Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-06-2011) 22-09-2011, n. 34462

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza del 19.12.2008, il Tribunale di Palermo dichiarò D. S.P. responsabile dei reati di cui agli artt. 81 e 648 c.p., e lo condannò alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 2000,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 3.3.2010, confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all’art. 546 c.p.p., lett. e) e art. 192 c.p.p. in relazione alla contestazione del fatto reato costituito dalla rapina di un carico di "Riso Gallo", presuntivamente commessa in un periodo oscillante tra il gennaio e il luglio 2001, in quanto della rapina non esiste neanche la denuncia della parte offesa, ma unicamente le generiche affermazioni del collaboratore di giustizia S., non accompagnate da alcun elemento di riscontro; 2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p., e quindi alla mancata concessione delle attenuanti generiche; 3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all’art. 81 c.p., in quanto l’aumento operato dalla Corte d’appello per l’unico episodio delittuoso residuale è uguale all’aumento operato dai Giudici di prime cure per i due episodi delittuosi contestati (sei mesi), mentre avrebbe dovuto essere inferiore a cagione dell’assoluzione da uno dei due episodi di reato inizialmente contestati.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Nel primo motivo di ricorso vengono riproposte, in modo del tutto generico, le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame; il motivo pertanto va considerato non specifico per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità, conducente, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), nell’inammissibilità (Cass. Sez. 4^ n. 5191/2000 Rv. 216473).

Le motivazioni svolte dal giudice d’appello non risultano, poi, viziate da illogicità manifeste e sono infine esaustive, avendo risposto correttamente a tutte le doglianze contenute nell’atto d’appello sia in riferimento al giudizio di responsabilità, che al trattamento sanzionatorio.

La Corte territoriale ha, quindi, evidenziato – in riferimento al giudizio di responsabilità – che l’imputato, pur sostenendo che gli stessi provenivano da non meglio precisati fallimenti, ha ammesso di aver ricevuto proprio i carichi di prodotti alimentari in questione, e di averli acquistati sottocosto; che, in ordine alla conoscenza della provenienza da reato della merce, l’imputato aveva certamente mentito, in quanto le sue dichiarazioni in ordine alla provenienza della merce erano rimaste prive di alcun riscontro. Lo S., poi, non solo lo aveva indicato come il ricettatore al quale l’organizzazione criminale, di cui egli faceva parte, consegnava la merce di tipo alimentare provento delle rapine perpetrate, ma aveva, altresì, specificato che egli pagava abitualmente la merce alla metà del costo di mercato, circostanza che trovava riscontro nelle stesse dichiarazioni dell’imputato.

Per quanto riguarda, poi, le censure riguardanti il diniego delle attenuanti generiche, le stesse sono generiche e manifestamente infondate. Rammenta a riguardo il Collegio che la concessione delle attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, nè l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento della esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento. Nella specie la Corte territoriale ha spiegato di non ritenere il meritevole delle invocate attenuanti per la sua negativa personalità, desunta dai suoi precedenti penali, di cui uno specifico per ricettazione, e perchè "anche il suo asserito positivo comportamento processuale risulta in realtà improntato dalla necessità di difendersi dalle evidenti prove acquisite a suo carico, essendosi egli limitato a rendere solo parziali ammissioni funzionali alla propria strategia difensiva". Si tratta di considerazioni ampiamente giustificative del diniego, che le censure del ricorrente non valgono minimamente a scalfire (Cass. Sez. 1, Sent. n. 46954/2004 Rv. 230591).

Correttamente la Corte, in considerazione della ritenuta esclusione di responsabilità per uno dei dure reati di ricettazione in continuazione, ha rideterminato la pena da infliggere in anni due mesi sei di reclusione ed Euro 1500 di multa, calcolando un solo aumento per la continuazione.

Anche i motivi in ordine alla determinazione della pena sono quindi manifestamente infondati, e il ricorso va dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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