Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-05-2011) 22-09-2011, n. 34498 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di annullamento, ad opera della Corte di Cassazione, di una precedente pronuncia di rigetto, la Corte d’Appello di Milano è stata nuovamente investita, quale giudice di rinvio, dell’appello proposto da C.G. e D.M.S. avverso la sentenza di condanna emessa nei loro confronti, in esito al giudizio abbreviato, dal giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano per il delitto di partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e per alcuni reati fine.

Il parziale annullamento aveva riguardato il rigetto, incongruamente motivato, della richiesta di applicazione della continuazione rispetto ad altre sentenze di condanna emesse dalla stessa Corte d’Appello di Milano nei confronti dei medesimi imputati per analoghi reati: l’una, a carico del C., recante la data del 2 luglio 2003 e l’altra, a carico del D.M., recante la data del 26 giugno 2006.

Il giudice di rinvio, con sentenza pronunciata il 18 maggio 2010, ha accolto la richiesta del solo C., unificando conseguentemente i reati e rideterminando la pena complessiva in anni quindici e mesi sei di reclusione; ha invece disatteso la richiesta del D.M., osservando che i due procedimenti erano riconducibili a due diversi contesti associativi, distaccati nel tempo e privi di coincidenza fra gli associati: sicchè non poteva ritenersi che le due associazioni fossero state progettate in un unico momento originario.

Hanno proposto separati ricorsi per cassazione i due imputati, ciascuno per le ragioni di seguito indicate.

Il C., col suo unico motivo, deduce vizio di motivazione in ordine ai criteri di determinazione della pena, rilevando che il puro calcolo aritmetico si è accompagnato a una sola notazione riguardante la pericolosità dell’imputato, la gravità dei reati e i precedenti penali.

Il gravame del D.M. è affidato a due atti d’impugnazione, rispettivamente a firma dell’Avv. Antonio Managò e dell’Avv. Adele Manno.

Col primo di tali atti il ricorrente deduce inosservanza del principio di diritto enunciato nella sentenza di annullamento, là dove si era evidenziato che l’attuale processo costituisce una derivazione di quello che aveva portato all’arresto in flagranza del D.M. per reati analoghi, commessi nello stesso periodo di tempo con alcuni degli stessi soggetti. Segnala, altresì, l’erroneità dei rilievi posti a base della decisione e riguardanti il distacco temporale tra i due contesti associativi e la diversità delle persone degli associati.

L’atto d’impugnazione recante la firma dell’Avv. Manno contesta l’assenza di contiguità temporale fra le due associazioni e valorizza l’accertamento, contenuto nella sentenza del G.U.P., dell’esistenza di un’unica associazione strutturata in più sottogruppi, uno dei quali, capeggiato da F.G., aveva tra i suoi compartecipi D.M.S..

Motivi della decisione

Il ricorso proposto dal C. è privo di fondamento e va disatteso.

Ed invero, contrariamente a quanto ivi si sostiene, nella sentenza impugnata non vi è carenza di motivazione in ordine ai criteri adottati nella modulazione del trattamento sanzionatorio. In proposito occorre non dimenticare che il giudizio di adeguatezza della pena – già ridotta per il rito abbreviato – di anni undici e mesi sei di reclusione, inflitta al C. per i reati accertati con la sentenza del G.U.P. di Milano in data 23 aprile 2007, in ciò confermata dalla Corte d’Appello, non è stato investito dall’annullamento disposto dalla Corte di Cassazione con la pronuncia del 26 marzo 2009: il quale ha riguardato esclusivamente il diniego di applicazione dell’istituto della continuazione rispetto ai reati per i quali aveva pronunciato condanna la stessa Corte d’Appello di Milano con sentenza del 2 luglio 2003. Conseguentemente il giudice di rinvio, una volta stabilita la sussistenza della continuazione e sciolto il giudicato riguardante la precedente condanna (stante la minor gravità dei reati ivi accertati), non aveva altro obbligo di motivazione, se non quello di rendere conto dell’entità dell’aumento di pena applicato ex art. 81 c.p., comma 2, alla stregua dei parametri di legge. A tanto la Corte territoriale ha provveduto con adeguatezza, adducendo quale ragione ispiratrice della quantificazione la seria pericolosità dell’imputato risultante dall’inserimento in un contesto associativo, dalla gravità dei reati e dai precedenti penali; il che è quanto basta a soddisfare l’obbligo di motivazione, non essendo necessario a tal fine che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., ma essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente C. al pagamento delle spese processuali.

Merita, invece, accoglimento il ricorso del D.M..

Nel censurare il vizio motivazionale inficiante la sentenza della Corte d’Appello di Milano datata 7 luglio 2008, la sentenza di annullamento emessa da questa Corte Suprema aveva posto la necessità di verificare analiticamente la correlazione tra i fatti oggetto del presente processo e quelli che avevano portato all’arresto in flagranza del D.M. per analoghi reati, commessi nello stesso periodo di tempo con alcuni degli stessi soggetti. Ciò doveva, evidentemente, attuarsi dando risposta – ed eventuale confutazione – alla linea argomentativa della difesa secondo cui le condotte accertate nei due processi succedutisi nel tempo, e sfociati nelle sentenze cui si riferisce l’istanza di applicazione della continuazione, si sarebbero realizzate in un unico ambito associativo in quanto riferibili ad una stessa organizzazione criminale, facente capo a F.G. e operante senza soluzione di continuità dalla fine dell’anno 2000 al giugno 2002. All’interno di quel sodalizio, sempre secondo la difesa, il D.M. aveva costantemente rivestito il medesimo ruolo, che consisteva nel custodire in un deposito di cui deteneva le chiavi la sostanza stupefacente procurata dal F..

La sentenza impugnata mostra di non tenere in considerazione le deduzioni di parte testè riassunte; nella motivazione si afferma apoditticamente la reciproca estraneità dei due contesti associativi presi in osservazione nel processo denominato "Decollo" e in quello denominato "Luna Blu", attribuendo ad essi degli ambiti temporali distinti (fino all’aprile 2001 e, rispettivamente, dal giugno 2001 al giugno 2002), senza confutare la contraria tesi dell’imputato mediante il necessario riferimento al materiale probatorio raccolto nei due processi; si rileva la parziale difformità delle compagini associative, senza spiegare in base a quali elementi possa trarsi il convincimento della appartenenza dei medesimi soggetti a due diverse associazioni criminali, piuttosto che a due sottogruppi di un unico, articolato, sodalizio; si nega, su tali premesse, la sussistenza di un unico disegno criminoso senza dar conto della negata correlazione tra i fatti accertati nei due distinti procedimenti, come invece imponeva la pronuncia di annullamento.

Nella parte riguardante il D.M., pertanto, la sentenza deve essere nuovamente annullata per vizio di motivazione. Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Milano, sottoporrà a rinnovata disamina la questione riguardante l’invocata applicazione della continuazione, con piena libertà decisionale e col solo obbligo di motivare adeguatamente il deliberato.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di D.M. S. con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano; rigetta il ricorso di C.G., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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