Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-01-2012, n. 1281 Carriera inquadramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 14 aprile 2005 D.R.G. e i dodici litisconsorti in epigrafe indicati, tutti docenti dipendenti dal Ministero della pubblica istruzione presso l’Ufficio scolastico regionale per il Lazio – centro servizi amministrativi di Frosinone – avevano chiesto al Tribunale di Frosinone l’accertamento del loro diritto alla retrodatazione alla data del bando (1 ottobre 2001) della riqualificazione nelle posizioni economiche B3, C2 e C3 dell’aree B e C (nelle quali erano inquadrati) a seguito dell’utile partecipazione a procedure di riqualificazione indette dal Ministero con D.D.G. del 17 settembre 2001. In proposito, i ricorrenti avevano lamentato che illegittimamente il Ministero avesse disposto la diversa decorrenza giuridica ed economica del loro inquadramento all’1 febbraio 2004, data di approvazione dell’ultima graduatoria definitiva.

Sia il Tribunale che la Corte d’appello di Roma hanno accolto le domande, condannando il Ministero al pagamento delle conseguenti differenze retributive.

In particolare, la Corte territoriale, con sentenza depositata il 10 novembre 2009 e notificata il 4-7 dicembre successivo, ha fondato la propria decisione sul rilievo che 1) l’art. 13 del bando di concorso prevedeva l’inquadramento nel nuovo profilo professionale con decorrenza dalla data del 1 ottobre 2001, di pubblicazione del bando medesimo; 2) che ciò era conforme a quanto stabilito dall’art. 19, comma 5 del contratto collettivo integrativo per il personale del comparto Ministeri – Ministero della P.I. del 29 gennaio 2000; 3) che con tale regola non era in contrasto il successivo contratto collettivo integrativo del 9 febbraio 2004, in particolare con l’art. 4 di esso, il quale, individuando una data uguale per tutti i provvedimenti di inquadramento del personale a seguito di passaggi all’interno delle aree B e C, sarebbe diretto unicamente ad individuare in una data eguale per tutti il momento della "vacanza" dei posti per poter poi mettere a concorso questi ultimi, nel quadro di una modifica della disciplina che tenesse conto della sentenza 16 maggio 2002 della Corte costituzionale.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso il Ministero e l’Ufficio scolastico regionale per il Lazio, con un unico articolato motivo.

Resistono alle domande gli intimati, con un rituale controricorso.

Motivi della decisione

Col ricorso viene denunciata la violazione ed erronea interpretazione dell’art. 4 del contratto integrativo per il personale del comparto Ministeri – Ministero della P.I. del 9 febbraio 2004, in raffronto all’art. 19, comma 5 del precedente contratto integrativo del 21 settembre 2000, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40 e 40-bis, il travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, l’illogicità manifesta, la violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, la violazione degli artt. 1328 e 1336 c.c., la motivazione incongrua ed erronea in relazione ai fatti e alle norme contrattuali nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia prospettati dalle parti.

Preliminarmente, si rileva che tutta la prima parte del ricorso, diretta a sostenere che l’intangibilità delle disposizioni del bando di concorso non riguarda, a norma degli artt. 1336 e 1328 cod. civ., la decorrenza delle assunzioni dei vincitori, non è pertinente rispetto al contenuto della sentenza, la quale ha affermato che dal bando di concorso non era derivato un diritto quesito dei dipendenti alla decorrenza dell’inquadramento ivi prevista, la quale poteva pertanto essere modificata da una norma collettiva successiva, purchè antecedente all’approvazione della graduatoria e tale dictum non è stato oggetto di ricorso incidentale degli intimati in questa sede.

Le argomentazioni sviluppate sul tema restano pertanto estranee alla materia del contendere residuata in questa sede (diversamente dall’analogo caso citato nel controricorso, concluso con la sentenza di questa Corte 19 giugno 2009 n. 14478, cui adde Cass. 30 dicembre 2010 n. 26493).

Va poi escluso che questa Corte abbia il potere di censurare direttamente l’interpretazione delle norme contrattuali collettive citate, in quanto trattasi di norme contenute in un contratto integrativo (per la relativa esclusione, cfr., per tutte, Cass. 17 agosto 2004 n. 16059 e 21 febbraio 2008 n. 4505), la cui interpretazione può costituire oggetto di controllo in sede di legittimità unicamente per vizi attinenti ai criteri legali di ermeneutica contrattuale utilizzati o ad una motivazione carente o illogica.

Ciò premesso, l’argomento centrale delle censure sviluppate nel ricorso è rappresentato dall’assunto relativo alla erronea applicazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale della sentenza impugnata, la quale si sarebbe erroneamente limitata a valorizzare il mero tenore letterale delle clausole esaminate, senza rilevare la necessità di utilizzare, nel procedimento di interpretazione, una serie di atti e documenti prodotti ed illustrati dal Ministero (parere della Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l’analisi dei costi del lavoro e parere del Dipartimento della Funzione pubblica, ufficio relazioni sindacali), dai quali sarebbe chiaramente desumibile che, con l’art. 4 del C.C.N.I. del febbraio 2004, le parti collettive avevano inteso modificare il precedente accordo in punto di decorrenza dei nuovi inquadramenti.

Del resto, secondo i ricorrenti, l’interpretazione da essi sostenuta, diversamente da quella della Corte territoriale, risponderebbe a criteri di logica e di buon senso e sarebbe l’unica rispettosa dei principi regolanti la materia (regole del pubblico concorso, del buon andamento della P.A., in particolare quanto alla necessaria copertura finanziaria di propri atti).

In proposito e sotto il primo profilo, si rileva che i ricorrenti non specificano sufficientemente il contenuto degli atti che sosterrebbero una interpretazione diversa da quella letterale adottata dalla Corte territoriale, limitandosi ad estrapolarne una frase e soprattutto non specificano (in assenza di una loro menzione nella sentenza impugnata) se tali atti siano stati ritualmente acquisiti e non indicano se essi siano presenti nel giudizio di cassazione e in caso positivo ove siano rinvenibili.

Tali carenze determinano, ai sensi del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 l’improcedibilità del ricorso sul punto.

Recenti arresti delle sezioni unite di questa Corte (cfr., al riguardo, Cass. S.U. nn. 7161/10 e 20075/10), hanno infatti definitivamente confermato che "in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento;

c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso".

Siffatta regola, se non risulta applicabile al contratto collettivo nazionale di diritto pubblico (Cass. S.U. 4 novembre 2009 n. 23329), vige sicuramente per i contratti integrativi, quale quelli qui invocati e per gli atti e documenti che ne dovrebbero sostenere una determinata interpretazione.

Quanto infine al secondo aspetto della censura, più che rappresentare l’esistenza di specifici vizi relativamente alle argomentazioni che sostengono l’interpretazione della norma, autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., ad es. Cass. nn. 2272/07 e 14973/06), il Ministero si limita a contrapporre alle valutazioni della Corte territoriale proprie diverse valutazioni.

Con ciò dimenticando che il controllo in sede di legittimità su di un giudizio di fatto del giudice di merito, quale anche quello di interpretazione di una norma contrattuale, non può spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, quasi a formare un terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due gradi precedenti, magari perchè ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa muovere esclusivamente (attraverso il filtro delle censure proposte dalla parte ricorrente) nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c..

In particolare, quando il giudizio di fatto del giudice di merito consista nella interpretazione di una norma di un contratto individuale o collettivo, la censura finalizzata al controllo di legittimità di tale giudizio non può mai consistere nella mera contrapposizione di una diversa interpretazione (Cass. 22 novembre 2010 n. 23635, 18 aprile 2008 n. 10203, 2 novembre 2007 n. 23484).

Non va infine taciuto che appare fuori luogo nel caso in esame l’invocazione della regola del pubblico concorso, che non riguarda necessariamente i passaggi di livello, all’interno della medesima area di classificazione e che comunque nel caso in esame è stato utilizzato nella forma della procedura di qualificazione; o il richiamo alla regola della necessaria copertura finanziaria, che nel caso di specie è stata esplicitamente accertata come osservata dalla sentenza impugnata alla luce dei documenti acquisiti, accertamento che non è stato specificatamente censurato dal ricorso.

Concludendo, le considerazioni svolte conducono necessariamente al rigetto del ricorso, con le normali conseguenze anche in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, secondo la liquidazione fattane in dispositivo.

Non sussistono i presupposti per la condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rimborsare ai resistenti le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 90,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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