Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-06-2011) 22-09-2011, n. 34437

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 6.7.2009 il Giudice monocratico del Tribunale di Palermo affermava la penale responsabilità di L.B.N. e B.F. in ordine al reato di cui agli artt. 110, 81 e 624 c.p., e art. 625 c.p., n. 7, art. 61 c.p., n. 11 così riqualificato il fatto originariamente contestato sub art. 624 bis c.p. (impossessamento di vari oggetti di proprietà della ditta Dusman sottraendoli dal deposito sito all’interno della struttura ospedaliera (OMISSIS)) e, concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, li condannava alla pena condizionalmente sospesa di mesi sei di reclusione ed Euro 160,00 di multa ciascuno. Tale sentenza veniva parzialmente riformata da quella in data 31.3.2010 della Corte di Appello di Palermo che riteneva la prevalenza delle circostanze attenuanti e riduceva la pena inflitta. Avverso tale sentenza della corte Palermitana ricorre per cassazione il difensore di fiducia del solo B.F. deducendo i seguenti motivi.

1. L’erronea applicazione dell’art. 625 c.p., n. 7, del quale non sussistevano i presupposti e cioè, secondo la giurisprudenza di legittimità, la mancanza di recinzioni o altre forme di protezione sulla cosa.

2. La nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p. per inosservanza dell’art. 517 c.p.p. per la mancata contestazione della circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7. 3. L’inosservanza del disposto dell’art. 604 c.p.p., poichè, non era stata dichiarata nulla la sentenza di primo grado o, almeno, non era stata esclusa, ai sensi del 2 comma della detta norma, l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, non contestata ritualmente.

4. La contraddittorìetà e manifesta illogicità della motivazione, laddove si ipotizza in via del tutto congetturale, nemmeno riscontrata dalle dichiarazioni del teste C., l’esistenza di una chiave "adulterina" ovvero la presenza di un terzo complice rimasto ignoto.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile poichè le censure mosse sono aspecifiche e manifestamente infondate e comunque non consentite in questa sede.

Quanto alla censura sub 1. Questa non risulta sia stata prospettata in sede di appello, onde sarebbe inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3; inoltre ne è palese la manifesta infondatezza, poichè la circostanza di cui all’art. 625 c.p., n. 7 è riferita all’asportazione di oggetti dall’interno di uno stabilimento pubblico (struttura ospedaliera), mentre la giurisprudenza richiamata dal ricorrente attiene alla sottrazione di beni esposti alla pubblica fede.

Gli ulteriori motivi sono palesemente aspecifici dal momento che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.

Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).

Peraltro le argomentazioni difensive addotte per controdedurre alle congrue e corrette spiegazioni della Corte circa la mancata violazione del principio di cui all’art. 521 c.p.p. sono nettamente inconsistenti, avuto riguardo alla specifica indicazione nel capo d’imputazione del fatto della sottrazione degli oggetti "dal deposito sito all’interno della struttura ospedaliera Civico di Palermo" che vale ad integrare, a sufficienza, l’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7 e dal quale l’imputato fu messo ab initio in condizioni di difendersi (come correttamente osservato già dalla Corte territoriale che ha richiamato il costante orientamento sul punto della giurisprudenza di legittimità) e si è adeguatamente difeso anche nel giudizio di appello.

Da ultimo, è palese come non sia una mera congettura quella dell’uso di chiave falsificata o dell’ausilio di complice rimasto ignoto per accedere al deposito, al momento che, avendo il teste C. riferito che detto deposito era chiuso a chiave ed essendo pacifica l’asportazione di oggetti dal suo interno, trovati in possesso di entrambi gl’imputati che si erano spartiti il bottino, è consequenziale in modo diretto ed univoco nonchè probatoriamente incontestabile la deduzione logica effettuata dal Giudice a quo. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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