Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-05-2011) 22-09-2011, n. 34411 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con Sentenza resa il l’8 aprile 2010 la Corte d’Appello di Catania, in riforma della decisione 12 aprile 2007 del GUP del Tribunale di Catania, ritenuta sussistente la scriminante della legittima difesa, dichiarava non colpevoli A.S. e A.A. in relazione al reato loro ascritto di tentato omicidio commesso in danno di B.G.. Il giudice di primo grado, in esito a giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di entrambi gli imputati e, applicate le attenuanti genetiche e quella della provocazione, li aveva condannati ciascuno alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione.

La vicenda processuale ebbe origine a seguito dell’emissione nei confronti dei due imputati di ordinanza di custodia cautelare per il reato di tentato omicidio per avere A.A. colpito con numerose coltellate B.G., mentre questi era trattenuto da A.S., dopo che il B. aveva fatto ingresso nella loro abitazione impugnando una bottiglia rotta. La vicenda traeva origine dalla relazione intercorrente tra Bu.Pa., moglie di A.S. e madre di A.A., che nei giorni precedenti aveva determinato l’aggressione di A.A. da parte del B. nella medesima abitazione; quindi, a seguito di una chiamata in "soccorso" da parte della Bu., B.G. si era presentato nel domicilio degli imputati recando in mano una bottiglia di vetro rotta. Era subito nato un alterco violento tra gli imputati e la vittima, a seguito del quale il B. era attinto dalle coltellate sferrate da A.A. e, successivamente, veniva trovato in una vicina piazza della cittadina di (OMISSIS).

La torte territoriale riteneva sussistente la scriminate della legittima difesa in relazione all’aggressione patita dai due imputati a seguito dell’introduzione del B. nel loro domicilio armato di una bottiglia rotta e affermava, poi, la mancanza di qualunque elemento di prova che consentisse di ritenere che l’alterco- aggressione si fosse spostato e fosse proseguito all’esterno nella pubblica via.

Ciò per due ordini di ragioni: a) perchè a seguito dell’annullamento della ordinanza di custodia cautelare con sentenza di questa Corte del 16 febbraio 2007, sul punto si era formato il c.d. giudicato cautelare, e nessun fatto nuovo, o nuova acquisizione probatoria, erano intervenuti;

b) nel merito.

2.- Ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Catania, per violazione di legge e vizi di motivazione: in primo luogo in relazione alla ritenuta sussistenza e capacità dirimente del c.d. giudicato cautelare in punto di sussistenza della scriminante della legittima difesa ai sensi dell’art. 52 c.p. novellato, per altro verso per avere la sentenza affermato, contraddittoriamente, che quando B.G. era stato aggredito a coltellate era armato della bottiglia rotta.

Sostiene il PM ricorrente che il giudicato in materia di ordinanze di custodia cautelare, costituisce una figura giuridica elaborata dalla giurisprudenza per porre argine alla reiterazione di attività pro libertate tendenti a successive pronunce riproducesti le stesse argomentazioni in fatto e in diritto, pertanto esso attiene alla sola fase cautelare e non si riflette nell’economia delle valutazioni di merito che il giudice è chiamato a percorrere successivamente in ordine alla colpevolezza o meno dell’imputato. Quanto alle modalità della azione posta in essere dai due imputati, la forte omette di motivare, o motiva con argomentazione contraddittoria, sulla circostanza che quando il B. fu aggredito con il coltello egli impugnava il coccio di vetro acuminato, nonostante Bu.Pa. avesse riferito di avergli tolto di mano la bottiglia rotta prima che iniziasse la colluttazione e nonostante i due A. non presentassero ferite provocate da frantumi di vetro. Analoghe carenze argomentative sono rilevabili con riguardo alla asserita insussistenza della aggressione in danno del B. anche sulla pubblica piazza dove egli fu rinvenuto ferito dalla polizia, quindi fuori dal contesto ambientale previsto dall’art. 52 c.p,, nonostante il rinvenimento in prossimità della vittima di un orologio con la cinghietta rotta non appartenente a quest’ultima, comprovante, come peraltro riferito dalla persona offesa, che le coltellate erano state inferte anche dopo che questa aveva abbandonato il domicilio degli aggressori e senza valutare che A.A. era stato trovato dalla stessa polizia fuori della abitazione e con una profondo taglio alla mano, presumibilmente patito nella seconda fase della aggressione e non procurato dal coccio di bottiglia. Infine la motivazione della sentenza è contraddittoria laddove ritiene illogica la concessione da parte del GUP della attenuante della provocazione, perchè tale attenuante era stata concessa dal primo giudice con riferimento alla relazione adulterina del B. con Bu.Pa. e non, come affermato dalla corte di appello, in relazione alla circostanza che la vittima impugnasse un’arma impropria.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Vito D’Ambrosio ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è manifestamente infondato.

2.- Preliminarmente deve essere rilevato il riconoscimento o l’esclusione della legittima difesa reale o putativa o dell’eccesso colposo nella stessa costituisce giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, quando gli elementi di prova siano stati puntualmente accertati e logicamente valutati dal giudice di merito (Cass. Sez. F, sent. 26.8.2008, n. 39049, Rv. 241553).

In secondo luogo è d’uopo ribadire che secondo la giurisprudenza di questa corte l’art. 52 c.p., comma 2, introdotto dalla L. n. 59 del 2006, ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione di domicilio dell’aggressore, ossia l’effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà del soggetto legittimato ad escluderne la presenza (Cass. Sez. 1, sent. 16.2.2007, n. 16677, Rv. 236366; Cass. Sez. 1, sent. 27.5.2010, n. 23221, Rv. 247571).

In tal caso, l’uso dell’arma legittimamente detenuta è ritenuto proporzionato per legge, se finalizzato a difendere la propria o l’altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione. In presenza delle suddette condizioni, non è più rimesso al giudice il giudizio sulla proporzionalità della difesa all’offesa, essendo il rapporto di proporzionalità sussistente per legge, e questo vale sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole (Cass. Sez. 5, sent. 28.6.2006, n.25339, Rv. 234382).

Date queste premesse è invero del tutto irrilevante soffermarsi sulla portata del c.d. giudicato cautelare, pure adoperato in argomentazione dai giudici di appello e oggetto di censura da parte del PG ricorrente.

Quel che invece ha sicuro e dirimente rilievo nel caso di specie è che, con ragionamento completo e congruo rispetto ai dati probatori vagliati, la Corte territoriale ha ritenuto ricorrenti i presupposti per applicare la presunzione di proporzione tra la difesa e l’offesa, ai sensi dell’art. 52 c.p., come novellato dalla L. 13 febbraio 2006, n. 59, art. 1, posto che il B. era stato aggredito mentre già era all’interno del domicilio degli imputati contro la loro volontà e si era scagliato contro gli stessi brandendo la bottiglia di vetro rotta, dopo che nei giorni precedenti si erano verificati degli episodi di aggressione da parte del B. ai danni degli A. padre e figlio, anche all’interno della loro abitazione.

Quanto alla desistenza da parte del B., il quale avrebbe spontaneamente abbandonato l’arma impropria che brandiva, ovvero che la stessa gli fosse stata sottratta dalla Bu. subito dopo l’inizio dell’alterco, lambite esclude che tali circostanze siano da ritenersi provate in quanto: la prima risulterebbe dalle sole dichiarazioni della persona offesa, la seconda da quelle della Bu., che smentiscono il racconto del B., ma sono ugualmente non credibili sulla base dello sviluppo della vicenda quale ricostruito in atti che vede la donna, in stato di gravidanza, colta da malore a causa dell’alterco.

Orbene, a fronte di un apparato argomentativo logico e privo di soluzioni di continuità, oltre che aderente ai principi di diritto in materia di legittima difesa quali enucleati dopo l’entrata in vigore della L. 13 febbraio 2006, n. 59, le doglianze del PG ricorrente si risolvono in una serie di censure di fatto alla valutazione operata dai giudici di appello in ordine alla ricorrenza della scriminante della legittima difesa, sostanziandosi in motivi di ricorso inammissibili in sede di legittimità. 3.- Identiche considerazioni valgono con riferimento alla, asserita, mancanza di motivazione riguardo alla fase dell’aggressione in danno del B. che si sarebbe verificata sulla pubblica via, quindi fuori dalla portata esimente della circostanza di cui all’art. 52 c.p., comma 2. Sul punto è sufficiente ribadire che dal controllo di legittimità restano escluse le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi indizianti o probatori e la scelta di quelli determinanti, poichè la verifica di legittimità è limitata alla sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito il controllo sul contenuto della decisione che si sostanzi in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito. Gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono, infatti, interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa (ex plurimis Cass. Sez. 2, Sentenza 5.5.2006, n. 19584, Rv. 233775).

Ed invero la sentenza gravata esclude che l’alterco sia proseguito fuori dal domicilio degli A. sulla base dei seguenti fatti:

– nemmeno la Bu. riferisce che il marito ed il figlio inseguirono ed aggredirono il B. fuori dall’abitazione; – nessun teste riferì dell’aggressione nella pubblica via; – non è mai stato identificato il giovane "incapace", nonostante i fatti si siano svolti in un piccolo centro, che secondo le dichiarazioni del B. sarebbe intervenuto non appena cessata l’aggressione extradomestica.

A fronte di tali argomentazioni in punto di prova il ricorrente oppone l’esistenza di indizi e dati di fatto non concludenti e, comunque, dei quali, nel giudizio di merito è stata esclusa la rilevanza.

Per le ragioni sopraesposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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