Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-01-2012, n. 1277 Mobbing

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Aosta, S.A. esponeva di aver lavorato alle dipendenze della Regione autonoma Valle d’Aosta dal 3 luglio 1972 al 18 gennaio 2004, da ultimo presso l’Assessorato al Turismo, Ambiente ed Opere Pubbliche con la qualifica di coadiutore tecnico.

Lamentava, per quanto qui interessa: a) di avere dovuto per lungo tempo sopportare carichi di lavoro eccessivi, e di essere sovente venuto in conflitto sia con i colleghi dell’ufficio che con i propri superiori gerarchici in conseguenza della diligenza con la quale avevano svolto le mansioni affidategli; b) di avere i suoi superiori tenuto comportamenti vessatori, in particolare quanto alle visite di controllo nel caso di assenze per malattia ed alle mansioni assegnategli, giungendo persino a modificare le prescrizioni mediche a lui relative; c) di aver subito due infortuni sul lavoro, nel 1990 e nel 1994, entrambi riconosciuti come dovuti a causa di servizio, ed un ulteriore infortunio il 10 luglio 2001, addebitabile a colpa della datrice di lavoro ed in relazione al quale la Regione aveva ritardato "il disbrigo delle pratiche di infortunio"; d) di essere stato, a seguito di tali infortuni, adibito a mansioni puramente d’ufficio (addetto all’archiviazione) e perciò demansionato; e) di aver subito, in conseguenza dei comportamenti sopra esposti, qualificabili come mobbing, un danno alla propria salute stante l’insorgenza di depressione, stati d’ansia ed ipertensione. Tanto esposto, e deducendo che la patologia insorta trovava la propria causa nei comportamenti mobbizzanti tenuti dalla Regione e da ultimo nell’infortunio occorsogli nel 2001, lo S. chiedeva la condanna della Regione al risarcimento dei danni subiti (biologico, da invalidità permanente, esistenziale, alla vita di relazione), da determinarsi secondo l’equo apprezzamento del Tribunale.

Si costituiva la Regione resistendo al ricorso.

Espletata prova testimoniale ed esperita c.t.u., il Tribunale di Aosta, con sentenza del 28 marzo 2008, respingeva il ricorso e compensava le spese.

Proponeva appello lo S.. Resisteva la Regione.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 4 giugno 2009, respingeva il gravame.

Per la cassazione di quest’ultima propone ricorso lo S., affidato a tre motivi.

Resiste la Regione con controricorso, poi illustrato con memoria.

Motivi della decisione

1. Tutti i tre motivi di censura denunciano una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine:

alla sussistenza del lamentato mobbing (che la corte territoriale escluse nonostante aver accertato che il dipendente non venne sottoposto con la prescritta periodicità alle visite mediche di controllo, così come da certificato sanitario ove venne riconosciuto parzialmente inidoneo alle mansioni di coadiutore tecnico, certificato erroneamente "interpretato" dal giudice d’appello); alla sussistenza del danno morale (che la corte territoriale negò avendo escluso una responsabilità datoriale con riferimento ai comportamenti lamentati); al mancato rinnovo della c.t.u. (diniego che la corte territoriale ometteva del tutto di motivare).

2. Tutte le censure, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminate, risultano inammissibili, difettando del quesito cd. di fatto di cui all’art. 366 bis c.p.c. e cioè della chiara indicazione dei fatti controversi in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, ed il momento di sintesi che consenta alla Corte di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso, senza necessità di un’attività interpretativa dell’intero motivo da parte della Corte (Cass. 30 dicembre 2009 n. 27680, Cass. 7 aprile 2008 n. 8897, Cass. 18 luglio 2007 n. 16002, Cass. sez. un. 1 ottobre 2007 n. 20603).

Nella specie la corte di merito ha adeguatamente e logicamente considerato che la datrice di lavoro non aveva violato le prescrizioni mediche, analiticamente esaminate, inerenti il ricorrente, nè lo aveva, tanto meno, adibito a mansioni non compatibili col suo stato di salute, nè, conseguentemente, aveva adottato comportamenti intenzionalmente diretti a danneggiare od emarginare lo S..

Il ricorrente si limita a contrapporre a tali accertamenti una diversa ricostruzione dei fatti, parimenti permeando il motivo di inammissibilità, intendendo ricondurre l’accertamento operato dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte, prospettando un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, laddove tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 26 marzo 2010 n. 7394). Deve quindi rimarcarsi che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa. Del resto, il citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274;

Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500;

Cass. 26 marzo 2010 n. 7394). Il ricorso, infine, difetta di autosufficienza non essendo stato prodotto il certificato medico di cui al primo motivo. A tal riguardo occorre osservare che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative, Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915. 3. Va comunque chiarito che mentre il secondo motivo, condizionato all’accoglimento del primo, resta assorbito, il terzo motivo attinente il mancato rinnovo della c.t.u. (essenzialmente basato su di un inammissibile dissenso diagnostico rispetto alle conclusioni del primo ausiliare, Cass. 29 aprile 2009 n. 9988), censura un tipico potere discrezionale del giudice del merito (cfr. Cass. 24 settembre 2010 n. 20227, secondo cui questi non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri istituzionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto), che nella specie risulta logicamente non esercitato una volta esclusa qualsivoglia responsabilità datoriale.

4. Il ricorso deve pertanto dichiararsi inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 40,00, Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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