Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-01-2012, n. 1267 Dirigenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 9285 del 2006, depositata il 13 luglio 2007, accoglieva l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di D.S.V. avverso la sentenza 12 maggio 2002 del Tribunale di Roma, e in riforma della stessa rigettava la domanda dell’appellato.

Affermava il giudice di secondo grado che l’indennità di posizione era correlata all’effettivo svolgimento, in servizio, delle funzioni di Dirigente generale, come ritenuto dalla Corte costituzionale, requisito che mancava nel caso di specie.

Il D.S., premesso di essere andato in pensione con la qualifica di dirigente generale il 1 dicembre 1980, aveva chiesto al Tribunale l’accertamento del diritto alla corresponsione della L. n. 334 del 1997, ex art. 1 di una voce aggiuntiva retributiva, cd. indennità di posizione, prevista in favore del personale ex Dirigenti generali Enti parastatali con decorrenza dal 1 gennaio 1996. 2. Per la cassazione della suddetta sentenza d’Appello ricorre il D. S., deducendo due motivi di impugnazione.

3. Resiste l’INPS con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso sono prospettati i vizi di violazione di legge e di motivazione, in quanto la sentenza oggetto dell’appello avrebbe fatto applicazione della L. n. 334 del 1997 e non del CCNL Dirigenti 1998-2001.

A monte della decisione, afferma il ricorrente, vi è una erronea valutazione della documentazione depositata in atti, che ha comportato poi non certo un giudizio di diritto ma un giudizio di fatto che ha provocato un vizio di motivazione per sua erroneità nell’interpretazione.

Deduce il D.S. "La Corte d’Appello ha deciso trascurando in tutto il doc. 1 (cfr. fase, di appello) dove è evidente che il D. S. è stato in servizio Dirigente Generale senza che il riconoscimento della qualifica sia avvenuto per effetto della L. n. 336 del 1970". 2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione di legge e difetto di motivazione, in relazione all’art. 112 c.p.c., in quanto l’indennità in questione veniva ricondotta alla disciplina della L. n. 334 del 1997 e non al CCNL Dirigenti 1998-2001, art. 38, come chiesto dall’INPS. Il quesito di diritto ha il seguente tenore:

se l’effettivo svolgimento delle funzioni di Direttore generale debba valere anche per quella indennità di posizione attribuibile per contratto e non per legge come erroneamente individuata dalla Corte d’Appello di Roma, sempre considerando che la documentazione all’uopo depositata prova che l’attività e le funzioni del D.S., in servizio, sono state effettivamente quelle di Dirigente Generale.

3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione; gli stessi sono inammissibili poichè contrastano con la regola della necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo il costante insegnamento di questa Corte (ex multis, Cass, ord. n. 17915 del 2010), impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, sulla vantazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato o erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla Corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.

Nel caso di specie, il ricorso non offre alcuna indicazione in ordine alla documentazione erroneamente valutata tanto da determinare l’applicazione di una disciplina non pertinente. Nè può far ritenere soddisfatto tale onere il generico rinvio alla "documentazione depositata in atti" e ad un non meglio precisato "doc. 1 (cfr. fascicolo di appello)".

Quanto affermato, trova ulteriore specificazione con riguardo al secondo motivo di censura con il quale è prospettata, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., sentenza n. 23420 del 2011), è vero che il principio secondo cui l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti da luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato ( art. 112 c.p.c.) od a quello del tantum devolutum quantum appellatum ( art. 437 c.p.c.), trattandosi in tal caso della denuncia di un error in procedendo, che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti.

Tuttavia, (citata Cass., sentenza n. 23420 del 2011), anche in ipotesi di denuncia di un error in procedendo, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, cosicchè il ricorrente è tenuto, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, che deve consentire al giudice di legittimità di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo demandatogli del corretto svolgersi dell’iter processuale, non solo ad enunciare le norme processuali violate, ma anche a specificare le ragioni della violazione, in coerenza a quanto prescritto dal dettato normativo, secondo l’interpretazione da lui prospettata.

Laddove, come nel caso di specie, l’error in procedendo denunciato inerisca alla falsa applicazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, l’autosufficienza del ricorso per cassazione impone che, nel ricorso stesso, siano esattamente riportati i passi dell’atto di parte con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio in relazioni alle statuizioni assunte dal giudice.

Tale onere non è stato ottemperato nel caso di specie dal ricorrente.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, essendo applicabile l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alla novella introdotta dalla L. n. 269 del 2003.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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