Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-01-2012, n. 1286 Contratti agrari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Z.N.B. conveniva, davanti al tribunale di Monza – sezione specializzata agraria, il comune di Muggiò chiedendone la condanna alla corresponsione dell’indennità ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 50, comma 5, in materia di affitto agrario.

Il Tribunale – sez. specializzata agraria, con sentenza del 26.11.2007, rigettava la domanda.

A diversa conclusione perveniva la Corte d’Appello – sezione specializzata agraria, che accoglieva, per quanto di ragione, l’appello proposto dallo Z..

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi il comune di Muggiò.

Resiste con controricorso lo Z..

Le parti hanno anche presentato memoria.

Motivi della decisione

Il Collegio raccomanda una motivazione semplificata. Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi, delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I. Secondo l’art. 366 – bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 18 luglio 2007, n. 16002).

II quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Sez. Un. 11 marzo 2008, n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass. 7 aprile 2009, n. 8463; v. anche Sez. Un. ord. 27 marzo 2009, n. 7433).

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi fondamentali in materia amministrativa in relazione al R.D. n. 2240 del 1923, artt. 16 e 11 e alla L. n. 203 del 1982, art. 41. Il motivo è inammissibile.

Il quesito proposto, non solo è generico con riferimento al caso concreto, non indicando quale sia la regula iuris applicata erroneamente, e quale sarebbe quella corretta, ma non appare neppure conferente con riferimento al provvedimento adottato, non cogliendo il motivo la ratio decidendi della sentenza sul punto.

La Corte di merito, infatti, ha ritenuto che l’originario contratto, concluso fra privati, come era valido per il precedente proprietario, così era opponibile al Comune subentrato in tale qualità all’originario privato proprietario, a seguito del rilascio del fondo da parte del conduttore.

Non ha, quindi, alcun rilievo, a questo fine, la forma dei contratti conclusi iure privatorum dalla Pubblica Amministrazione, oggetto del quesito posto al termine della illustrazione del relativo motivo.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in materia di prudente apprezzamento delle prove – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova – motivazione insufficiente ed inadeguata circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Il motivo è inammissibile.

Il quesito posto è generico, senza alcun riferimento al caso concreto.

Peraltro, sotto l’apparente violazione delle norme di cui all’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., il ricorrente intende riproporre questioni di merito in relazione al materiale probatorio già valutato dalla Corte di merito, in senso a lui può favorevole.

Una tale valutazione spetta al giudice del merito e non ne è consentita una "rivisitazione" in questa sede a fronte di una corretta, convincente ed adeguata motivazione, come nella specie.

Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi del giusto processo. In particolare violazione e falsa applicazione delle norme in materia di consulenza tecnica d’ufficio.

Il motivo è inammissibile.

Il quesito posto in relazione a tale motivo, oltre che generico, pare imputare una qualche mancanza al c.t.u., ma dal quesito non emerge neppure se un qualche rilievo in ordine alla c.t.u. sia stato rappresentato nel giudizio di merito, e quale sarebbe la violazione commessa dalla Corte di merito.

Peraltro, pare che la censura intenda perseguire un diverso approdo tecnico rispetto a quello proposto dal c.t.u. e fatto proprio dalla Corte di merito; in sostanza, una diversa valutazione degli elementi di fatto, preclusa in sede di legittimità.

Conclusivamente, il ricorso è inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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