Cass. civ. Sez. V, Sent., 27-01-2012, n. 1165 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Avellino, nel giudizio promosso dalla s.ooop. a r.l. La Folgore con l’impugnazione dell’avviso di rettifica, ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per l’anno 1991, con il quale veniva contestata l’omessa contabilizzazione di ricavi e non venivano riconosciute in deduzione spese non inerenti all’attività della società e spese relative ad armi non di competenza, sulla base di quanto rilevato nel verbale di constatazione della Guardia di finanza in ordine alle movimentazioni bancarie di alcuni soci, che "avevano incassato su propri conti pagamenti di clienti per operazioni di vigilanza svolte in nero".

Il giudice di secondo grado, premesso che la Commissione provinciale aveva accolto solo parzialmente il ricorso, non ammettendo in detrazione alcune spese, ha infatti ritenuto che le movimentazioni bancarie di alcuni soci non erano "state documentate come prestazioni in evasione da parte della società e non potevano esser imputate ad essa senza un riscontro oggettivo tra i movimenti di capitali di terzi, anche se facenti parte della società, e prestazioni in nero della società". Correttamente non si era ritenuto conferente l’accertamento penale a carico di alcuni dirigenti della società "senza un collegamento certo e inconfutabile tra i movimenti bancari operati dagli stessi e prestazioni in nero della società. Nella sentenza di secondo grado che aveva riformato la decisione della Commissione provinciale richiamata, dall’ufficio, poi, si legge che dagli atti del processo penale "si evince che, essenzialmente, gli esattori imputati si sarebbero indebitamente appropriati di somme della società, sicchè non sembra ragionevole pretendere di tassare in capo alla stessa, che assume connotazione di parte lesa, i ricavi che le sono stati sottratti".

Nei confronti della decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

La società contribuente non ha svolto attività nella presente sede.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 37 e 39, e insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia, l’amministrazione ricorrente, rilevato che nelle scritture contabili della società non era stata riscontrata traccia delle some, di spettanza della stessa, che alcuni soci e dipendenti erano sospettati di aver distratto, e che dalle indagini bancarie erano emerse cospicue movimentazioni di denaro – in relazione alle quali gli indagati non avevano saputo fornire giustificazioni, ammettendo anzi taluni di essi che sui propri conti correnti vi erano somme riscosse dai clienti della cooperativa, e di aver contemporaneamente emesso assegni bancari nei confronti di quest’ultima tratti sui propri conti correnti -, osservava che l’Ufficio aveva perciò dedotto come le riscossioni in questione si riferissero a prestazioni in nero. Nè nella contabilità della contribuente era stata riscontrata documentazione di supporto delle note di credito, risultanti dal verbale di constatazione a fondamento degli avvisi, emesse dalla società nei confronti di alcuni clienti.

L’Ufficio aveva dunque assolto l’onere probatorio su di esso incombente, atteso che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 legittima l’amministrazione a procedere alla ricostruzione analitico induttiva dei ricavi utilizzando presunzioni semplici, purchè, come nella specie, gravi, precisi e concordanti.

Il ricorso è inammissibile.

In data 9 agosto 2011 l’Agenzia delle entrate ha depositato richiesta, avanzata il giorno precedente all’amministrazione postale, di duplicato della ricevuta di ritorno del ricorso per cassazione – non allegata al ricorso stesso e non depositata – spedito con raccomandata del 19 giugno 2006 al curatore fallimentare della società contribuente.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., o della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario da notizia al destinatario dell’avvenuto compimento delle formalità di cui all’art. 140 cod. proc. civ., è richiesta dalla legge esclusivamente in funzione della prova dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio. Ne consegue che l’avviso non allegato al ricorso e non depositato successivamente può essere prodotto fino all’udienza di discussione di cui all’art. 379 cod. proc. civ., ma prima che abbia inizio la relazione prevista dal comma 1 della citata disposizione, ovvero fino all’adunanza della corte in camera di consiglio di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ., anche se non notificato mediante elenco alle altre parti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., comma 2, in caso, però, di mancata produzione dell’avviso di ricevimento, ed in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, il ricorso per cassazione è inammissibile, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.; tuttavia, il difensore del ricorrente presente in udienza o all’adunanza della corte in camera di consiglio può domandare di essere rimesso in termini, ai sensi dell’art. 184-bis cod. proc. civ., per il deposito dell’avviso che affermi di non aver ricevuto, offrendo la prova documentale di essersi tempestivamente attivato nel richiedere all’amministrazione postale un duplicato dell’avviso stesso, secondo quanto previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 6, comma 1" (Cass. sez. un., 14 gennaio 2008, n. 627).

Una prova siffatta non è stata fornita dalla ricorrente.

Si è d’altronde chiarito che qualora la notificazione dell’atto processuale, "da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie: in applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile l’appello rinotificato – in seguito alla riattivazione del procedimento notificatorio effettuata, successivamente alla scadenza del termine lungo, dopo pochi giorni dalla conoscenza dell’esito negativo del primo, tempestivamente chiesto – presso il domicilio eletto dall’avvocato e dalla parte nel luogo sede dell’ufficio giudiziario, il cui cambiamento non era stato comunicato alla controparte" (Cass. sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352).

Non vi è luogo a provvedere sulle spese, considerato il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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