Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 26-05-2011) 22-09-2011, n. 34414

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.C.G. è imputato dei seguenti reati:

– tentato omicidio, perchè compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di R.G., sparando all’indirizzo del predetto con una pistola colpi in rapida successione mentre lo stesso, inseguito, si rifugiava dietro un’autovettura Volkswagen Passat, evento non verificatosi per la pronta reazione del R. e per l’intervento di familiari dell’imputato; con l’aggravante dei futili motivi, per aver commesso il fatto a seguito della richiesta del R. di ricevere la somma di denaro spettantegli, non essendo andato a buon fine un assegno postdatato versato dal D.C. in pagamento di una fornitura di rotoballe di fieno;

– detenzione e porto illegale di una pistola con matricola abrasa;

– detenzione di cartucce della suddetta pistola;

– acquisto di pistola con numeri di matricola abrasi.

Fatti accertati il (OMISSIS).

A seguito di giudizio abbreviato, il GUP del Tribunale di Salerno, con sentenza in data 28.9.2009, condannava D.C.G., riuniti i suddetti reati dal vincolo della continuazione, alla pena di anni 9 di reclusione.

L’imputato proponeva appello e la Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 4.5.2010, assolveva l’imputato dal delitto di porto abusivo della pistola in luogo pubblico perchè il fatto non sussiste; riconosceva le attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza con la recidiva e l’aggravante contestata, e rideterminava la pena in anni 5 e mesi 4 di reclusione. Nella motivazione della sentenza, dopo aver riassunto le risultanze ed esposto i motivi di gravame presentati dalla difesa dell’imputato, la Corte di appello ha respinto la richiesta ex art. 603 c.p.p., ritenendo il materiale probatorio acquisito ridondante e assolutamente univoco. Ha respinto l’eccezione di nullità del processo, in quanto risultava che l’imputato aveva rinunciato a comparire e quindi non gli doveva essere notificato nè il rinvio dell’udienza nè la sentenza di primo grado, per il disposto dell’art. 420 quinquies c.p.p., aggiungendo che la dichiarazione di contumacia non aveva in alcun modo leso le garanzie dell’imputato.

Dopo aver ricostruito il fatto sulla base delle risultanze – in particolare le deposizioni del R. e di L.G., confermate da significative ammissioni dell’imputato e dai risultati degli accertamenti tecnici – ha concluso che l’imputato aveva sparato tre colpi di pistola in rapida successione in direzione di R., il quale si trovava accovacciato dietro un’autovettura Passat e che solo per caso il predetto non era stato colpito dai suddetti colpi.

Questi erano stati esplosi dalla distanza tra i sei e i nove metri ed erano certamente idonei a ferire in modo mortale la vittima. Solo per l’intervento del padre e della sorella del D.C., costui aveva interrotto la sua azione omicidiaria.

Il delitto era stato commesso con dolo d’impeto, scaturito da una discussione determinata dal fatto che R. aveva reclamato il pagamento di quanto gli spettava. L’imputato, come aveva ammesso, era rientrato a casa, aveva preso la sua pistola e aveva poi sparato contro il R. ad altezza d’uomo.

La sentenza riteneva inconsistenti le osservazioni della difesa a sostegno della mancanza della volontà di uccidere, resa invece manifesta dall’aver l’imputato sparato in direzione della parte lesa.

Riteneva che nel fatto non potesse riconoscersi l’attenuante della provocazione. L’imputato spontaneamente, nel giudizio di appello, aveva dichiarato di essere vittima di usura e di aver richiesto un breve differimento per pagare; avendo intuito che i due ( R. e L.) erano male intenzionati e che non se ne sarebbero andati via, aveva detto loro che andava in casa a prendere il denaro, mentre invece aveva preso la pistola con la quale aveva esploso i colpi contro il R..

Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.

Con un primo motivo ha lamentato che la Corte di appello non avesse dato risposta ai motivi di gravame presentati avverso la sentenza di primo grado, con i quali venivano analiticamente indicati tutti gli elementi di prova che smentivano la versione della parte lesa e del teste L.G. e che invece confermavano che l’imputato aveva esploso i colpi contro l’autovettura, senza avere alcuna intenzione di colpire R.G..

Con un secondo motivo ha contestato il diniego dell’attenuante della provocazione. Il D.C. era sottoposto ad usura e il R. si era introdotto arbitrariamente nella proprietà dell’imputato, chiedendogli in modo sprezzante di versargli la mattina stessa il denaro. Con un terzo motivo ha eccepito la nullità del processo di primo e secondo grado, poichè il GIP, all’udienza del 20.7.2009, aveva dichiarato la contumacia dell’imputato, nonostante lo stesso – detenuto – avesse rinunciato a comparire; inoltre, aveva omesso di notificargli l’estratto del verbale di udienza dal quale risultava la data del rinvio all’udienza del 28.9.2009, nella quale era stato poi deciso il processo.

Con un quarto motivo ha eccepito, sotto altro aspetto, la nullità del processo di primo e secondo grado. Il GUP, all’udienza del 20.7.2009, aveva ammesso la richiesta di rito abbreviato avanzata dal difensore, munito di procura speciale, e aveva rinviato all’udienza del 28.9.2009, disponendo la traduzione dell’imputato, senza però disporre anche la notifica del verbale d’udienza allo stesso imputato. L’imputato aveva ricevuto in data 11.9.2009 la visita degli agenti penitenziari che gli avevano notificato l’ordine di traduzione per l’esecuzione, senza però che nello stesso fosse specificato l’oggetto del procedimento e il giudice innanzi al quale si sarebbe celebrato. La nullità si sarebbe verificata, secondo il ricorrente, per un duplice ordine di ragioni: all’imputato non era stato notificato il rinvio all’udienza del 28.9.2009 e l’ordine di traduzione era stato eseguito non il giorno dell’udienza ma diciassette giorni prima.

Il giudice di secondo grado non aveva neppure esaminato questo secondo profilo di nullità generale eccepito con i motivi di appello.

Con un quinto motivo ha denunciato la mancata assunzione di una prova decisiva, avendo chiesto alla Corte di appello di sentire familiari dell’imputato che avevano assistito al fatto e non essendo stata ammessa la loro testimonianza con una motivazione meramente apparente. Con un sesto motivo ha denunciato l’assoluta carenza di motivazione della sentenza impugnata sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di tentato omicidio, essendosi limitata la Corte di appello a statuire che il delitto era stato commesso con dolo d’impeto. Con un settimo motivo ha dedotto che nella sentenza impugnata erroneamente si era ritenuto che il dolo d’impeto fosse incompatibile con il dolo eventuale. L’errore era rilevante poichè, accertato nel caso di specie che l’imputato aveva agito con dolo d’impeto, ma anche con dolo eventuale, si sarebbe dovuta escludere la configurabilità del tentato omicidio.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati.

Non sussistono le nullità denunciate con il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso poichè risulta dagli atti che l’imputato ha rinunciato a presenziare sia all’udienza del 20 luglio 2009 (nella quale il giudice ha ammesso il rito abbreviato richiesto dal difensore, munito di apposita procura speciale) sia all’udienza del 28 settembre 2009 (nella quale il GUP ha pronunciato la sentenza).

La dichiarazione di contumacia, erroneamente pronunciata dal giudice all’udienza del 20 luglio, nonostante l’imputato avesse rinunciato a comparire all’udienza, non comporta alcuna nullità del processo, in quanto la stessa resta senza effetto per la prevalenza della situazione processuale concretamente esistente (V. sez. 6 sent. n. 35636 del 15.4.2004, Rv. 229406). L’imputato assente per rinuncia è rappresentato dal difensore (art. 420 quinquies c.p.p.), e quindi allo stesso non doveva essere notificato l’estratto del verbale d’udienza del 20 luglio dal quale risultava il rinvio al 28 settembre.

La rinuncia a comparire all’udienza del 20 luglio ha prodotto i suoi effetti anche per l’udienza successiva del 28 settembre (V. sez. 5 sent. n. 36609 del 15.7.2010, Rv. 248433). Comunque all’imputato è stato comunicato in data 11 settembre 2009 che il successivo giorno 28 era fissata l’udienza, alla quale però – nella stessa data dell’11 settembre – l’imputato si è rifiutato di comparire, e questo rifiuto è ovviamente valido anche se espresso diciassette giorni prima dell’udienza fissata.

Il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente si è lamentato della mancata risposta della Corte distrettuale a motivi di gravame contenuti nell’atto di appello, è generico e comunque infondato, poichè nella sentenza impugnata sono stati prese in esame tutte le emergenze processuali, dando però alle stesse un significato diverso da quello loro attribuito dalla difesa 4el l’imputato.

Con riguardo al quinto motivo di ricorso, deve mettersi in evidenza che la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale – negata dal giudice di secondo grado con congrua motivazione – è un istituto di carattere eccezionale e non costituisce un diritto dell’imputato, il quale peraltro aveva chiesto di essere ammesso al rito abbreviato incondizionato.

Nella sentenza impugnata è adeguatamente motivata la sussistenza dell’animus necandi in capo all’imputato, in quanto si è fatto riferimento al tipo di arma usata, alla breve distanza di sparo, alla direzione dei colpi e alla reiterazione degli stessi. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’imputato abbia agito con dolo d’impeto, senza neppure prendere in considerazione un’ipotesi di dolo eventuale, certamente non ravvisarle nella descritta situazione.

Dalla ricostruzione del fatto ad opera dei giudici di merito, risulta che l’imputato, alla richiesta del R. di essere pagato, ha finto di acconsentire dicendo che sarebbe andato a casa a prendere il denaro, invece ha preso la pistola e subito, dopo essere tornato dove il R. lo stava aspettando, si è messo a sparare contro il predetto.

Non risulta in alcun modo provato nè che l’imputato fosse sottoposto ad usura da parte del R. nè che questi abbia chiesto in modo arrogante e offensivo di versargli il denaro. Quindi correttamente la Corte di appello non ha riconosciuto all’imputato l’attenuante della provocazione, non ravvisabile neppure per il fatto che il R., per poter chiedere all’imputato quanto gli spettava, si è recato nel cortile antistante l’abitazione dell’imputato.

Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, e al rigetto del ricorso consegue per legge la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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