T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, Sent., 11-10-2011, n. 530Rapporto di pubblico impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’attuale ricorrente, titolare di incarico a tempo determinato di psicologo ambulatoriale convenzionato per 20 ore settimanali, con istanza presentata il 7 marzo 2000 ha chiesto alla ASL di Chieti di essere confermato in detto incarico a tempo indeterminato beneficiando di quanto disposto dal D.P.R. 19 novembre 1998, n. 458, e della dichiarazione congiunta n. 2.

Non avendo l’Amministrazione assunto alcun provvedimento, ha chiesto al Giudice del lavoro di Chieti di accertare e dichiarare il suo diritto alla conferma nel suddetto incarico a decorrere dal 1° gennaio 1995 e di condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti.

Con sentenza del 17 settembre 2009, n. 1058, passata in giudicato, il Tribunale di Chieti ha accolto tale ricorso, affermando "il diritto del ricorrente alla conferma nell’incarico a tempo indeterminato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 e della norma finale n. 1 del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261", e condannando la ASL di Chieti "a confermare il dr. V.M. nell’incarico di psicologo ambulatoriale convenzionato a tempo indeterminato"; ha altresì condannato l’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti, che sono stati liquidati nella complessiva somma di Euro 111.815,38.

L’attuale ricorrente, dopo aver premesso che la ASL aveva provveduto al pagamento di quanto dovuto, ha evidenziato che il Direttore Generale dell’Azienda con deliberazione 26 marzo 2010, n. 274, lo aveva confermato nell’incarico a tempo indeterminato per sole 20 ore settimanali e non per 38 ore (pari al massimale orario previsto dal vigente contratto collettivo). Con il ricorso in esame ha chiesto l’adozione di tutte le misure atte a far cessare il predetto inadempimento e di condannare l’Amministrazione ad eseguire il predetto giudicato.

In particolare, ha evidenziato che in sede di liquidazione dei danni il CTU aveva calcolato la retribuzione spettante al ricorrente sulla base di 38 ore settimanali, per cui la sentenza andava interpretata nel senso che il ricorrente ha diritto alla riconferma a tempo indeterminato con un numero di ore pari al massimale orario previsto (38 ore).

L’Azienda sanitaria locale di Chieti, nel costituirsi in giudizio, con memoria depositata il 17 settembre 2011 per un verso ha eccepito la mancata tempestiva impugnazione della predetta deliberazione n. 272 e per altro verso ha dedotto che il giudice del lavoro nulla aveva statuito in ordine al predetto numero di ore, pur avendo il ricorrente chiesto nel ricorso la conferma "con un numero di 38 ore settimanali ovvero in numero di ore rapportato alle esigenze della ASL’. Ha, infine, ricordato – così come diffusamente evidenziato dal Direttore Generale nella predetta deliberazione – che, essendosi ridotto il lavoro nel settore della tutela sociale, erano in servizio molti psicologi convenzionati che non avevano raggiunto il massimale in questione.

Alla camera di consiglio del 6 ottobre 2011 la causa è stata introitata a decisione.

Motivi della decisione

1. – Con il ricorso in esame l’attuale ricorrente si lamenta della mancata esecuzione del giudicato formatosi a seguito della sentenza del Tribunale civile di Chieti 17 settembre 2009, n. 1058.

Con tale decisione – come sopra esposto – il Giudice del lavoro aveva dichiarato "il diritto del ricorrente alla conferma nell’incarico a tempo indeterminato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 e della norma finale n. 1 del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261", ed aveva condannato la ASL di Chieti "a confermare il dr. V.M. nell’incarico di psicologo ambulatoriale convenzionato a tempo indeterminato"; l’Amministrazione era stata, inoltre, condannata al risarcimento dei danni, liquidati nella complessiva somma di Euro 111.815,38.

L’Azienda sanitaria ha puntualmente provveduto al pagamento di quanto dovuto ed a confermare il ricorrente nell’incarico a tempo indeterminato; con il ricorso il ricorrente si lamenta esclusivamente del fatto che, relativamente alla conferma nell’incarico, il Direttore Generale dell’Azienda con deliberazione 26 marzo 2010, n. 274, aveva disposto la confermato per sole 20 ore settimanali e non per 38 ore (pari al massimale orario previsto dal vigente contratto collettivo). Per cui ha chiesto al Tribunale l’adozione di tutte le misure atte a far cessare il predetto inadempimento e di condannare l’Amministrazione ad eseguire il predetto giudicato.

2. – In via pregiudiziale, va ricordato che anche dopo la devoluzione alla giurisdizione ordinaria delle controversie dei pubblici dipendenti, il giudice amministrativo – a fronte di statuizioni giudiziali precise e determinate ed a posizioni azionate di diritto soggettivo – può certamente svolgere un’attività esecutiva delle sentenze in materia di lavoro che impongano alla pubblica amministrazione prestazioni infungibili, limitandosi, in tali casi, a dare attuazione alla sentenza resa dal giudice ordinario, senza integrarla o modificarla e senza che ciò comporti il pericolo di un recupero del sindacato sul rapporto di pubblico impiego (T.A.R. Lazio Latina, 4 dicembre 2007, n. 1484).

Il Giudice della giurisdizione ha, infatti, in merito già chiarito che, ai fini dell’attuazione di un giudicato in materia di rapporto di impiego pubblico privatizzato, è consentito fare ricorso al giudice amministrativo con il giudizio di ottemperanza soltanto in sede esecutiva, ma non già ove sia necessario un ulteriore giudizio di cognizione al fine di determinare esattamente il credito riconosciuto dalla sentenza; in quest’ultimo caso, invero, la parte interessata è tenuta a ricorrere nuovamente dinanzi al giudice ordinario, il quale solo ha il potere di integrare il giudicato stesso (Cass. Civ., sez. un., 15 luglio 2008, n. 19345).

Sempre in via pregiudiziale deve darsi atto della circostanza che la parte ricorrente nell’attuale giudizio di ottemperanza ha osservato la procedura prevista dagli artt. del 112115 del nuovo codice del processo amministrativo. Va, inoltre, rilevato che la decisione di che trattasi è stata, ad avviso del ricorrente, solo parzialmente eseguita, per cui poteva legittimamente esperirsi, in base al disposto del predetto art. 112, comma 1, lettera c), il presente giudizio di ottemperanza.

Deve, infine, osservarsi che non appare fondata l’eccezione d’inammissibilità proposta dalla parte resistente e con la quale questa ha eccepito la mancata tempestiva impugnazione della predetta deliberazione n. 272, in quanto – come è noto – gli atti eventualmente adottati in elusione del giudicato sono nulli (art. 21septies della L. 7 agosto 1990, n. 241) ed, in base al predetto art. 114, n. 4, lettera b), del codice del processo amministrativo, questo Tribunale, in caso di accoglimento del presente ricorso, ben può dichiarare "nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del giudicato".

3. – Così risolte tali questione pregiudiziali, ai fini del decidere occorre necessariamente partire dall’esame della predetta sentenza del giudice del lavoro per individuare quali siano state le questioni in concreto esaminate e decise da questo giudice: cioè, in definitiva, in relazione a quali questioni si è formato il giudicato.

A tale fine occorre necessariamente considerare solo quanto contenuto e statuito nella sentenza in parola; né può essere di aiuto in tale indagine l’esame del ricorso proposto dall’interessato dinanzi a tale giudice, dato che tale ricorso non è stato neanche versato in giudizio.

Ciò detto, l’interprete deve considerare il solo dato testuale della decisione in questione, che va necessariamente letto con riferimento alla normativa in concreto applicata.

Tale normativa, come è noto, è quella contenuta nell’art. 2 e nella norma finale n. 1 del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261, che ha previsto la conferma "nell’incarico a tempo indeterminato" degli psicologi titolari di incarico professionale a rapporto alla data del 10 luglio 1991 presso le Unità locali o presso gli enti locali. La stessa norma ha previsto, in aggiunta, al successivo comma n. 6, che gli interessati avrebbero dovuto "entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione" del predetto D.P.R. (cioè entro il 15 giugno 1992) presentare apposita domanda con la prevista documentazione e che l’Unità locale avrebbe dovuto assumere i provvedimenti di conferma nei successivi 60 giorni.

L’interessato non ha presentato tale domanda, ma solo con istanza presentata il 7 marzo 2000 ha chiesto alla ASL di Chieti di essere confermato in detto incarico a tempo indeterminato in virtù di quanto disposto dal D.P.R. 19 novembre 1998, n. 458, e della dichiarazione congiunta n. 2. Tale nuovo decreto aveva, invero, disposto la conferma nell’incarico a tempo indeterminato "dei professionisti già titolari di incarico ai sensi del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261"; mentre la dichiarazione congiunta n. 2 richiamata nella domanda era relativa alla manifestazione di intenti delle parti a trovare una soluzione relativamente a quei professionisti cui era stato conferito un incarico dopo il 10 luglio 1991 (cioè dopo la data di stipula del precedente contratto) e prima della pubblicazione dello stesso (cioè prima del 16 aprile 1992); tale problema, come è noto, è stato risolto con la norma transitoria contenuta nel successivo contratto approvato con D.P.R. 21 settembre 2001, n. 446, con il quale è stata prevista la "possibilità" per le Aziende di confermare a tempo indeterminato anche tale personale, però "con effetto dal giorno di ricevimento della raccomandata di conferma".

Il predetto D.P.R. 19 novembre 1998, n. 458 – va in aggiunta ricordato – conteneva poi all’art. 5 una specifica normativa in merito all’orario degli incarichi in parola, disciplinando la pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione dell’orario di attività di ogni professionista incaricato e le modalità di completamento dell’orario (fino ad un massimo di 38 ore) dei soggetti confermati a tempo indeterminato, con la precisazione ulteriore che, nel caso in cui l’Azienda avesse dovuto conferire aumenti orari, tali aumenti di orari avrebbero dovuto essere conferiti secondo specifici criteri (analiticamente precisati), ai titolari di incarichi a tempo indeterminato che avessero "espresso la propria disponibilità".

3. – Nel caso di specie, l’interessato ha presentato la domanda di conferma solo nel 2000, quando cioè svolgeva un incarico di 20 ore, chiedendo di beneficiare della dichiarazione congiunta n. 2 contenuta nel D.P.R. del 1998, e, non avendo l’Amministrazione assunto alcun provvedimento (probabilmente perché tale normativa non era applicabile nella specie), ha adito il Giudice del lavoro chiedendo allo stesso di accertare e di dichiarare il suo diritto alla conferma nel suddetto incarico a decorrere dal 1° gennaio 1995 e di condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti.

Con la sentenza ora all’esame, passata in giudicato, il Tribunale di Chieti ha accolto tale ricorso, riconoscendo "il diritto del ricorrente alla conferma nell’incarico a tempo indeterminato ai sensi e per gli effetti dell’art. 2 e della norma finale n. 1 del D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261", e condannando la ASL di Chieti "a confermare il dr. V.M. nell’incarico di psicologo ambulatoriale convenzionato a tempo indeterminato".

Ha, altresì, condannato l’Amministrazione al risarcimento dei danni subiti, che sono stati liquidati nella complessiva somma di Euro 111.815,38, e, per la quantificazione di tali danni, il Giudice, nel far ricorso ai conteggi effettuati da un C.T.U., ha preso in esame "le retribuzioni spettanti a ricorrente in caso di regolare svolgimento del servizio": ma ha anche chiaramente precisato nella sua decisione che, "trattandosi di risarcimento dei danni", tali retribuzioni costituivano "soltanto un parametro di commisurazione della perdita economica subita per effetto della condotta illecita della resistente".

La sentenza, invero, non esamina analiticamente la predetta normativa sopra richiamata e non affronta, in particolare, la tematica relativa alla perentorietà o meno del termine (del 15 giugno 1992) per la presentazione da parte degli interessati della domanda di conferma nell’incarico a tempo indeterminato, né spiega il perché della decorrenza della conferma fissata al 1° gennaio 1995 (così come, peraltro, richiesto dallo stesso ricorrente) e non dalla data di entrata in vigore del predetto D.P.R. 13 marzo 1992, n. 261.

Volendo, però, trovare un fondamento logico della predetta sentenza deve dedursi che, secondo il decidente, le Unità sanitarie avrebbero dovuto d’ufficio (cioè a prescindere dalla domanda degli interessati) procedere nella conferma a tempo indeterminato degli psicologi incaricati a rapporto orario, "salva l’applicazione delle norme in materia di incompatibilità", ed avrebbero dovuto poi procedere (questa volta sì a domanda degli interessati) al completamento dell’orario.

Tale completamento, come sopra già ricordato, andava infatti disposto in base al predetto art. 5 nei confronti dei soli psicologi che avessero espresso la propria disponibilità.

In estrema sintesi, ritiene il Collegio che, non contenendo la sentenza di cui si lamenta la mancata esecuzione alcuna statuizione in ordine al numero delle ore dell’incarico in questione, il Giudice abbia disposto con la decisione in questione esclsuivamente la "conferma" nell’incarico di psicologo ambulatoriale convenzionato a tempo indeterminato per il numero di ore in atto alla data della domanda.

Il completamento dell’orario è disciplinato, infatti, da altra normativa che presuppone la presentazione da parte degli interessati di apposita domanda e la formazione di apposita graduatoria. Tale domanda, sembra pacifico dagli atti, non risulta sia mai stata presentata dall’attuale ricorrente, né risulta che lo stesso abbia mai impugnato le relative graduatorie o gli aumenti di orario concessi, o intimato i soggetti cui tale aumento di orario era stato assegnato.

Per cui ritiene la Sezione che correttamente l’Amministrazione ha "confermato" il ricorrente per le sole ore in atto al momento della domanda e non ha anche disposto un incremento orario, anche perché – come chiaramente si legge nella predetta deliberazione del Direttore Generale – essendosi ridotto il lavoro nel settore della tutela sociale, erano in servizio presso l’Azienda molti psicologi convenzionati che non avevano ancora raggiunto il massimale in questione; per cui in caso di aumento delle ore avrebbe dovuto seguirsi la predetta procedura concorsuale tra i vari aspiranti, prevista dalla contrattazione collettiva.

4. – Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso in esame deve, conseguentemente, essere respinto, in quanto la sentenza di cui si lamenta il giudicato non contiene alcuna statuizione favorevole al ricorrente in ordine all’aumento dell’orario.

Le spese, come di regola (art. 26 del codice del processo amministrativo ed art. 92 del cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 45, n. 11, della L. 18 giugno 2009, n. 69), seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento a favore dell’Amministrazione resistente delle spese e degli onorari di giudizio che liquida nella complessiva somma di Euro 2.000 (duemila), oltre agli accessori di legge (IVA, CAP e spese generali).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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