Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con atto notificato il 16.2.95 R.M.G., nella qualità di amministratore giudiziario della comunione degli eredi della sig.ra D.V.B., deceduta in Napoli il ?, citò al giudizio del Tribunale di quella città D.V.M. A., una degli eredi testamentari, per sentirla condannare al rilascio, con risarcimento dei danni, dell’appartamento sito in Napoli, alla via ?, uno dei cespiti dell’asse ereditario indiviso, che assumeva senza titolo occupato dalla predetta dall’anno 1988. Costituitasi la convenuta, resisteva alla domanda, eccependone l’inammissibilità, per difetto di legittimazione attiva e l’infondatezza, in considerazione della sua qualità di coerede e comproprietaria; in via riconvenzionale chiedeva il rimborso delle spese di custodia. Con sentenza del 5.9.2000 l’adito Tribunale accolse la domanda principale e respinse la riconvenzionale condannando la convenuta al rilascio dell’immobile, al pagamento della somma di L. 70.000.000 quale indennizzo per l’occupazione ed a quella di L. 8.500.000 per oneri condominiali, oltre al rimborso delle spese del giudizio.
Proposto appello dalla soccombente, resistito dall’appellata, con sentenza del 15.9.02 la Corte d’Appello di Napoli respingeva il gravame, con condanna dell’appellante alle relative spese. Riteneva la suddetta Corte che l’azione di rilascio, in quanto finalizzata alla "migliore conservazione e godimento del bene nell’interesse di tutti i comunisti", rientrava tra gli atti di ordinaria amministrazione di competenza dell’amministratore giudiziario, che rappresentando quest’ultimo gli interessi di tutti gli altri eredi, non sussisteva litisconsorzio necessario passivo degli stessi nella domanda riconvenzionale, la cui reiezione andava peraltro confermata, non essendo la dedotta custodia dell’immobile compatibile con l’avvenuto godimento esclusivo da parte della convenuta, – comportamento quest’ultimo illegittimo ai sensi dell’art. 1102 c.c., perchè non autorizzato dagli altri partecipi e lesivo dei concorrenti diritti dei medesimi sul bene, che il danno era insito nell’abusiva occupazione e che, infine, la difficoltà di prova del preciso ammontare del danno ne giustificava ex art. 1226 c.c., e la liquidazione equitativa, in concreto sorretta da adeguati elementi valutativi.
Avverso tale sentenza la D.V. ha proposto ricorso per Cassazione affidato a quattro motivi. Resiste la R.G. con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta "violazione e disapplicazione" dell’art. 1105 c.c., per avere i giudici di merito indebitamente affermato la legittimazione processuale dell’amministratore giudiziario della comunione, sulla base dell’erronea qualificazione, in termini di atto di ordinaria amministrazione dell’azione di rilascio spiegata nei confronti di una delle partecipanti alla comunione, senza tener conto che la controversia, involgendo l’accertamento del contenuto e dell’estensione del diritto della medesima ad usufruire di uno dei beni comuni, eccedeva le mere esigenze di "migliore conservazione e godimento del bene nell’interesse dei comunisti", che connotano gli atti suddetti. La censura è fondata.
Questa Corte (sez. 2^ n. 2170/95) ha già avuto modo di stabilire, in una fattispecie analoga alla presente, come l’art 1106 cod. civ., a differenza dell’art. 1131 c.c., non preveda, tra i poteri ordinariamente spettanti all’amministratore dei beni comuni potere di rappresentare in giudizio i partecipanti alla comunione.
A tale esclusione è pervenuta osservando che sia l’amministratore della comunione in genere, sia quello del condominio negli edifici, rivestono la qualità di mandatario dei partecipanti e, tuttavia, solo nel caso del secondo la legge ne prevede la rappresentanza processuale, al fine di agire sia contro i terzi sia contro i condomini, nei limiti delle attribuzioni di cui al precedente articolo 1130 o di quelle maggiori, eventualmente conferite dall’assemblea.
"La specialità della disposizione di cui all’art. 1131 c.c., rispetto a quella, generale, di cui all’art. 106 cod. civ., e la mancanza in quest’ultima di un’analoga previsione, comportano, in base alla nota regola di ermeneutica legale ubi lex voluit dixit, ubi noluit non dixit, tenuto conto, peraltro, che l’eccezionalità della prima disposizione, derivante da una precisa scelta legislativa correlata alla peculiari caratteristiche di quella particolare figura di comunione costituita dal condominio negli edifici, non ne consente l’applicazione analogica, inducono dunque a ritenere la necessità di un apposito conferimento. Con un atto ad hoc ex art. 1106 c.c., comma 2 cit., adottato ai sensi del precedente art. 1105 c.c., dalla maggioranza dei comunismo in difetto, dall’autorità giudiziaria, dell’espresso potere di rappresentanza in giudizio della comunione.
Tali principi, ai quali il collegio non ravvisa motivi per doversi discostare, ancorchè affermati in relazione alla figura dell’amministratore nominato dai comunisti, perfettamente si attagliano a quella dell’amministratore giudiziario di cui all’art. 1105 cod. civ., ultimo comma, anch’egli mandatario ex lege dei partecipanti, i cui poteri non differiscono, in mancanza di espresse previsioni normative, da quelli dell’omologo di nomina convenzionale.
L’applicazione degli stessi comporta, tanto più nel caso di specie in cui la controversia, involgendo la soluzione di un conflitto insorto tra i partecipanti alla comunione in ordine al contenuto ed all’estensione delle facoltà di godimento di un bene comune, in relazione alla fondamentale regola di cui all’art. 1102 cod. civ. palesemente eccede l’ordinaria amministrazione in accoglimento dell’esaminato motivo di ricorso, considerato che i giudici di merito hanno ritenuto la sussistenza della legittimazione processuale dell’amministratore, senza compiere alcuna specifica indagine sull’eventuale conferimento di un mandato ad hoc al medesimo, eventualmente conferito dall’assemblea o, anche, rinvenibile nel provvedimento di nomina giudiziaria, titolo sostitutivo del mancato accordo tra i comunisti. Restano conseguentemente assorbiti i rimanenti motivi, dei quali il secondo, denunciante violazione dell’art. 112 c.p.c. con connessi vizi di motivazione, per la mancata integrazione del contraddittorio, ai fini della domanda riconvenzionale di rimborso delle spese di custodia, nei confronti degli altri comunisti strettamente connesso al precedente, mentre il terzo ed il quarto, rispettivamente deducenti violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 c.c. e 2697 c.c., con connessa omissione di motivazione, in ordine alla ritenuta illegittimità del godimento, asseritamente pro quota, del bene comune, e violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1226 c.c., in relazione alla sussistenza e misura del danno da tale occupazione derivato, sono palesemente subordinati all’esito delle questioni dedotte nel primo.
La sentenza impugnata va, conclusivamente, cassata in relazione alle accolte censure, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte territoriale di provenienza, che provvedere anche, nell’ambito del regolamento finale, sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinviacene per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.
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