Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-06-2011) 22-09-2011, n. 34438 Responsabilità penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26.5.2009 il Giudice monocratico del Tribunale di Marsala affermava la penale responsabilità di O.S. e O.A. in ordine al delitto di lesionagli art. 40 c.p., comma 2, art. 590 c.p., D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1, comma 5, lett. f) e art. 89, comma 2, lett. a) perchè, nella qualità di responsabili della ditta Ausonia S.r.l. di (OMISSIS), e quindi di datore di lavoro, per colpa specifica consistita nel non aver messo a disposizione dei lavoratori, intenti alla verniciatura dei container dei gruppi elettrogeni, attrezzature adeguate al lavoro da svolgere, ovvero adatte a tali scopi e idonee ai fini della sicurezza e della salute e, in particolare, una scala sprovvista di ballatoio e parapetto, e comunque nell’omettere di vigilare a che i lavoratori utilizzassero il trabattello munito di ruote in dotazione all’azienda, cagionavano a M.G., dipendente intento allo svolgimento dell’attività sopra descritta, lesioni personali giudicate guaribili in giorni sessanta e specificatamente consistite in "trauma contusivo della colonna vertebrale, frattura epifisi, metacarpo destro", a seguito della caduta dal tetto di un contenitore sul quale si trovava sprovvisto delle necessarie attrezzature (In (OMISSIS)). Per l’effetto il Tribunale, concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, stimate equivalenti alle contestate aggravanti, li condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di reclusione ciascuno.

Tale sentenza era parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Catania che, con sentenza in data 10.11.2010, sostituiva la pena detentiva con quella corrispondente pecuniaria.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di entrambi gl’imputati deducendo la violazione di legge (segnatamente degli artt. 40 e 590 c.p. e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35 e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 17) ed il vizio motivazionale per infedeltà agli atti del processo in riferimento al legittimo impiego di una scala a pioli. Assume che sarebbe stato necessario, previa l’esatta ricostruzione della dinamica dell’infortunio, verificare quali deficienze dello strumento impiegato (scala a forbice) lo rendessero inidoneo a garantire le necessarie condizioni di sicurezza e che neppure era certa la ricostruzione dei fatti come operata dal giudice a quo, sulla scorta delle stesse dichiarazioni del M..

Eccepisce, in secondo luogo, il decorso del periodo prescrizionale, poichè i periodi di sospensione calcolati dal giudice di appello in sentenza dal 2005 al 2008 non potevano superare, a norma dell’art. 159 c.p., n. 3, i sessanta giorni oltre il periodo di impedimento del difensore prevalentemente addotto per ottenere il rinvio.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili essendo le censure mosse manifestamente infondate. Quanto alla prima censura, è palese come la Corte territoriale non abbia fondato il proprio giudizio di conferma della pronuncia di condanna esclusivamente sulla inidoneità della scala, avendo precisato (pag. 4 sent.) che le istruzioni impartite ai dipendenti non avevano previsto in modo categorico l’uso esclusivo del trabattello e che nessuno, e tanto meno gli stessi imputati, si era mai preoccupato di verificare "che siffatte indicazioni fossero rispettate all’atto pratico durante le lavorazioni". Nè è pertinente il richiamo al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 15 che concerne lo spazio destinato al lavoratore, laddove forse il ricorso intendeva riferirsi al D.P.R. cit., art. 17 che riguarda le scale "fisse a pioli" (che devono essere munite a partire dai mt. 2,50 dal pavimento o dai ripiani di una solida gabbia metallica, laddove nel caso di specie la scala era di tutt’altro tipo (a forbice).

Piuttosto è da tener presente nella vicenda de qua il D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, art. 16 che prescrive nei lavori eseguiti ad un’altezza superiore a mt. 2, l’adozione di adeguate "impalcature e ponteggi o idonee opere provvisionali o comunque precauzioni atte ad eliminare pericoli di caduta di persone e cose" (cfr. Cass. pen. Sez. 4, n. 7604 del 16.4.1982, Rv. 154865).

Infatti, come correttamente rilevato dalla Corte, al datore di lavoro compete ex D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35 (norma cui rinvia implicitamente il predetto D.P.R. n. 164 del 1956, art. 16) non solo l’onere di scegliere le misure antinfortunistiche più idonee ed efficaci, ma anche di informare i dipendenti perchè i dispositivi vengano adoperati effettivamente ed in modo adeguato. Sicchè l’eventuale colpa concorrente del dipendente non può spiegare efficacia esimente atteso che le norme antinfortunistiche sono dirette a prevenire anche il comportamento imprudente, negligente o dovuto ad imperizia dello stesso lavoratore, che non può altresì disporre del proprio diritto alla salute (Cass. pen. Sez. 4, n. 12348 del 29.1.2008 Rv. 239253). Nè il comportamento del M. poteva qualificarsi come abnorme ed imprevedibile, essendo risultata conforme ad una prassi seguita anche da altri dipendenti e quindi contrastabile e prevenibile.

Peraltro i diffusi argomenti del complesso motivazionale della sentenza impugnata non appaiono seriamente contestati dal ricorso in esame che invece appare insistere su di una ricostruzione del fatto imperniata su una presunta incertezza del ruolo causale della scala che, come inizialmente precisato, non presenta alcuna attinenza specifica con le argomentazioni motivatorie di merito.

Benchè la ritenuta inammissibilità dei ricorsi inibisca a monte l’estinzione del reato per prescrizione, è opportuno sottolineare che i periodi di sospensione che implicano la riduzione a 60 gg. massimo ai sensi dell’art. 159 c.p., n. 3, sono solo quelli che si dipartono dall’udienza del 21.6.2006, in quanto la legge modificativa delle norme sulla prescrizione risale al 7.12.2005 (n. 251): infatti le nuove disposizioni in tema di prescrizione, di cui all’art. 159 c.p., comma 1, n. 3, introdotte dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6, comma 3, non si applicano con riferimento ai rinvii del dibattimento già disposti nel giudizio di merito per un periodo superiore ai sessanta giorni (Cass. pen. Sez. 3, n. 579 del 13.12.2005, Rv. 232660).

Inoltre, quanto all’astensione collettiva dalle udienze, quantunque tutelata dall’ordinamento mediante il riconoscimento del diritto al rinvio, non costituisce, tuttavia, impedimento in senso tecnico, in quanto non discende da un’assoluta impossibilità a partecipare all’attività difensiva. Ne consegue che, in tale ipotesi, non si applica il limite massimo di sessanta giorni di sospensione al corso della prescrizione, che resta sospeso per tutto il periodo del differimento (Cass. pen. Sez. 1, n. 25714 del 17.6.2008, Rv. 240460 e altra successiva conforme).

Consegue un complessivo periodo di sospensione non inferiore ad anni uno, mesi dieci e giorni 24, sicchè il termine prescrizionale di anni sette e mesi sei, previsto per il reato contestato, spirerebbe non prima del 21.6.2011.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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