Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-05-2011) 22-09-2011, n. 34415

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.F. è imputato del delitto di tentato omicidio aggravato perchè, esplodendo colpi di fucile contro A. V. e A.L., attingendoli in varie parti del corpo tra le quali il capo, nonchè inseguendoli ed esplodendo altri due colpi, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte delle predette persone.

Con l’aggravante di aver commesso il fatto per motivi futili, legati a controversie in ordine ai confini di proprietà di B. e all’uso a scopo irriguo dell’acqua proveniente da vicino invaso.

Fatto accaduto in (OMISSIS).

Il GUP del Tribunale di Gela, con sentenza in data 20.1.2009, condannava B.F. – con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante e con la riduzione per il rito abbreviato – alla pena di anni 5 e mesi 4 di reclusione.

La Corte di appello di Caltanisetta, con sentenza in data 15.6.2010, confermava la suddetta sentenza con la seguente motivazione.

Dopo aver riassunto le risultanze processuali e la motivazione della sentenza di primo grado, che aveva basato la responsabilità dell’imputato sull’attendibilità delle parti lese e i risultati della perizia balistica e della consulenza medico legale, ha preso in esame i motivi di appello del difensore dell’imputato, con i quali si contestava l’attendibilità delle parti lese, in quanto in più punti le stesse si sarebbero contraddette tra loro; si sosteneva che lo stato dei luoghi in cui era avvenuto il ferimento era incompatibile con il racconto di A.V. e L., in quanto l’imputato sarebbe dovuto passare davanti alle vittime, e quindi lo avrebbero dovuto vedere, prima di raggiungere il punto dal quale erano partiti i colpi; si metteva in evidenza che gli abiti sequestrati nell’abitazione dell’imputato non corrispondevano a quelli descritti dai predetti A. e che la presenza dell’imputato nella zona (OMISSIS) alle ore 9,30 era incompatibile con lo svolgimento del fatto come ipotizzato dall’accusa; si mettevano in dubbio i risultati della perizia balistica, ritenendo che non fosse provato che i pallini che avevano ferito gli A. coincidessero con quelli di cartucce sequestrate all’imputato. La Corte di appello ha dato una precisa risposta a tutte le questioni sollevate con i motivi di gravame dalla difesa dell’imputato, spiegando le ragioni per le quali dovevano essere ritenute attendibili le dichiarazioni rese fin dal primo momento dalle parti lese e sempre ribadite; la ragione per la quale le parti lese non avevano visto prima del fatto passare il B. (l’imputato si era recato in luogo oltre un’ora prima delle vittime);

la ragione per la quale gli abiti sequestrati erano sicuramente quelli indossati dall’imputato al momento del fatto, essendo stati rinvenuti residui di polvere da sparo sugli stessi, e compatibili con la descrizione alquanto approssimativa che ne avevano potuto dare le parti lese; la ragione per la quale vi era piena compatibilità, sulla base di tutte le risultanze, tra la presenza dell’imputato sul luogo del delitto, avvenuto tra le ore 8,45 e le ore 9,00, e la presenza dello stesso alle ore 9,30 nella zona (OMISSIS); la ragione per la quale tutti gli accertamenti esperiti (l’esito positivo dello STUB; la comparazione di un pallino estratto dal corpo di A.L. e il munizionamento sequestrato all’imputato; la tipologia delle ferite riportate dalle vittime) confermavano le conclusioni a cui era giunto il giudice del primo grado.

La Corte distrettuale rigettava anche la richiesta di derubricazione del delitto in quello di lesioni personali, in quanto l’animus necandi risultava evidente per la potenzialità dell’arma usata; per le zone corporee attinte con i colpi di fucile, i quali ben avrebbero potuto cagionare la morte delle persone; per la reiterazione dei colpi, sparati ad altezza d’uomo.

Riteneva, infine, sussistente l’aggravante dei futili motivi, in quanto vi era una grande sproporzione nella reazione dell’imputato di fronte a una banale lite, avvenuta tempo prima, riguardante la fornitura dell’acqua, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per dare sfogo ad un impulso criminale.

Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, riproponendo, con un primo motivo, le stesse questioni che aveva sollevato con i motivi di appello, volte a dimostrare che non poteva essere stato l’imputato a sparare contro A.V. e L..

Con un secondo motivo ha contestato la sussistenza dell’aggravante dei motivi futili, in quanto dagli atti del processo risultava che i motivi di astio risiedevano tutti in capo ad A.V. e non in capo all’imputato.

Dopo aver ripercorso la vicenda della fornitura dell’acqua, ha ribadito che, se potevano sussistere motivi di astio, essi erano riconducibili solo all’ A., e quindi dovevano essere ritenuti insussistenti i motivi futili contestati all’imputato con l’aggravante.

Con un terzo motivo ha sostenuto che il delitto contestato doveva essere derubricato in lesioni personali, in quanto era del tutto insussistente l’animus necandi.

L’imputato aveva la disponibilità di quattro cartucce a palla piena che, se utilizzate, avrebbero certamente cagionato la morte degli A..

L’uso di cartucce a lesività minima era indicativo dell’assenza dell’intenzione di uccidere, così come il fatto che non si era avvicinato, restando a 25-30 metri dalle vittime, prima di sparare.

Era errata la considerazione del medico legale, riportata nella sentenza impugnata, secondo la quale tutte le armi da fuoco, all’interno di un raggio di cinquanta metri, sono in grado di produrre effetti letali, perchè troppo generica.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono inammissibili sotto diversi profili.

Innanzi tutto il ricorrente ha di fatto sottoposto a questa Corte gli stessi motivi che aveva presentato davanti alla Corte di appello di Caltanisetta, usando letteralmente e addirittura graficamente gli stessi argomenti, con brevi note introduttive per ogni motivo e con l’aggiunta di citazioni giurisprudenziali del tutto generiche sul valore degli indizi, senza rivolgere alcuna specifica critica agli argomenti con i quali i giudici dell’appello avevano già risposto alle medesime argomentazioni della difesa dell’imputato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (V. sez. 6 sent. n. 20377 dell’11.3.2009, Rv. 243838).

Il ricorrente, inoltre, con i motivi di ricorso ha sottoposto numerose questioni di fatto – peraltro già sottoposte alla Corte di appello – precluse allo scrutinio di questa Corte che non può e non deve rivalutare le prove attraverso un riesame del contenuto degli atti del processo, ma soltanto esaminare la congruità logica delle argomentazioni contenute nel provvedimento impugnato e la corretta applicazione dei principi di diritto da parte del giudice del merito.

La mancanza di specifiche censure agli argomenti con i quali la Corte distrettuale ha risolto le questioni di fatto che le erano state sottoposte con i motivi di appello rende inammissibile il ricorso, risultando l’interpretazione data dalla Corte di appello alle risultanze processuali immune da qualsivoglia vizio logico giuridico.

Con riguardo alla contestazione dell’aggravante dei motivi futili, il ricorrente non mette in dubbio la futilità del motivo individuato dai giudici di merito e, con una diversa lettura delle risultanze processuali, sostiene che l’imputato non aveva alcun motivo di astio nei confronti degli A., ma che anzi erano costoro ad avere motivi di rancore nei confronti dell’Imputato. La diversa lettura delle risultanze processuali, lo si ribadisce, non è proponibile davanti a questa Corte di legittimità, in mancanza di un vizio logico giuridico della motivazione o di un dimostrato travisamento della prova sulla quale si è basata la decisione impugnata.

La Corte territoriale ha dato ampia spiegazione alla qualificazione del fatto nel delitto di tentato omicidio, prendendo in considerazione la lesività dell’arma utilizzata, la distanza di sparo, la posizione dell’antagonista, la persistenza nell’azione criminosa, la zona del corpo attinta, l’adeguatezza causale dell’azione e riconoscendo in capo all’imputato un dolo diretto.

Il ricorrente ha sostenuto che li reato doveva essere derubricato in quello di lesioni volontarie sulla base di mere congetture e senza rivolgere alcuna seria critica alle motivazioni della sentenza impugnata.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Costituzionale, sent. N. 186 del 2000), al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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