Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-01-2012, n. 1272 Malattie infettive e sociali Sanità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Corte di Appello di Cagliari con sentenza n. 174/2008, in riforma della decisione di primo grado che aveva accolto la domanda di M.A. per il riconoscimento dell’assegno per emotrasfusione di cui alla L. n. 210 del 1992, disconosciutagli in sede amministrativa, ha dichiarato inammissibile la domanda dello stesso perchè presentata oltre il termine annuale decorrente dalla comunicazione della decisione sul ricorso amministrativo ed, in ogni caso, oltre il termine previsto dall’art. 5, comma 3 della suddetta legge.

2. Il M. ricorre per cassazione denunciando violazione e falsa applicazione del richiamato art. 5, in riferimento all’art. 152 c.p.c. e all’art. 360 c.p.c., n. 3. A tale riguardo il ricorrente formula ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. il seguente quesito di diritto "In materia di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, di cui alla L. 25 febbraio 1992, n. 210, il termine di un anno dalla comunicazione della decisione sul ricorso o, in difetto, dalla scadenza del termine previsto dalla comunicazione, assegnato al ricorrente, non è perentorio, ma ordinatorio, con la conseguenza che la sua inosservanza non produce alcuna decadenza nè implica la vulnerazione del diritto alla provvidenza prevista dalla legge".

Il Ministero resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

3. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. Va premesso che nel caso di specie è incontroverso che il Ministero abbia comunicato al M. il rigetto del suo ricorso amministrativo di 23 settembre 2003 e che il M. abbia ricevuto la comunicazione di detto rigetto avvenuto con lettera del 1 ottobre 2003. Il M. ha presentato ricorso giurisdizionale in data 27 aprile 2005 assumendo che il termine annuale di cui alla citata L. n. 210 del 1992, art. 5, comma 3 non è prevista pena di decadenza. L’assunto del ricorrente non può essere condiviso. Come ha affermato più volte questa Corte di cassazione, la perentorietà di un termine, in mancanza di espressa previsione normativa, si ha tutte le volte che il termine, per lo scopo che persegue e per la funzione che è destinato ad assolvere, deve essere rigorosamente osservato (cfr. ex plurimis Cass. 22 luglio 1980 n. 4787 e più di recente Cass. 5 giugno 2009 n. 12986).

Orbene nel caso di specie il giudice di appello – richiamato un principio, che, come si è detto, è stato ribadito più volte in giurisprudenza – ha rilevato che la natura perentoria del termine annuale può evincersi anche dal tenore dell’espressione usata dal legislatore e sulla base di tale considerazione ha, poi, affermato che con l’espressione adoperata ("è in facoltà del ricorrente esperire l’azione giudiziaria dinanzi al giudice ordinario competente entro un anno dalla comunicazione della decisione sul ricorso o, in difetto, dalla scadenza del termine previsto per la comunicazione) e ciò con la lettera dell’art. 5 scrutinato, il legislatore ha inteso dire che, trascorso inutilmente il termine di un anno, la tutela giurisdizionale non è più esperibile". E che non si possa attribuire al termine "facoltà del ricorrente" un significato che valga ad accreditare la tesi della natura ordinatoria del termine in questione si ricava dal fatto che nel caso in esame si è inteso soltanto devolvere al ricorrente la scelta di procrastinare o meno l’inizio del termine annuale, comunque perentorio, per l’azione giudiziaria consentendo allo stesso di scegliere di esperire l’azione davanti al giudice ordinario entro un anno dalla mera scadenza del temine previsto per la comunicazione o, entro un anno dalla comunicazione della decisione del ricorso (in tali sensi in motivazione Cass. 9 ottobre 2007 n. 21081), come ha fatto il ricorrente.

Nè sotto altro versante per accreditare la natura ordinatoria dei termine in esame si può sostenere che nel caso di specie debba ritenersi consentita una estensione analogica di più lunghi termini di decadenza contemplati in altre disposizioni, quale quella della L. n. 210 del 1992, art. 3, comma 1, in quanto detta disposizione per la sua specificità e il suo carattere correlato alla materia risulta insuscettibile di interpretazione analogica o estensiva (cfr in tali sensi per una problematica con profili assimilabili a quella in esame Cass. 9 febbraio 2006 n. 2853). E che la ratto del disposto della L. n. 210 del 1992, art. 5 sia quella di limitare nel tempo il riconoscimento del diritto all’indennità rivendicata dal ricorrente è evidente solo che si consideri che essa risponde all’interesse della collettività di non procrastinare nel tempo le decisioni in relazione a domande – come quella in oggetto – il cui esame ed il cui giudizio sulla fondatezza devono scontare, oltre al tempo per l’esame in sede amministrativa del ricorso (nel caso in specie i tempi previsti dalla L. n. 210 citata, art. 3), anche quelli davanti al giudice ordinario. Ricorrono giusti motivi in assenza di precedenti e consolidati precedenti giurisprudenziali ed in ragione della natura delle questioni trattate per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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