Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-01-2012, n. 1268 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza n. 1413 del 2008, accoglieva gli appelli proposti dalle società Banca Carime spa e Intesa Sanpaolo spa, avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza, giudice del lavoro, n. 50035/2006 del 10 – 23 novembre 2006, e in riforma dell’appellata sentenza rigettava la domanda avanzata da G.P. con ricorso in data 8 marzo 2004.

Quest’ultimo aveva adito il giudice di primo grado per il riconoscimento del diritto, come dipendente già della Banca Carime spa e poi della Intesa Sanpaolo spa dal 30 marzo 2001, ad essere inquadrato nel grado di quadro, con decorrenza dal 30 marzo 1998, e di QDL3 dalla data di entrata in vigore del CCNL 1999, con condanna al pagamento delle differenze retributive dovute rispetto alla qualifica di impiegato, 3 area professionale, 3^ (rectius 4^) livello retributivo.

2. Per la cassazione della suddetta sentenza d’appello ricorre il G., prospettando due motivi di ricorso.

3. Resistono con autonomi controricorsi la società Intesa Sanpaolo e la società Banca Carime.

4. Il G. ha depositato documenti.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., anche in relazione all’art. 1362 c.c., nonchè vizio di motivazione.

La sentenza, ad avviso del ricorrente, avrebbe dato rilievo alla responsabilità funzionale, escludendone la riferibilità al ricorrente, in quanto le attività dell’ufficio contenzioso venivano svolte sotto le direttive della direzione centrale di Cosenza, a firma del direttore della filiale di Vibo.

Nel fare ciò, il giudice dell’appello non avrebbe spiegato le ragioni del proprio convincimento e avrebbe violato i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di promozione automatica ex art. 2103 c.c..

Ed infatti la Corte d’Appello non riterrebbe sufficiente l’assegnazione a determinate mansioni, ma richiederebbe una sorta di atto cosciente che conferisca una responsabilità formale.

La sentenza violerebbe anche i canoni dell’ermeneutica contrattuale, in quanto nell’interpretare erroneamente l’art. 6 del contratto integrativo del 1995, esclude il configurarsi di mansioni superiori in presenza di direttive.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se ai fini della promozione automatica per lo svolgimento di mansioni superiori e per gli effetti di cui all’art. 2103 c.c., l’adibizione del lavoratore per un periodo superiore a tre mesi su posizione lavorativa dalla quale può derivare il diritto alla promozione, può essere esclusa dalla mancata attribuzione formale ad opera del datore di lavoro della responsabilità funzionale, ovvero questa attribuzione formale – come anche il potere di firma – rimane irrilevante dinanzi alla concreta e materiale adibizione di fatto alle mansioni proprie di quella posizione lavorativa.

1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non sono rispettati i requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., applicabile, nella specie, ratione temporis ( D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) trattandosi di impugnazione per cassazione di sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006.

Nell’interpretazione della norma di cui al citato art. 366 bis c.p.c., questa Corte (ex plurimis: Cass., S.U., n. 20360/07) ha stabilito che il rispetto formale del requisito imposto per legge risulta assicurato sempre che il ricorrente formuli, in maniera consapevole e diretta, rispetto a ciascuna censura, una conferente sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, sicchè dalla risposta (positiva o negativa), che al quesito medesimo deve essere data, possa derivare la soluzione della questione circa la corrispondenza delle ragioni dell’impugnazione ai canoni indefettibili della corretta applicazione della legge, restando, in tal modo, contemporaneamente soddisfatti l’interesse della parte alla decisione della lite e la funzione nomofilattica propria del giudizio di legittimità.

E’ stato, pertanto, precisato che tale requisito processuale non può consistere nella mera illustrazione delle denunziate violazioni di legge, ma è, invece, indispensabile che il ricorso rechi per ciascun motivo la chiara indicazione di un quesito di diritto.

Orbene, nella fattispecie, il quesito di diritto non corrisponde a tali requisiti in quanto inconferente per genericità ed incompletezza, e non tiene conto del decisum.

Ed infatti, la Corte d’Appello, lungi dal richiedere un atto di assegnazione formale, ha ritenuto che l’art. 6 della normativa pattizia in questione indica come specifico della categoria di quadro lo svolgimento di mansioni che, nell’ambito delle direttive ricevute, comportino: a) particolare responsabilità gerarchica e/o funzionale;

b) elevata capacità professionale.

Quindi, non ha escluso la possibile compresenza di mansioni di quadro e direttive, ritenendo, tuttavia, in concreto, non indicate la ragioni per cui le mansioni del G. dovessero essere ascritte alla superiore area di inquadramento e la rilevanza delle mansioni svolte del ricorrente ai fini di quanto previsto dal citato art. 6. 2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia.

La motivazione della sentenza sarebbe viziata laddove sintetizza le risultanze istruttorie in quanto omette di focalizzare e porre ad oggetto della propria valutazione fatti decisivi per il giudizio presenti nella decisione di primo grado.

2.1. Anche detto motivo è inammissibile. Secondo l’art. 366 bis c.p.c., nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (ex multis, Cass., S.U. 20306 del 2007). Nella specie, il ricorrente, da un lato non formula il prescritto quesito nei termini indicati; dall’altro, nel ripercorrere la motivazione della sentenza della Corte d’Appello, e nel richiamare le testimonianze rese nel corso del giudizio, propone una non ammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

3. Pertanto il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate per ciascun controricorrente in Euro duemila per onorario, Euro 30,00 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 23 novembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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