Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-06-2011) 22-09-2011, n. 34435

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di M. G. avverso la sentenza emessa in data 4.11.2010 dalla Corte di Appello di Catanzaro che confermava quella in data 14.7.2008 del Tribunale di Cosenza in composizione monocratica con cui il M. era stato condannato, con attenuanti generiche prevalenti, alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 200,00 di multa, con sospensione condizionale e non menzione, per il delitto di cui all’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 2 (furto, con effrazione del cancello d’ingresso del cantiere, di alcune tegole in danno di Ma.Mi.).

Deduce il vizio motivazionale, atteso il mero richiamo per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado, senza alcuna controdeduzione alle argomentazioni difensive, o giustificazione circa la mancata adesione alla richiesta di riqualificazione del fatto nella fattispecie di cui all’art. 392 c.p. ovvero in quella di furto semplice. Rappresenta, inoltre, la violazione di legge per errata qualificazione giuridica del fatto reato, assumendo che la deposizione della teste P.F. non era sufficiente per l’affermazione di responsabilità, non avendo riferito su quale utenza telefonica fosse stata contattata dall’imputato (che le avrebbe confidato del furto) e da quale utenza fosse stata chiamata.

Evidenzia come le dichiarazioni della persona offesa e dei suoi prossimi congiunti fossero inficiate dal rancore nei confronti dell’imputato e come l’incertezza che ne conseguiva circa l’elemento probante incidesse sull’esatta qualificazione giuridica del reato poichè l’esclusione per assenza di prova dell’aggravante contestata implicava la derubricazione nel reato di furto semplice e, quindi, l’improcedibilità (rectius: estinzione) per l’intervenuta remissione della querela.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile poichè le censure mosse sono aspecifiche e manifestamente infondate.

Invero, è palese la sostanziale aspecificità dei motivi che hanno riproposto in questa sede pedissequa mente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.

Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). Corretta ed esaustiva è, infatti, la motivazione addotta dalla Corte territoriale a supporto dell’infondatezza delle doglianze predette, laddove ha richiamato e condiviso integralmente la motivazione del giudice di primo grado. Infatti, questa Suprema Corte ha affermato che, in tema di motivazione della sentenza di appello, si deve ritenere consentita quella "per relationem" con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate contro quest’ultima non contengano (come nel caso di specie) elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi; il giudice di appello non è infatti nemmeno tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni, ribadite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici dal giudice di appello e non apparendo il richiamo alla motivazione di primo grado effettuata In termini apodittici (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 17.9.2008, n. 38824, Rv. 241062; Sez. 5, 22.4.1999, n. 7572, Rv.

213643).

Congrua ed esente da vizi logici o giuridici s’appalesa, inoltre, la motivazione addotta in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni relative alla riferita confessione stragiudiziale resale dal M., effettuate dalla P., madre del Ma., proprietario dell’immobile edificando, che aveva riscontrato, prima di consegnare le chiavi al ricorrente per prelevare alcuni attrezzi di sua proprietà, la distruzione del cancello e l’asportazione degli attrezzi e di alcune tegole: di certo alcun rancore era ravvisabile in capo ai testi escussi, come giustamente osservato dal Giudice a quo, proprio in considerazione della remissione della querela.

Nè la dedotta mancata indicazione delle utenze telefoniche (di arrivo e di partenza) sulle quali si svolse la conversazione nel cui corso furono esternate le dichiarazioni confessorie del M., non essendo in alcun modo significativa o indispensabile ai fini probatori, può giammai valere ad inficiare l’attendibilità della testimone. Al riguardo, giova, comunque, precisare che (Cass. pen. Sez. 4, 24 ottobre 2005, n. 1149, Rv. 233187) "nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette".

E’ appena il caso di rammentare, altresì, che è ammissibile la testimonianza indiretta sulle dichiarazioni, anche di natura confessoria, rese dall’imputato al testimone al di fuori della sede processuale (Cass. pen. Sez. 2, n. 17437 del 13.3.2009, Rv. 244347) e che le dichiarazioni del teste "de relato" vanno, anche in tal caso, considerate alla stregua di un indizio (nel senso di prova indiretta sul fatto) senza necessità di elementi di riscontro a fini probatori e non operando il divieto di cui all’art. 195 c.p.p. allorchè, come nel caso di specie, il soggetto dichiarante abbia precisamente indicato la sua fonte immediata e quest’ultima non possa essere oggetto di ulteriore verifica perchè imputata nello stesso processo (Cass. pen. Sez. 6, n. 1085 del 15.10.2008, Rv. 243186).

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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