Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 11-10-2011, n. 651 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Tutte le sentenze impugnate, di estremi specificati in epigrafe, attengono alla medesima vicenda, relativa all’acquisto da parte del Comune di Messina, su finanziamento del Ministero della giustizia, di uno o più immobili da destinare a sede degli uffici Giudiziari della città. Ed invero, il Ministero della giustizia, da più di tre lustri, ha messo a disposizione del Comune un cospicuo finanziamento per l’edilizia giudiziaria, originariamente ammontante (nel 1995) a circa 12 milioni di Euro e poi incrementato (nel 2004) ad oltre 17 milioni di Euro, per realizzare un secondo Palazzo di Giustizia in Messina. Nonostante la notoria e cronica carenza di fondi per l’edilizia giudiziaria, l’amministrazione civica rimase a lungo inerte e non impegnò in alcun modo i notevoli contributi ottenuti né intraprese alcuna opera, salvo poi attivarsi in extremis, nel marzo 2009, allorquando il Ministero sollecitò in via ultimativa il Comune di Messina a formulare, entro i successivi sei mesi, una concreta proposta di utilizzo dei finanziamenti già concessi, pena altrimenti la perdita degli stessi e la loro destinazione, per differenti e maggiormente proficui interventi di edilizia giudiziaria, in favore di altri enti territoriali. Al precipuo scopo di scongiurare la revoca degli ausili pubblici, il Comune di Messina optò quindi per l’unica soluzione che avrebbe consentito di impiegare il denaro pubblico entro il breve tempo residuo e, per l’effetto, si risolse all’acquisto di uno o più immobili disponibili sul mercato, essendo ormai preclusa la possibilità di indire e portare a compimento, nell’arco di soli sei mesi, una ordinaria procedura di progettazione, affidamento ed esecuzione dei lavori per la realizzazione di un nuovo stabile.

In data 24 aprile 2009 fu, pertanto, pubblicato all’albo pretorio comunale un "invito ad offrire" con il quale:

– si sollecitò la presentazione di formali offerte di vendita di uno o più fabbricati "già costruiti" aventi determinate caratteristiche (tipologiche, prestazionali, di ubicazione, di superficie commerciale, ecc.);

– si fissò un termine di consegna (10 settembre 2009) qualificato espressamente dall’invito come "insuperabile ed essenziale";

– si dettarono alcuni parametri per la valutazione delle offerte, demandando a una commissione la determinazione di punteggi, tra un minimo e un massimo, da attribuire ai singoli elementi indicati nel predetto avviso (art. 5 dell’invito);

– si specificò inoltre che nessun vincolo né alcun obbligo di acquisto sarebbero gravati sull’amministrazione comunale, la quale si riservava, tra l’altro, di sospendere o revocare la procedura in ogni momento antecedente o successivo all’apertura delle offerte, e di non procedere all’aggiudicazione nel caso di proposta di vendita non vantaggiosa o in difetto dei requisiti per adibire l’immobile a sede di uffici giudiziari (art. 7 dell’invito).

A conclusione delle valutazione delle offerte l’Arcidiocesi di Messina, Lipari e Santa Maria del Mela (d’ora in poi: "Arcidiocesi") si classificò al terzo posto con punti 69,499; Neptunia S.p.A. (nel prosieguo: "Neptunia") al secondo posto con il punteggio di 82,342, e, al primo posto, con punti 84,696, si collocò il Gruppo di imprese G.M.C. s.r.l., Ra.Pl. fu Pietro di Sa.Ma.Te. e C. s.a.s. e Dino s.r.l. (in seguito, breviter: "GMC").

2. – L’esito della procedura fu impugnato in primo grado dalla Neptunia, dall’Arcidiocesi e da alcuni avvocati dell’Ordine di Messina.

Più in dettaglio, – con il ricorso, allibrato al registro generale del T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania con il n. 2190/2009, la Neptunia impugnò la graduatoria e il provvedimento di scelta del complesso di immobili offerto dalla GMC, come risultante dal verbale della commissione di valutazione n. 10 del 20 luglio 2009, nonché gli atti della procedura;

– con il ricorso iscritto presso il medesimo Tribunale con il n. 2371/2009 l’Arcidiocesi si gravò contro la deliberazione della Giunta Municipale di Messina n. 698 del 9 settembre 2009, di approvazione in via provvisoria della proposta di acquisto dell’immobile offerto dalla GMC, degli atti e della graduatorie della commissione di valutazione, nonché dei verbali e delle relazioni della medesima commissione;

– infine la predetta deliberazione giuntale fu impugnata in prime cure anche con il ricorso n. 1318/2010, promosso dagli avvocati indicati nelle premesse.

Il T.A.R. adito:

– con la sentenza n. 3701/2010 respinse la prima impugnativa, articolatasi nel ricorso introduttivo e in motivi aggiunti, proposta da Neptunia, dichiarando in parte il difetto di giurisdizione con riguardo all’impugnazione del contratto preliminare di vendita, nel frattempo stipulato tra la GMC e il Comune di Messina;

– con la sentenza n. 3721/2010 respinse il ricorso proposto dall’Arcidiocesi;

– con la sentenza n. 4230/2010 rigettò il ricorso promosso dai sunnominati avvocati.

In secondo grado è stato dapprima iscritto l’appello dell’Arcidiocesi avverso la sentenza del T.A.R. n. 3721/2010, poi l’appello di Neptunia contro la sentenza n. 3791/2010 e, infine, sono state proposte anche le separate impugnazioni di Neptunia e dei predetti avvocati avverso la sentenza n. 4230/2010.

Nell’ambito del processo instaurato dall’Arcidiocesi con il ricorso n. 1192/2010 sono stati interposti due appelli incidentali, rispettivamente della GMC e di Neptunia; all’appello principale proposto da Neptunia con il ricorso n. 1205/2010 hanno fatto seguito gli appelli incidentali dell’Arcidiocesi e della GMC; dopo l’impugnazione promossa da Neptunia con il ricorso n. 127/2011, anche l’Arcidiocesi ha proposto appello incidentale e, infine, nel processo instaurato in secondo grado con il ricorso degli avvocati di Messina n. 140/2011 hanno proposto appello incidentale sia l’Arcidiocesi sia la GMC.

3. – All’udienza pubblica del 9 giugno 2011 le cause sono discusse congiuntamente e trattenute in decisione.

4. – In via preliminare tutte le impugnazioni devono essere riunite. In particolare, è obbligatoria la riunione dei distinti appelli diretti contro la sentenza n. 4230/2010; è peraltro opportuna la riunione anche delle impugnazioni rivolte contro le altre due sentenze, trattandosi di contenziosi che hanno investito la medesima vicenda fattuale e in ragione degli evidenti nessi, oggettivi e soggettivi che intercorrono tra le varie controversie sottoposte all’unitario vaglio del Collegio.

5. – Per una razionale disamina del cospicuo materiale cognitorio devoluto in secondo grado, il Collegio ritiene di poter procedere secondo il criterio cronologico delle iscrizioni dei giudizi di appello, non sussistendo differenti, validi motivi per prediligere un diverso ordine di scrutinio delle questioni sottoposte al vaglio di questo Consiglio.

6. – Occorre dunque principiare dall’esame dell’appello incidentale proposto da GMC, avverso la sentenza n. 3721/2010, nella parte in cui il T.A.R. ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sul presupposto dell’asserito difetto della giurisdizione amministrativa, sollevata in primo grado dalla ricorrente incidentale.

Va osservato che il Tribunale ha respinto la predetta eccezione con i seguenti argomenti. "Preliminarmente, va ritenuta la giurisdizione di questo Tribunale sul procedimento di scelta attivato con l’invito ad offrire pubblicato all’albo pretorio del Comune di Messina in data 24.4.2009, in accordo con la delibazione già effettuata dal C.G.A. con ordinanza n. 1255 del 21.12.2009, in sede di decisione sull’appello dell’ordinanza cautelare n. 1575/2009, adottata nel ricorso n. 2190 del 2009, promosso da Neptunia S.p.a. concernente la medesima vicenda.

Sebbene la "gara" indetta dall’Amministrazione comunale presenta i caratteri più che di una procedura ad evidenza pubblica in senso stretto per la scelta del contraente (che ex art. 19 del codice dei contratti non è prevista per l’acquisto di immobili) di una gara esplorativa del mercato, al fine di individuare la disponibilità di immobili aventi determinate caratteristiche, descritte nell’invito ad offrire, funzionali alla destinazione d’uso ad uffici giudiziari, con ampia facoltà per l’Amministrazione di determinarsi a concludere o meno l’acquisto, è innegabile che ci si trovi in presenza di un procedimento competitivo, contraddistinto dall’adozione di regole e vincoli al cui rispetto l’Amministrazione si è liberamente determinata. Siffatta "procedimentalizzazione" dell’azione del Comune, e pertanto la sua connotazione pubblicistica, ovvero avente i caratteri dell’esercizio di un potere pubblico non paritetico, né libero (com’è nei casi in cui l’Amministrazione agisce "iure privatorum" facendo uso di strumenti giuridici di diritto privato) fa ritenere a questo Tribunale sussistente la propria giurisdizione, secondo l’insegnamento che si trae dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204/2004 e successive (cfr., in particolare, Corte Cost. 11 maggio 2006, n. 191 e, da ultimo, Corte Cost. 5 febbraio 2010, n. 35).

In sostanza, è pur vero che, stando al contenuto dell’invito ad offrire, il procedimento appare come un mero sondaggio di mercato – tanto che l’invito stesso richiama espressamente gli artt. 1329-1331 cod. civ. -, ma proprio le contestuali regole procedimentali imposte dal Comune implicano anche l’esercizio di poteri pubblicistici a fronte dei quali la giurisdizione amministrativa non può non essere affermata".

7. – L’appello incidentale della GMC è affidato ai seguenti motivi:

I) il Comune di Messina, avendo posto in essere un’attività tesa alla ricerca e all’acquisizione di fabbricati esistenti sul libero mercato, avrebbe operato iure privatorum, instaurando una procedura di natura paritetica e vertente in materia di diritti soggettivi, come tale non assoggettata alle regole sull’evidenza pubblica in quanto nessuna disposizione, interna o sovranazionale, prevede norme procedimentali vincolanti per l’acquisto, da parte di pubbliche amministrazioni, di edifici già esistenti;

II) il sindacato sulla procedura in parola esulerebbe, pertanto, sia dall’ambito della giurisdizione esclusiva in materia di affidamento di appalti pubblici sia dall’alveo della generale giurisdizione di legittimità, giacché il procedimento esperito dal Comune di Messina non potrebbe esser considerato una gara e tanto dovrebbe argomentarsi dall’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 163/2006.

8. – L’appello incidentale è infondato, ancorché la motivazione che sorregge la sentenza impugnata meriti parziale emenda. Ed invero, ad avviso del Collegio, la decisione sul punto della giurisdizione postula la soluzione di un prodromico problema qualificatorio; segnatamente occorre stabilire quale sia la natura della procedura posta in essere dal Comune di Messina, tenendo conto delle sue specifiche caratteristiche.

Il Tribunale, pronunciatosi sul punto, pur riconoscendo la sussistenza della giurisdizione amministrativa, ha nondimeno ritenuto che la procedura fosse da considerarsi "una gara esplorativa del mercato, al fine di individuare la disponibilità di immobili aventi determinate caratteristiche, descritte nell’invito ad offrire, funzionali alla destinazione d’uso ad uffici giudiziari, con ampia facoltà per l’Amministrazione di determinarsi a concludere o meno l’acquisto".

Il Collegio non condivide in parte qua quanto divisato dal primo Decidente e, per contro, è dell’opinione che il Comune di Messina, lungi dal voler compiere un mero sondaggio di mercato, abbia piuttosto indetto e svolto un procedimento diretto, ad ogni effetto, all’acquisto di un complesso immobiliare da destinare, in seguito ad opportuni adeguamenti, a secondo Palazzo di Giustizia. La genesi del differente convincimento che ha guidato il percorso decisorio del T.A.R. va verosimilmente ricercata nella circostanza che il Comune di Messina, pur essendosi vincolato con l’avviso pubblico all’osservanza di regole precise nella gestione della procedura de quo, nel corso della stessa si è poi ampiamente discostato, in più punti, dalle norme autoimpostesi, dando luogo a un procedura che è risultata, per un verso, fortemente condizionata dalla necessità di recuperare il tempo perduto dal Comune nell’utilizzare i cospicui fondi per l’edilizia giudiziaria messi a disposizione dal Ministero della giustizia e, per altro verso – anche in conseguenza della necessità di fronteggiare l’urgenza rappresentata dal concreto rischio di perdere i fondi lasciati inutilmente giacere per tanti anni – affetta da diffuse e plurime illegittimità. A tal proposito, sebbene le regole processuali impongano al Collegio di arrestarsi al rilievo di un vizio di incompetenza (sul quale v. infra), nondimeno, solo al fine di tratteggiare il contesto nel quale si è svolta la procedura in questione, è sufficiente riferire che, in spregio a molteplici principi del diritto amministrativo, il Comune di Messina, a tacer d’altro, ha:

– del tutto ignorato l’esistenza di un preciso requisito delle offerte immobiliari nitidamente fissato nell’avviso pubblicato dal medesimo ente locale, giacché le offerte avrebbero dovuto concernere fabbricati già costruiti e pronti alla consegna entro il termine – definito espressamente nell’avviso come essenziale – del 10 settembre 2009;

– soprasseduto sul difetto della conformità urbanistica di alcuni immobili offerti dalle imprese concorrenti, in forza di un patente contrasto con il locale Piano A.S.I., almeno con riferimento al rapporto di copertura degli edifici;

– interpretato in modo eccessivamente elastico l’oggetto della gara che, da procedura obiettivamente finalizzata alla stipula di un contratto di compravendita, si è poi trasformata strada facendo – anche per effetto del completo travisamento del surriferito vincolo temporale (10 settembre 2009) – in un procedimento di aggiudicazione di un contratto a causa mista, di vendita e di appalto di lavori (in relazione alle parti degli immobili offerti da alcune concorrenti – inclusa l’aggiudicataria – non ancora completate né idonee all’utilizzo come ufficio giudiziario); è perfino inutile soggiungere che la procedura, laddove ha assunto i concreti caratteri dell’aggiudicazione di un rilevante appalto di lavori pubblici, è stata condotta in violazione di numerose, pertinenti norme del Codice dei contratti pubblici, di cui al D.Lgs. n. 163/2006.

In ogni caso, al di là delle precedenti considerazioni di natura delibativa (le quali, nell’economia motivazionale della presente pronuncia, assumono unicamente il valore di un doveroso monito conformativo rivolto all’amministrazione civica messinese onde orientarne la futura attività gestionale), appare non seriamente contestabile che il procedimento in questione, in disparte le plurime anomalie che ne hanno connotato lo svolgimento, avesse come precipua finalità l’acquisto di uno o più edifici esistenti, mirando il Comune di Messina alla conclusione di un contratto di compravendita immobiliare, sebbene attraverso l’intermediazione di un previo preliminare.

Al riguardo deve subito sgombrarsi il campo dall’eccezione relativa al presunto difetto di interesse dell’appellante principale, eccezione che la GMC ha ancorato alla circostanza che l’invito ad offrire, negli artt. 5 e 7, qualificasse come non vincolanti le offerte ricevute e che riservasse all’amministrazione la facoltà di sospendere o di revocare la procedura. In primo luogo, va osservato che, in senso stretto, nessuna procedura di evidenza pubblica vincola l’amministrazione che l’abbia indetta alla successiva conclusione del contratto esitato, sussistendo sempre la possibilità, per l’amministrazione, di far ricorso al mero ritiro o agli altri istituti di autotutela degli atti indittivi e di quelli di gara, allorquando sussistano i presupposti per l’annullamento d’ufficio o per la revoca (si veda, in questo senso, la regola generale per gli appalti pubblici ricavabile dall’art. 81, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006). Da ciò consegue che le clausole dell’invito ad offrire evocate dalla GMC a supporto della tesi dalla stessa patrocinata, al pari del richiamo agli artt. 1329 e 1331 c.c. contenuto nell’incipit del medesimo invito, da un lato, non hanno prodotto l’effetto di subordinare la conclusione del contratto di vendita a una condizione meramente potestativa e, dall’altro lato, nemmeno possono giustificare una (non consentita) deroga ai principi che informano l’esercizio dei poteri in autotutela delle pubbliche amministrazioni. Difatti, l’esegesi degli atti amministrativi deve essere sempre orientata dal fondamentale canone di conservazione degli effetti giuridici di tal che bisogna sempre preferire, ove possibile, un’interpretazione conformata dal principio di legalità: icasticamente, può affermarsi che si deve postulare che l’amministrazione abbia inteso adottare un atto valido piuttosto che uno invalido.

Escluso, pertanto, che gli artt. 5 e 7 dell’invito ad offrire siano decisivi per ascrivere la procedura competitiva in esame all’ambito del diritto privato invece che a quello del diritto amministrativo, possono dunque indicarsi in rapida rassegna le caratteristiche del procedimento che ne rivelano al di là di ogni ragionevole dubbio la natura propriamente pubblicistica di gara tesa a selezionare la controparte di un contratto (preliminare e poi definitivo) di compravendita immobiliare.

In questa prospettiva meritano di essere valorizzate le seguenti circostanze:

a) il procedimento è stato avviato con la pubblicazione di un atto indittivo (id est, l’"invito ad offrire");

b) la lex specialis si presenta isomorfica rispetto a quella delle ordinarie procedure di gara, generando un preciso autovincolo in capo al Comune di Messina per quanto riguarda l’ammissione delle offerte e la loro valutazione;

c) la commissione di valutazione si è riunita in più sedute e ha anche escluso le offerte prive dei requisiti imposti dal suddetto invito;

d) la commissione ha calcolato e attribuito punteggi alle offerte esaminate;

e) all’esito del procedimento è stata stilata una graduatoria sulla base delle valutazioni compiute dalla precitata commissione;

f) l’impresa aggiudicataria è stata individuata in conformità alla graduatoria.

Inoltre, qualora il Comune di Messina avesse effettivamente inteso compiere un mero sondaggio di mercato, ben avrebbe potuto prescindere da qualunque rigorosa formalizzazione procedimentale. Del resto concorre a colorare le reali intenzioni perseguite con la procedura in discorso l’impellente bisogno del Comune di Messina, al quale si è sopra accennato, di pervenire quanto prima a una conclusione di un procedimento per poter sperare nella conservazione dei fondi messi a disposizione dal Ministero della giustizia.

Una volta chiarita la natura del procedimento in disamina, emerge con evidenza l’infondatezza dell’appello incidentale.

Erra, invero, la GMC nel ritenere che la procedura, in disparte le molteplici carenze richiamate, non fosse assoggettata alle ineludibili regole dell’evidenza pubblica. Il principio generale dell’obbligatorio ricorso all’evidenza pubblica anche per l’acquisto di beni immobili – senza alcuna necessità di invocare ulteriori e pur convergenti formanti interni o sovranazionali – è scolpito a chiare lettere dall’art. 3, secondo comma, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) – norma che è espressione di una ormai secolare tradizione della contabilità pubblica -, secondo cui: "(i) contratti dai quali derivi una spesa per lo Stato debbono essere preceduti da gare mediante pubblico incanto o licitazione privata, a giudizio discrezionale dell’amministrazione.".

Il precedente rilievo illumina pure l’esegesi dell’art. 19 del citato D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), a torto invocato dalla GMC a sostegno delle sue tesi.

Il comma 1 dell’art. 19 sunnominato, rubricato "Contratti di servizi esclusi", recita per quel che qui interessa: "1. Il presente codice non si applica ai contratti pubblici:

a) aventi per oggetto l’acquisto o la locazione, quali che siano le relative modalità finanziarie, di terreni, fabbricati esistenti o altri beni immobili o riguardanti diritti su tali beni; (…)". Orbene, a detta dell’appellante incidentale, il tenore della riferita disposizione dimostrerebbe come la procedura in esame esuli dall’alveo della giurisdizione amministrativa, asseritamente consistendo i procedimenti di acquisto immobiliare indetti dalle pubbliche amministrazioni in mera attività retta interamente dal diritto privato.

In realtà l’approdo ermenutico della GMC è viziato da una parziale considerazione della normativa rilevante. Fermo restando quanto sopra osservato circa il doveroso avvio in via generale (con salvezza delle eccezioni previste dall’ordinamento) di una procedura di evidenza pubblica per l’acquisto, da parte di una pubblica amministrazione, di un bene immobile sul libero mercato, vale soggiungere che l’esatto significato del suddetto art. 19 può essere colto soltanto interpretando la norma in combinato disposto con i successivi artt. 27, comma 1, e 244, comma 1 (quest’ultimo nella versione applicabile alla fattispecie ratione temporis) del medesimo decreto legislativo.

Ebbene, il primo articolo richiamato, intitolato "Principi relativi ai contratti esclusi", dispone, al comma 1: "L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi, forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità. L’affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto", mentre la seconda disposizione, al comma 1, prevedeva: "Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale".

Dalla lettura congiunta delle norme testé riferite si evince:

– la conferma che, pur non trattandosi di attività assoggettata al Codice dei contratti pubblici, nondimeno anche la "fornitura" di immobili – come potrebbe astrattamente qualificarsi l’acquisto di un edificio già esistente, secondo la terminologia utilizzata dal D.Lgs. n. 163/2006 – costituisce comunque un attività amministrativa procedimentalizzata;

– la non riconducibilità delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ciò non significa, però, che difetti in toto la giurisdizione amministrativa, anzi l’appartenenza della controversia alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo è assolutamente incontestabile, anche alla luce delle nitide coordinate tracciate dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 204/2004.

Per le ragioni appena illustrate l’appello incidentale della GMC, sorretto dall’unico motivo pregiudiziale appena esaminato, deve essere respinto.

9. – La reiezione dell’appello incidentale interposto da GMC consente di passare all’esame dell’appello proposto dall’Arcidiocesi, dal momento che l’altro appello incidentale, promosso dalla Neptunia, investe, al pari di quello principale, statuizioni di merito e, quindi, non richiede un prioritario scrutinio.

10. – Preliminare disamina esige il primo mezzo di gravame al quale l’Arcidiocesi ha affidato la propria impugnazione. Con tale articolato motivo di doglianza l’appellante principale ha, tra l’altro, censurato gli atti avversati per violazione delle norme sulla competenza degli organi degli enti locali, siccome delineata dalla normativa regionale siciliana. Più in dettaglio, l’Arcidiocesi ha preso l’abbrivo dalla critica alla sentenza gravata nella parte recante la qualificazione della procedura in discorso alla stregua di un mero sondaggio di mercato (sull’esattezza di tale critica, v. supra) e ha concluso, in coerenza con l’evidenziata natura di vera e propria aggiudicazione della delibera giuntale impugnata, deducendo la violazione dell’art. 50 della L. n. 16/1963 (recte: art. 51 del decreto legge del Presidente della Regione 29 ottobre 1955, n. 6, al quale rinvia l’art. 1 della L. 15 marzo 1963, n. 16, in materia di ordinamento amministrativo degli enti locali nella Regione Siciliana).

Prima di ogni altra considerazione deve osservarsi che la censura non incappa nell’inammissibilità eccepita dalle controparti, secondo la quale l’Arcidiocesi, essendosi classificata terza nella graduatoria, sarebbe priva di un interesse all’impugnativa. Contro siffatta eccezione è infatti sufficiente rilevare che l’interesse dell’appellante principale a denunciare l’incompetenza della Giunta municipale prescinde dalla considerazione del concreto esito della gara, mirando strumentalmente il mezzo di gravame alla rinnovazione di parte del procedimento e, in particolare, dell’aggiudicazione.

La doglianza è fondata e merita accoglimento.

La precedente asserzione impone un duplice approfondimento: uno in punto di rito, l’altro relativo all’interpretazione della pertinente normativa regionale.

La precisazione in rito riguarda la priorità dello scrutinio relativo a censure incentrate sulla denuncia di un vizio di incompetenza relativa. Sebbene il nuovo codice del processo amministrativo non riproduca una norma dal tenore analogo a quello dell’abrogato art. 26, secondo comma, primo periodo, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), secondo cui il T.A.R: "(s)e accoglie il ricorso per motivi di incompetenza, annulla l’atto e rimette l’affare all’autorità competente", nondimeno rimane inalterata, sul piano logico e processuale, la necessità di riservare alle doglianze in materia di vizi di incompetenza (sostanziale) degli atti impugnati una disamina anticipata rispetto agli eventuali, ulteriori motivi di impugnativa. Una priorità del genere descritto discende dall’immanente principio di economia processuale che impone di evitare un’inutile attività cognitoria e decisoria del giudicante ogniqualvolta risulti sussistente il vizio di incompetenza del provvedimento impugnato, tale da travolgere in radice la legittimità dell’atto avversato e di quelli successivi che in quello abbiano trovato un essenziale presupposto.

11. – Il secondo approfondimento investe più direttamente l’individuazione delle previsioni regionali (si rammenta incidenter che, ai sensi dell’art. 14 Stat., la Regione Siciliana dispone di legislazione esclusiva in materia, tra l’altro, di regime degli enti locali).

Si è chiarito sopra che il procedimento indetto dal Comune di Messina, lungi dall’essere un mero sondaggio di mercato e indipendentemente dall’irrilevante nomen iuris utilizzato, fu a tutti gli effetti un procedimento di gara per l’acquisto di beni immobili da destinare a uffici giudiziari. Ciò comporta che l’atto con il quale è stata approvata la graduatoria della gara, ossia la delibera giuntale impugnata, ha assunto la natura e i caratteri di un autonomo atto di aggiudicazione, a prescindere dalla circostanza che tale conclusione del procedimento dovesse poi essere consacrata in un contratto.

Sicuramente, con l’approvazione della graduatoria il Comune di Messina si è vincolato alla conclusione dei successivi negozi, rispettivamente ad effetti obbligatori e reali, pur avendo subordinato detto obbligo all’acquisizione di alcuni pareri (tra i quali quello – mai intervenuto – del Consorzio A.S.I. circa il possibile insediamento di uffici pubblici nell’ambito della Z.I.R. di Messina, quello della locale C.E.C., ecc.).

Inoltre l’aggiudicazione della gara era finalizzata al conseguimento della materiale erogazione, da parte del Ministero della giustizia, delle somme stanziate necessarie all’acquisto e all’adeguamento del compendio immobiliare in concreto prescelto.

Orbene, nell’ordinamento isolano la vigente disciplina delle competenze dei consigli comunali deve rinvenirsi, non più nella previsione indicata dall’Arcidiocesi, ma nell’art. 32 della legge statale 8 giugno 1990, n. 142, come recepita dalla L. 11 dicembre 1991, n. 48. Il sunnominato art. 51 è infatti da reputarsi abrogato implicitamente per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 4 della L. 20 agosto 1994, n. 32 che, al comma 2, ha, per l’appunto, circoscritto le competenze dei consigli comunali a quelle tassativamente elencate dal suddetto art. 32.

E’ noto che la L. 8 giugno 1990, n. 142 ridisegnò l’assetto delle competenze degli organi comunali, riservando ai consigli una competenza tassativamente circoscritta ad alcuni atti fondamentali analiticamente indicati nell’art. 32, e attribuendo, per contro, alle giunte una competenza deliberativa di carattere generale e residuale su tutti gli atti di amministrazione non riservati dalla legge al consiglio e non rientranti nelle competenze, previste dalla legge o dallo statuto, di altri organi amministrativi e tecnici.

Detta legge fu recepita in Sicilia con la citata L. 11 dicembre 1991, n. 48 che ha operato un rinvio recettizio e statico alla predetta disciplina statale, così che l’ordinamento regionale non ha subito alcuna automatica modifica in conseguenza dell’intervento di nuove norme statali (in termini, C.G.A., sez. cons., 16 novembre 1993, n. 592). Da ciò consegue che la normativa recepita, seppure abrogata a livello statale (dall’art. 274 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), è tuttavia rimasta in vigore in ambito regionale, con le modifiche e le integrazioni disposte dalle successive leggi siciliane.

Stante quanto testé precisato, occorre ulteriormente osservare che le competenze della Giunta comunale devono intendersi indirettamente disciplinate dall’art. 13, comma 3, della L. 26 agosto 1992, n. 7, che rinvia, a sua volta, all’art. 15 della L. 3 dicembre 1991, n. 44. Quest’ultima disposizione prevede effettivamente, al comma 3, una competenza della Giunta in materia di acquisti, ma la norma deve essere interpretata in coerenza del precitato art. 13 che limita i poteri deliberativi della Giunta, di cui all’art. 15, alle materie che non siano di competenza del Consiglio comunale ai sensi – per quanto sopra osservato – dell’art. 32 della L. n. 142/1990, siccome recepita in Sicilia e successivamente modificata e integrata. Tra le modifiche apportate all’art. 32 vi è stata quella introdotta dall’art. 78 della L.R. 12 gennaio 1993, n. 10, con la quale è stata sostituita la lett. m) del comma 1, lett. e), punto 6, della L. n. 48/1991: per effetto di detta modifica tra le competenze dei Consigli comunali siciliani non compare più quella dell’originaria lett. m) dell’art. 32 della L. n. 142/1990 relativa agli acquisti immobiliari.

Al lume del surriferito, complicato quadro normativo – del quale sono stati riportati unicamente gli snodi e i contenuti essenziali – deve reputarsi che gli acquisti immobiliari rientrino nella competenza della Giunta, a meno che le operazioni di acquisizione intercettino una o più delle materie di competenza consiliare.

Ebbene, trapiantato il predetto criterio ermeneutico alla vicenda che occupa il Collegio, colpisce la circostanza che, per un intervento così rilevante sia dal punto di vista finanziario (il valore dell’acquisto supera comunque i dieci milioni di euro) sia da quello urbanistico, non sia stato mai interessato il Consiglio comunale di Messina, non essendosi previsto alcun passaggio deliberativo tra l’indizione della gara e la stipula del contratto (allo stato soltanto preliminare) di vendita, nonostante la pluralità di competenze consiliari lambite dall’intera operazione. Segnatamente, ad avviso del Collegio, una deliberazione del Consiglio comunale, ben prima dell’adozione della delibera giuntale impugnata in prime cure, sarebbe stata necessaria in considerazione quantomeno dell’interferenza (v. l’art. 32, comma 2, lett. b), della L. n. 142/1990) dello specifico acquisto immobiliare sui:

– piani finanziari;

– programmi di opere pubbliche; – bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni;

– piani territoriali e urbanistici.

Soltanto con riferimento a quest’ultimo aspetto va osservato che l’ipotetica acquisizione del complesso immobiliare della GMC – ritenuta possibile dal Comune in base all’elastica (e, per vero, perplessa) interpretazione dell’invito ad offrire – avrebbe comportato una modifica del Piano A.S.I. e conseguentemente degli strumenti urbanistici comunali.

Sussiste, pertanto, il vizio di competenza denunciato dall’Arcidiocesi. Siffatta illegittimità travolge sicuramente la delibera giuntale impugnata e tutti gli atti successivi che la presuppongono.

A stretto rigore l’annullamento non investe gli atti prodromici della procedura di gara e nemmeno l’invito ad offrire, ma è del tutto evidente che le censure contro di essi rivolte – per effetto diretto e consequenziale dell’eliminazione dell’atto finale del procedimento di evidenza pubblica nell’alveo del quale i suddetti atti vennero ad esistenza – sono da ritenersi non più sorrette da alcun interesse, in quanto rivolte contro atti endoprocedimentali, non immediatamente lesivi.

Spetterà, pertanto, all’amministrazione comunale dare attuazione agli effetti caducatorio e conformativo scaturenti dalla presente sentenza e, quindi, sarà di primaria competenza del Consiglio comunale di Messina decidere, in considerazione delle plurime doglianze dirette contro l’intero procedimento (doglianze che non è stato possibile esaminare in questa sede), se rinnovare la procedura nel suo atto finale o, piuttosto, a partire ab ovo dalla stessa indizione.

12. – Si presentano assai articolate le conseguenze processuali delle precedenti statuizioni. Innanzitutto:

– va respinto l’appello incidentale proposto dalla GMC nell’ambito del processo instaurato con il ricorso n. 1192/2010 r.g.;

– deve, invece, accogliersi l’appello principale di cui al medesimo ricorso e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza del T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 3721/2010, va accolto, per i motivi sopra spiegati, il ricorso di primo grado proposto dall’Arcidiocesi;

– infine va dichiarato improcedibile l’appello incidentale interposto da Neptunia, in ragione dell’eliminazione dell’atto impugnato in prime cure.

Peraltro dal suddetto annullamento discendono rilevanti conseguenze anche per le altre cause riunite alla presente poiché la delibera di Giunta comunale n. 698/2009 è al centro di tutti i contenziosi.

Sicuramente l’annullamento della succitata delibera comporta la perdita di interesse delle altre appellanti, principali e incidentali, alla coltivazione delle rispettive impugnazioni. Ancora prima, però, la demolizione, con effetto retroattivo, della delibera in questione ha in sostanza privato di oggetto le ulteriori sentenze impugnate, le quali, sebbene non formalmente passibili di annullamento, devono ormai ritenersi del tutto inefficaci e non esecutive. Quindi, pronunciando sulle impugnazioni di cui ai ricorsi iscritti con il n. 1205/2010 r.g. e con il n. 127/2011 r.g., proposti rispettivamente avverso le sentenze del T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 3701/2010 e n. 4230/2010, occorre dichiarare improcedibili, per quanto sopra chiarito, gli appelli principali e tutti i relativi appelli incidentali.

13. – Un discorso a parte merita l’appello principale n. 140/2011 r.g. proposto dagli avvocati indicati nelle premesse. Costoro, tutti appartenenti al Foro di Messina, hanno impugnato la delibera di Giunta n. 698/2009 (dapprima attraverso ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, poi trasposto in sede giurisdizionale, in forza dell’opposizione di Neptunia), ritenendo che la loro legittimazione all’impugnativa riposasse sull’art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e recentemente equiparata, per valore giuridico, ai Trattati istitutivi dell’Unione, in virtù dell’art. 6 del TUE (come risultante dalle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona), nonché sugli artt. 4 e 35 della Costituzione. In particolare, invocando il diritto, riconosciuto a ogni persona, di esercitare liberamente una professione sul territorio dell’Unione, gli avvocati appellanti hanno affermato di aver patito un vulnus in conseguenza della procedura di acquisto in esame: tanto perché la scelta caduta sui beni della GMC sortirebbe, quale diretta conseguenza, l’effetto di ostacolare, a causa della disagevole localizzazione del compendio immobiliare, il futuro esercizio della professione forense. Siffatta localizzazione costituirebbe infatti una barriera alla permanenza sul mercato dei professionisti appellanti. Soggiungono che, sulla base del diritto dell’Unione, gli avvocati sono da intendersi equiparati a tutti gli effetti a imprese e, quindi, come tali hanno interesse a impugnare gli atti indittivi contenenti clausole che ne precludano la partecipazione e pure l’interesse a contestare la scelta di una procedura di gara in luogo di una diversa, ritenuta legittima.

La riferita tesi degli appellanti è del tutto priva di fondamento giuridico. Nella fattispecie non è in discussione la circostanza che, a certi fini (come la libertà di stabilimento), gli avvocati e anche gli altri professionisti possano essere considerati imprese alla stregua del diritto sovranazionale. Tale qualificazione tuttavia non legittima gli avvocati ricorrenti a contestare l’indizione e lo svolgimento della gara disposta dal Come di Messina:

– sia perché i suddetti avvocati non hanno partecipato alla procedura (ed è dubbio che, in quanto tali, avrebbero potuto partecipare, a meno che gli stessi non fossero in grado di offrire in vendita al Comune di Messina una struttura avente le caratteristiche richieste dall’invito);

– sia, soprattutto, perché i medesimi professionisti, a ben vedere, hanno dedotto in giudizio un interesse di mero fatto a una diversa localizzazione del futuro Palazzo di Giustizia.

E’ del tutto evidente, infatti, che la localizzazione di una sede di tribunale in un luogo o in un altro del comune capoluogo del circondario non impedisce affatto, tanto meno nei termini di una vera e propria impossibilità (comunque non dimostrata), l’esercizio della professione forense e non incide in alcun modo sul regime giuridico di quest’ultima; al più, detta localizzazione può interferire, in meglio o in peggio, sul valore di mercato degli studi legali dei ricorrenti e sull’incremento o la perdita dei relativi avviamenti, rappresentati dalle rispettive clientele. Nondimeno detti interessi, puramente economici, non meritano protezione giudiziaria perché sono da considerare alla stessa stregua dell’interesse, del pari non tutelabile, che potrebbe avere un qualunque altro imprenditore in quanto tale – e non, ad esempio, quale proprietario inciso nei suoi interessi urbanistici (sebbene una lesione del genere sarebbe da ricondursi causalmente al rilascio dell’originario titolo abilitativo alla costruzione dell’immobile e non alla sua selezione nell’ambito di una procedura di acquisto di fabbricati già esistenti) – alla contestazione delle scelte localizzative di un’opera pubblica o di un centro di produzione di servizi pubblici. Anzi, dal momento che la creazione di un secondo Palazzo di Giustizia è obiettivamente destinata a ridurre i disagi derivanti dalla congestione della struttura già esistente e di migliorare conseguentemente le condizioni di lavoro degli avvocati messinesi, la decisione impugnatoria dei ricorrenti appare finanche incomprensibile giacché si risolve, in sostanza, nella contrapposizione di un interesse individuale (seppure comune a tutti i numerosi appellanti) di natura esclusivamente economica a quello, proprio di tutta la categoria di appartenenza, di beneficiare di una più consona sistemazione in termini di locali pubblici a disposizione del servizio giustizia, onde realizzarne l’obiettivo di una migliore fruizione.

Viepiù gli interessi dei quali si sono fatti portatori gli appellanti avrebbero dovuto trovare idonea tutela nella Commissione di manutenzione in seno alla quale è rappresentato, al massimo livello, il locale Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Messina, unica autorità in grado, nella fattispecie, di mediare tra i presumibili, contrapposti interessi (almeno in relazione all’oggetto della pretesa degli appellanti) dei relativi iscritti e delle associazioni di categoria, al fine di farne emergere un comune punto di ricaduta.

Pertanto, a prescindere da ogni altra considerazione sulla improcedibilità (che è però una causa estintiva del giudizio logicamente posposta rispetto all’inammissibilità) del ricorso per tutto quanto sopra considerato, l’appello va comunque giudicato preliminarmente inammissibile per difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, giacché non titolari di un interesse differenziato e qualificato all’impugnativa.

L’inammissibilità dell’appello principale, in uno con la sopravvenuta perdita di efficacia della sentenza impugnata in primo grado (v. supra), travolge in via consequenziale i relativi appelli incidentali.

14. – Al lume delle superiori statuizioni, il Collegio ritiene di poter assorbire ogni altro motivo o eccezione, poiché ininfluenti e irrilevanti ai fini della presente decisione. Di nessuno spessore, in particolare, è la deduzione del Comune di Messina in ordine alla sopravvenuta revoca parziale ex lege (per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 46 del D.L. n. 78/2010) del finanziamento pubblico: quand’anche la revoca fosse automaticamente intervenuta nei termini indicati dall’ente civico, in ogni caso si tratterebbe, per l’appunto, di un elemento successivo ai fatti controversi e, perciò, del tutto ininfluente ai fini dello scrutinio della legittimità del procedimento in contestazione.

15. – In ragione dell’esito del processo sussistono giustificati motivi per compensare integralmente, tra tutte le parti costituite, le spese processuali del doppio grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sulle cause riunite indicate in epigrafe,

1) respinge, nei sensi di cui in motivazione, l’appello incidentale proposto dalla GMC nell’ambito del processo instaurato con il ricorso n. 1192/2010 r.g.;

2) accoglie l’appello principale di cui al ricorso n. 1192/2010 r.g. e, per l’effetto, – in riforma della impugnata sentenza del T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 3721/2010, accoglie, nei sensi precisati in motivazione, il ricorso di primo grado;

– dichiara improcedibile l’appello incidentale interposto da Neptunia nell’ambito del processo instaurato con il ricorso n. 1192/2010 r.g.;

– pronunciando sulle impugnazioni di cui ai ricorsi iscritti con il n. 1205/2010 r.g. e con il n. 127/2011 r.g., proposti rispettivamente avverso le sentenze del T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 3701/2010 e della sentenza del T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 4230/2010, dichiara, per quanto chiarito in motivazione, improcedibili gli appelli principali e tutti i relativi appelli incidentali;

– dichiara inammissibile l’appello principale n. 140/2011 r.g. e, per l’effetto, dichiara improcedibili i relativi appelli incidentali;

3) compensa integralmente tra tutte le parti costituite le spese processuali del doppio grado del giudizio.

4) Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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