Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-01-2012, n. 1290

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza in data 8 gennaio 2009 il Tribunale di Salerno accolse l’opposizione proposta da D.P.M. al precetto intimatogli da S.G., che aveva agito nella qualità di antistatario della propria assistita Miria Maglia S.n.c. in liquidazione.

Il Tribunale osservò per quanto interessa: il procedimento finalizzato allo scioglimento delle società di persone è facoltativo; l’estinzione di tali società non richiede necessariamente un formale procedimento di liquidazione, ma si verifica anche per effetto dell’accordo dei soci di cessare l’attività sociale previa definizione nei rapporti inerenti;

D.P.P. e D.P.B.F. erano cessati dalla qualifica di soci a seguito di scrittura privata 5 luglio 2005;

lo scioglimento della società di persone costituisce un momento successivo rispetto al semplice venir meno della pluralità dei soci;

lo scioglimento della S.n.c. Patrizia Conceria di De Piano Luigi & C. era effettivamente avvenuto in data 5 gennaio 2006; l’atto di precetto era stato notificato nei confronti della società in data 8 giugno 2006, quando essa non era più esistente.

2.- Avverso la sentenza S.G., nella predetta qualità, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

D.P.M. ha resistito con controricorso.

Lo S. ha presentato memoria.

Il ricorso, originariamente avviato alla trattazione in camera di consiglio, è stato rimesso alla pubblica udienza.

Il ricorrente ha presentato memoria.

Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

Motivi della decisione

1.1.- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2699 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 111 Cost. e art. 6 CEDU per evidente mancanza di equità della decisione giudiziaria assunta. Il tema trattato è la "esistenza in vita" della società "Patrizia", che si asserisce essere comprovata da vari documenti, tra cui la relazione di notifica redatta dall’Ufficiale Giudiziario, un decreto ingiuntivo con provvedimento del presidente del Tribunale di Salerno, una sentenza del medesimo Tribunale, una sentenza della Corte d’Appello, ecc..

1.2.- La censura, pur formalmente prospettata sotto il profilo della violazione di norme di diritto, in realtà poggia su argomentazioni che attengono al merito, in quanto implicano esame e valutazione di una serie di atti e di documenti, nei confronti dei quali non è stato rispettato l’onere processuale posto dall’art. 366 c.p.c., n. 6. Infatti è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità. In altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di inerito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Inoltre il quesito finale non è idoneo a soddisfare le finalità perseguite dall’art. 366 bis c.p.c..

E’ più che certo (confronta, per tutte, Cass. Sez. 3^, n. 19769 del 2008) che il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile alla specie ratione temporis) deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge.

In conclusione, il quesito formulato a corredo del motivo in esame si rivela del tutto astratto, in quanto prescinde dai necessari riferimenti al caso concreto e alla motivazione della sentenza impugnata.

2.1.- Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio, definito non giustamente, con violazione dell’art. 111 Cost.. Il tema è ancora quello dell’esistenza giuridica della società al momento della notifica del titolo esecutivo.

2.2.- Le argomentazioni a sostegno peccano di genericità, mentre il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto e non integra il momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare in quali parti e per quali ragioni la motivazione risulti carente.

E’ noto, infatti (confronta Cass. Sez. 3^, n. 8897 del 2008) che, qualora nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un "quid pluris" rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso.

Nella specie il ricorrente si è limitato ad asserire che la motivazione della sentenza impugnata era carente della indicazione delle norme applicate e della mancata disamina degli atti redatti dall’ufficiale giudiziario.

3.1 – Il terzo motivo ipotizza contraddittoria motivazione della sentenza che dichiara la nullità del precetto opposto per carenza di legittimazione passiva della parte intimata e poi, malgrado la dichiarata nullità dell’atto lo esamina nel merito.

3.2 – Il vizio di contraddittorieta della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la "ratio decidendi" che sorregge il "decisum" adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè dalla lettura della sentenza non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice. (Cass. n. 8106 del 2006).

Quanto denunciato dal ricorrente non implica il vizio di contraddittorietà della motivazione alla stregua del principio sopra enunciato. Il momento di sintesi finale risulta inidoneo per le stesse ragioni addotte con riferimento alla censura precedente.

4.- Pertanto il ricorso risulta inammissibile. Le spese seguono il criterio della soccombenza e vengono liquidaste come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 800.00 per onorari, oltre spese generali accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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