Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-01-2012, n. 1175 Plusvalenze Redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate ricorrono per cassazione nei confronti di V.M.N. (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpef e Ilor relativo al 1996 in relazione alla plusvalenza relativa alla cessione d’azienda (farmacia) con costituzione di una rendita vitalizia, la C.T.R. Emilia Romagna rigettava l’appello dell’Ufficio affermando – per quel che in questa sede ancora rileva – che la rendita vitalizia ai fini della tassazione viene assimilata ai redditi da lavoro dipendente e che la plusvalenza non sarebbe determinabile, essendo indeterminabile il prezzo pagato attraverso la costituzione di rendita vitalizia a causa della incertezza della durata della suddetta.

Deve preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze essendo stato l’appello (depositato nel maggio 2005) proposta soltanto dall’Agenzia delle Entrate. E’ invece ammissibile il ricorso proposto dall’Agenzia sia perchè (a differenza di quanto sostenuto nel controricorso) con esso non si censura un accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito in relazione alla rendita vitalizia bensì, sotto il profilo giuridico, la ritenuta non sussumibilità della suddetta rendita tra i corrispettivi in ordine ai quali è possibile determinare la plusvalenza, sia perchè nell’unico motivo di ricorso sono facilmente distinguibili le censure per violazione di legge (in ordine alla configurabilità o meno della doppia imposizione vietata ed alla configurabilità o meno di una plusvalenza con riguardo al corrispettivo di cessione d’azienda rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia) da quella per omessa motivazione (in ordine alla mancata considerazione, da parte dei giudici d’appello, del contenuto della motivazione dell’avviso di accertamento).

Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1872 e 2697 c.c., D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 54, 55, 75 e 67, D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39, 40 e 67 nonchè artt. 116 e 112 c.p.c. oltre che vizio di motivazione, l’Agenzia ricorrente censura la sentenza impugnata rilevando che la rendita vitalizia può costituire il corrispettivo di una cessione d’azienda; che in tal caso è possibile determinare la plusvalenza calcolando, mediante capitalizzazione, il valore attuale della rendita in termini finanziari; che il divieto di doppia imposizione diventa operante solo in caso di concreta applicazione dell’imposta; che i giudici della C.T.R. non avevano considerato che nell’avviso di accertamento e nell’appello dell’Ufficio si affermava che, al fine di evitare doppia imposizione, l’Ufficio avrebbe annullato il cespite erroneamente dichiarato a titolo di reddito assimilato al lavoro dipendente.

La censura è fondata.

Secondo l’art. 54 nel testo vigente ratione temporis, costituisce plusvalenza il corrispettivo della cessione di azienda meno i costi non ammortizzati.

A norma dell’art. 1872 c.c., la rendita vitalizia può essere costituita a titolo oneroso mediante alienazione di un bene, essa pertanto può costituire il corrispettivo di un’alienazione patrimoniale e quindi anche il corrispettivo di una cessione di azienda.

Tale rendita, pur essendo una utilità aleatoria quanto all’ammontare concreto delle erogazioni che in base ad essa verranno eseguite o ricevute, ha un valore economico agevolmente accertabile in base a calcoli attuariali, come emergente dal fatto che le rendite vitalizie hanno un prezzo di mercato e che la capitalizzazione di esse è operazione pacificamente riconosciuta dall’ordinamento (vedi ad esempio la liquidazione della rendita in somma capitale da parte dell’Inail).

In proposito, è da rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, è configurabile una plusvalenza da avviamento commerciale, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 54, comma 3, anche nel caso di cessione a titolo oneroso di un’azienda il cui corrispettivo sia rappresentato dalla costituzione di una rendita vitalizia: ai fini dell’imputazione del corrispettivo, occorre infatti considerare il momento di stipulazione del contratto, ai sensi del D.P.R. n. 917 cit., art. 75, tenendo conto della natura intrinsecamente onerosa e della configurazione giuridica dell’atto traslativo, e prescindendo da clausole estranee al tipo contrattuale, senza che assuma alcun rilievo il carattere aleatorio della rendita, comunque determinabile sulla base delle tabelle di capitalizzazione risultanti dalla normativa fiscale (v. cass. n. 10801 del 2007).

E’ inoltre da evidenziare che nella specie non sussiste il rischio di doppia imposizione, posto che la doppia imposizione vietata si verifica solo nel momento della concreta liquidazione della "seconda" imposta e solo nel caso (nella specie non ricorrente) in cui l’amministrazione ritenga di aver diritto a ritenere il doppio pagamento.

Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, infatti, ai fini della configurabilità di un’ipotesi di doppia imposizione vietata non ha alcuna rilevanza l’avvenuta corresponsione, in relazione al medesimo fatto indice di reddito, di un altro tributo, atteso che il contribuente ha l’obbligo di corrispondere il tributo previsto dalla legge (senza possibilità di "scegliere", in alternativa, un diverso tributo), e pertanto non sono violati i principi di alternatività dell’imposta e/o del divieto di doppia imposizione allorchè l’amministrazione finanziaria richieda il versamento del tributo ritenuto dovuto, senza peraltro escludere la rimborsabilità dell’imposta erroneamente versata (v. cass. n. 18524 del 2010, in tema di vendita di immobile non soggetta ad Iva, in cui l’amministrazione aveva ritenuto non detraibile l’Iva erroneamente versata e richiesto il pagamento dell’imposta di registro senza peraltro escludere il rimborso della suddetta Iva).

Il ricorso del Ministero deve essere pertanto dichiarato inammissibile con compensazione delle relative spese (atteso che non vi è stata una difesa specifica sul punto da parte del controricorrente, diversa dalla difesa avverso il ricorso dell’Agenzia), mentre il ricorso dell’Agenzia deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito col rigetto de ricorso introduttivo. Atteso lo sviluppo della vicenda processuale nel merito, si ritiene di compensare le spese di primo grado e d’appello e di condannare il soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità come in dispositivo liquidate.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le relative spese. Accoglie il ricorso dell’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso introduttivo. Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il soccombente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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