Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 27-01-2012, n. 1151 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il giudice del lavoro del tribunale di Marsala, con sentenza del 16.6.2006, dichiarava il difetto di giurisdizione sulla domanda proposta da C.R., già dipendente dell’IPAB "Asilo M.A. Infranca" di (OMISSIS), quindi incorporata nell’ASSAP Infranca San Giacomo, di condanna al pagamento di Euro 14.002,91 a titolo di differenze retributive e TFR, maturate in dipendenza del rapporto di lavoro subordinato intercorso dal 5.1.1993 al 13.6.1998.

Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 20.11.2009, rigettava l’appello proposto dalla C..

Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

La parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con unico motivo la ricorrente denuncia la erronea applicazione del D.P.C.M. 16 febbraio 1990 – violazione art. 360, comma 1, n. 1 e 3 e 5 insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo non è fondato.

Il tema della natura giuridica degli enti di assistenza e beneficenza è stato affrontato, con la sentenza 7 aprile 1988, n. 396, dalla Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità della L. 17 luglio 1890, n. 6972, art. 1, che definiva pubbliche le istituzioni regionali ed infraregionali di assistenza e beneficenza, osservando che fa detta normativa appariva, ormai, contraria al principio pluralistico cui si ispira la Costituzione, oltre che alla nuova realtà sociale.

Con la conseguenza che, in questo mutato contesto, le istituzioni di assistenza e beneficenza non potevano che essere considerate pubbliche o private, a seconda delle specifiche caratteristiche organizzative e strutturali in concreto sussistenti.

Sulla base di questa sentenza, la Corte di legittimità ha ritenuto:

a) che fosse compito del giudice ordinario, chiamato a risolvere la questione di giurisdizione, l"accertamento della natura pubblica o privata dell’istituzione già appartenuta a quelle di assistenza disciplinate dalla L. n. 6972 del 1890; b) che l’accertamento stesso dovesse essere compiuto tenendo conto delle concrete caratteristiche proprie delle istituzioni prese in considerazione, facendo ricorso ai criteri tradizionalmente indicati dalla giurisprudenza ai fini della distinzione tra enti pubblici e privati, a prescindere dalle denominazioni assunte e dalla stessa volontà degli organi direttivi (Cass. S.U. 18 novembre 1988 n. 6249; Cass. S.U. 29 marzo 1989 nn. 1543, 1544, 1545; Cass. S.U. 13 luglio 1989 n. 3283; Cass. 26 ottobre 1989 n. 4403; Cass. S.U. 19 dicembre 1989 nn. 5680 e 5681). In data 16 febbraio 1990, il Presidente del Consiglio dei Ministri emise un decreto, contenente la direttiva alle Regioni in materia di riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato alle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza a carattere regionale ed infraregionale (G.U. n. 45 del 23.2.1990).

Nel preambolo del decreto, si faceva espresso riferimento, non soltanto alla sentenza costituzionale n. 396 del 1988 ed al D.P.R. n. 616 del 1977, art. 14, riguardante la delega alle Regioni delle funzioni amministrative degli organi dello Stato concernenti le persone giuridiche di cui all’art. 12 c.c., operanti in materia di assistenza e beneficenza pubblica, ma anche all’esistenza di principi generali dell’ordinamento, che consentivano di qualificare come pubblica o privata un’istituzione.

Enucleando da tali principi criteri specifici, il decreto stabilì tre categorie di enti, dei quali doveva essere riconosciuto il carattere di istituzione privata: 1) gli enti a struttura associativa, per la cui sussistenza debbono ricorrere congiuntamente i seguenti requisiti: a) costituzione dell’ente per iniziativa volontaria dei soci o di promotori privati; b) esistenza di disposizioni statutarie che attribuiscano ai soci un ruolo qualificante nel governo e nell’amministrazione dell’ente, nel senso che i soci provvedano alla elezione di una quota significativa dei componenti dell’organo collegiale deliberante; c) esplicazione dell’attività dell’ente anche sulla base delle prestazioni volontarie dei soci; 2) quelli promossi ed amministrati da privati, anche questi subordinati alla compresenza di tre requisiti: a) atto costitutivo o tavola di fondazione posti in essere da privati; b) esistenza di disposizioni statutarie che prescrivano la designazione, da parte di associazioni o di soggetti privati, di una quota significativa dei componenti dell’organo deliberante; e) che il patrimonio risulti prevalentemente costituito da beni risultanti dalla dotazione originaria o dagli incrementi e trasformazioni della stessa, ovvero da beni conseguiti in forza dello svolgimento dell’attività istituzionale; 3) infine, gli enti di ispirazione religiosa.

Il D.P.C.M. fu impugnato davanti alla Corte Costituzionale, con denuncia di conflitto di attribuzioni dalle Regioni Emilia – Romagna e Toscana, ma fu ritenuto legittimo dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 466 del 16 ottobre 1990.

La Corte, dopo aver rilevato che le IPAB non erano enti dipendenti dalle Regioni e che le funzioni a queste ultime spettanti riguardo alle prime rientravano tra quelle delegate e non tra quelle loro trasferite dallo Stato – (di qui, la legittimità del decreto), ribadì che la qualificazione come privata di un’istituzione comportava un’attività di mera verifica di una situazione già esistente, senza esercizio alcuno di discrezionalità, tanto da poter essere compiuto in sede giudiziale.

Era, in tal modo, confermato l’orientamento di queste Sezioni Unite, secondo il quale avevano ad oggetto diritti soggettivi, non soltanto le controversie in cui fosse in gioco l’esistenza di una IPAB, ma anche quelle concernenti il modo di esistere dell’istituzione; cioè la sua natura pubblica o privata e, quindi, l’individuazione della disciplina in concreto applicabile (Cass. Sez. un. ord. 6.5.2009 n. 10365; Cass. Sez. un. 2.12.2008 n. 28537; Cass. Sez. un. ord. 16.5.2008 n. 12377; Cass. Sez. un. ord. 20.2.2008 n. 4291; Cass. 19.5.2003 n. 7843).

Nel caso in esame fa Corte di merito, sulla base degli elementi sopra indicati, ha ritenuto non sussistere la natura privatistica dell’Ente appellato.

In particolare, ha rilevato che "l’IPAB Asilo Infantile Maria Antonietta Infranca" non ha carattere associativo, in quanto – come risulta dallo statuto – è stato istituito" con Delib. consiliare del 7 Luglio 1870 sotto il nome Croce di Savoia ed eretto ad ente morale con decreto che approva lo statuto in data 22/10/1874, cambiato in quello attuale con decreto del Presidente della Regione Siciliana che lo approva".

Non ha natura religiosa, infatti "… ha lo scopo di assistere i fanciulli di ambo i sessi e di impartire una educazione fisica, intellettuale e morale adatta alla loro condizione" e "provvede ai propri bisogni con le rendite del proprio patrimonio, con contributo del Comune, con i contributi dello Stato e della Regione, nonchè con i proventi derivanti dalle oblazioni volontarie, sussidi, lasciti, legati ed altri introiti".

L’Ente, inoltre, – rileva sempre la Corte di merito – è amministrato da un Consiglio di Amministrazione i cui membri sono nominati dal Consiglio Comunale (art. 6 dello statuto); in particolare "un componente sarà nominato tra i discendenti della famiglia Infranca … un secondo componente da una terna di nominativi chiesti al Provveditorato … un terzo da altra terna di nominativi chiesti all’ordinario Diocesano e i restanti a libera scelta del Consiglio stesso tra gli elettori del Comune".

Da ultimo, il servizio di cassa, di regola, è affidato all’esattore comunale.

Gli elementi tutti, considerati nel loro complesso, hanno correttamente e motivatamente condotto il giudice del merito a ritenere l’insussistenza dei requisiti per il riconoscimento della natura privatistica dell’Ente in parola (v. anche Cass, Sez. un. 7.7.2011 n. 14958; Cass. Sez. un. ord. 2.12.2008 n. 28537).

A fronte delle conclusioni così esposte – e condivise da queste Sezioni Unite – l’odierna ricorrente non fornisce elementi del supposto errore in cui sarebbe incorsa la Corte di merito, prospettando soltanto un diverso convincimento.

Il ricorso, infatti, si presenta come meramente assertivo, ma non chiarisce le ragioni della ritenuta erronea applicazione del D.P.C.M. 16 febbraio 1990, nè indica in cosa sarebbe consistito il vizio motivazionale contestato alla sentenza impugnata.

Neppure può essere rilevante l’errore in cui la ricorrente sostiene essere incorsa la Corte di merito nel considerare riferibile all’IPAB in questione la Delib. consiliare 7 luglio 1870 che eresse ad ente morale l’istituzione denominata Croce di Savoia, perchè di un tale errore – che avrebbe potuto configurare anche un eventuale vizio revocatorio – non fornisce alcun appiglio argomentativo.

Da ultimo, ininfluenti, in questa sede, sono le indicazioni testimoniali che non apportano alcunchè sotto il profilo della sostenuta ipotesi di ente di natura privata dell’istituzione in questione, riguardando soltanto l’eventuale fondatezza della domanda nel merito.

Alla qualificazione di organismo pubblico dell’Ente in questione consegue che il rapporto di lavoro intercorso con l’attuale ricorrente riveste natura di pubblico impiego, con conseguente difetto di giurisdizione del giudice ordinario trattandosi di rapporto esaurito anteriormente al 30 giugno 1998 (dal 5.1.1993 al 13.6.1998).

Il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 45, comma 17, (ora D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69), infatti, pone il discrimine temporale tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa con riferimento, non all’arco temporale di riferimento degli effetti di un atto giuridico o al momento di instaurazione della controversia, ma al dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze – così come posti a base della pretesa avanzata – in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia (Cass. Sez. un. ord. 13.5.2011, n. 10531; Cass. Sez. un. 7.7.2005, n. 14258; Cass. Sez. un. 19.8.2003, n. 12097).

La ricorrente fonda le sue pretese con riferimento ad una prestazione lavorativa pacificamente esauritasi anteriormente al 30.6.1998, con la conseguenza che a conoscere della domanda è chiamato il Giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, in relazione al disposto del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 69, comma 7. Nè, sotto diverso profilo, a legittimare una diversa pronunzia vale il richiamo al discrimine temporale del 15 settembre 2000 – fissato nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7.

Questa Corte, infatti, ha più volte affermato che in tema di controversie di pubblico impiego, il trasferimento della giurisdizione al giudice ordinario (ai sensi dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 68, come novellato dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 29, oggi D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63), opera per le questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, restando devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto anteriore a tale data, purchè introdotte prima del 15 settembre 2000.

Tale data, comunque, non costituisce un limite alla persistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ma un termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale – con conseguente attinenza di ogni questione sul punto ai limiti interni alla giurisdizione, senza che rilevi la diversa formula usata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7, (qualora siano state proposte) rispetto a quella già presente nel D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 45, comma 17, (e debbono essere proposte).

Si tratta, infatti, di differenza soltanto semantica, giustificata, non da una nuova ratto della disciplina sopravvenuta, ma soltanto dall’essere stata superata, al momento della emanazione del provvedimento normativo più recente, la data presa in considerazione (tra le tante Cass. ord. 6.12.2010 n. 24690; Cass. Sez. un. ord. 20.2.2008 n. 4291; Cass., Sez. Un., 4 aprile 2007 n. 8363; Cass., Sez. Un., 19 gennaio 2007 n. 1149; Cass., Sez. un. 14 gennaio 2005 n. 601).

Conclusivamente, il ricorso è rigettato, ed è dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.

Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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