irragionevole, rispetto alla ritenuta sussistenza del consenso formatosi tra le parti sulla qualità e quantità della droga e sul prezzo della stessa, nè l’ O. ha mai fornito una lettura alternativa del contenuto delle conversazioni in questione. La censura circa l’interpretazione delle conversazioni pur riguardando formalmente e in maniera del tutto generica l’ipotesi di manifesta illogicità dal testo del provvedimento impugnato, concerne in realtà valutazioni di merito, non sindacabili da questa Corte.

In ordine a tutti i motivi, escluso quello concernente il trattamento sanzionatorio, anche il ricorso di O.M.I. va, pertanto, rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di J.M. che condanna al pagamento delle spese processuali. Annulla con rinvio la sentenza impugnata relativamente a O.M.I. limitatamente la trattamento sanzionatorio e dispone trasmettersi gli atti ad altra Sezione della Corte d’Appello di Genova per nuovo giudizio sul punto. Rigetta nel resto il ricorso dell’ O.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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