Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-01-2012, n. 1266 Pensione di anzianità e vecchiaia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 137 del 2007, depositata il 23 aprile 2007, accoglieva l’appello proposto da L.P.T. nei confronti dell’INPS, avverso la sentenza del Tribunale di Roma in data 20 ottobre – 5 novembre 2004. 2. Il Tribunale aveva rigettato la domanda del L.P. volta a resistere alla richiesta di restituzione di indebito formulata dall’INPS per la somma di lire 13.192.840 (relativa ad integrazione al minimo su pensione di invalidità, erogata sulla scorta di contribuzione versata parte in Italia e parte in Belgio, non dovuta per il periodo 1 luglio 1991-31 gennaio 1997, richiesta già ridotta di un quarto rispetto all’ammontare reale dell’indebito ex lege n. 662 del 1996, nei limiti spettanti ai percettori, per l’anno 1995, di un reddito superiore ai 16 milioni di lire), dichiarando irripetibili le spese di lite.

La Corte d’Appello riteneva che non poteva essere Inserito nel computo del reddito posseduto dall’assicurato il reddito dallo stesso percepito in Belgio, sicchè, previa tale esclusione, detto reddito ammontava ad un importo inferiore a 16 milioni di lire, rendendo quindi irripetibile il presunto indebito.

3. Il giudice di secondo grado richiamava le sentenze di questa Corte n. 11780 del 2003 e n. 9902 del 2003 (ai cui principi è conforme la successiva sentenza Cass., n. 726 del 2007) che affermavano che, in tema di ripetizione di indebito previdenziale, ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 260, requisito per l’esercizio del diritto alla ripetizione da parte dell’INPS, al di fuori dell’ipotesi di dolo dell’assicurato, è la percezione, da parte di quest’ultimo, di un reddito imponibile IRPEF per l’anno 1995 superiore a sedici milioni di lire, e cioè di un reddito prodotto in Italia, con esclusione quindi di redditi percepiti dall’assicurato all’estero ed ivi assoggettati ad imposizione.

4. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza d’appello l’INPS prospettando un motivo di ricorso.

5. Resiste con controricorso il L.P., esponendo di essere residente in Belgio e titolare di pensione di invalidità pro-rata a carico dell’INPS e dell’Ente previdenziale belga, con decorrenza dal 1 luglio 1991, erogata per totalizzazione dei periodi assicurativi accreditati nei due suddetti Paesi. Tra quest’ultimi è intervenuta Convenzione firmata a Roma il 29 aprile 1983, ratificata in Italia con la L. 3 aprile 1989, n. 148. 6. Il L.P., come l’INPS, ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. L’Inps, con l’unico motivo di ricorso prospetta il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, con riguardo alla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260 e 261.

Ad avviso del ricorrente l’espressione "reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF" (recte: IRPEF, in quanto l’espressione ai fini dell’IRPEF è contenuta nella L. n. 448 del 2001, art. 38), deve essere intesa in riferimento ai redditi che sono contemplati dalle norme fiscali del nostro ordinamento e sarebbero assoggettati in Italia all’imposta in questione.

2. Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260 e 261, nel computare il reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 1995 debbano essere considerate le pensioni erogate dall’ente previdenziale belga, soggette comunque a ritenute alla fonte.

A sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente richiama la sentenza di questa Corte n. 7710 del 1997, secondo cui per l’accertamento della situazione reddituale dell’assicurato al fine della spettanza dell’integrazione al trattamento minimo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti (la cui spettanza – nel regime posto dal D.L. n. 463 del 1983, art. 6, convertito in L. n. 638 del 1983 – è condizionata alla circostanza che l’assicurato non possegga redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche per un importo superiore a due volte al trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti) occorre tener conto, salve le ipotesi espressamente escluse dalla legge, di ogni emolumento che, per propria natura, sia suscettibile di assoggettamento all’imposta suddetta, con la conseguenza che deve computarsi anche l’ammontare della pensione estera, goduta dall’assicurato, ancorchè sottoposta ad analoga imposizione all’estero.

3. Il motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto.

La controversia riguarda l’istituto della ripetizione dell’indebito previdenziale, come disciplinato dalle norme invocate in ricorso.

3.1. E’ opportuno, in via preliminare, richiamare il contenuto delle disposizioni in questione ed il quadro normativo in cui le stesse si inseriscono, nonchè la giurisprudenza formatasi in materia.

3.2. Il citato comma 260 stabilisce "Nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia nonchè rendite, anche se liquidate in capitale, a carico degli enti pubblici di previdenza obbligatoria, per periodi anteriori al 1 gennaio 1996, non si fa luogo al recupero dell’indebito qualora i soggetti medesimi siano percettori di un reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 1995 di importo pari o inferiore a lire 16 milioni".

Il successivo comma 261 prevede "Qualora i soggetti che hanno indebitamente percepito i trattamenti di cui al comma 260 siano percettori di un reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 1995 di importo superiore a lire 16 milioni non si fa luogo al recupero dell’indebito nei limiti di un quarto dell’importo riscosso".

Come rilevato da Corte cost., n. 448 del 2000, le previsioni della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 260 – 265, "hanno tra l’altro introdotto una soglia reddituale per scriminare la ripetibilità delle prestazioni previdenziali indebite"; le stesse "hanno carattere transitorio applicandosi solo ai periodi (e quindi agli indebiti previdenziali) anteriori al 1 gennaio 1996 e pertanto, per la loro marcata specialità, non sono idonee ad essere estese al di là delle fattispecie per le quali sono previste". 3.3. La legislazione anteriore alla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260 e 261 (Corte cost., n. 1 del 2006; Cass., n. 25309 del 2009), considerava irripetibili le somme percepite in buona fede dal pensionato. In particolare, alla disciplina posta dall’ari 80 del regio decreto 28 agosto 1924, n. 1422, era subentrata, quella della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 52, comma 2, che aveva escluso il recupero delle rate di pensione indebitamente erogate, salvo il caso del dolo del percettore. La L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 13, ha poi stabilito che la sanatoria prevista dal citato art. 52, comma 2, opera solo per le somme corrisposte in base a formale provvedimento definitivo (espressamente comunicato all’interessato) viziato da errore imputabile all’ente erogatore, salvo che la percezione sia dovuta a dolo dell’interessato, e che l’omessa o incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione consente la ripetizione delle somme indebitamente percepite. Tale disposizione è stata dichiarata (Corte cosi, n. 39 del 1993) incostituzionale nella parte in cui si applicava ai rapporti sorti prima della sua entrata in vigore, sotto il profilo che essa – innovando retroattivamente il regime degli indebiti previdenziali erogati nel vigore della legislazione precedente – aveva posto una disciplina peggiorativa per il percettore e leso il suo affidamento, "tanto più che erano colpiti pensionati a reddito non elevato"; e aveva trattato diversamente le situazioni ormai definite di irripetibilità per buona fede del percettore (L. n. 88 del 1989, art. 52) e le situazioni ancora pendenti, soggette retroattivamente alle nuove regole più restrittive, pur se gli indebiti fossero stati erogati nella stessa epoca.

Per effetto di tale sentenza, l’ambito di operatività della norma del 1991 si è ristretto ai soli indebiti erogati dopo la sua entrata in vigore.

3.4. Questa Corte, a Sezioni Unite, n. 2333 del 1997, ha ritenuto che la ripetibilità delle somme indebitamente erogate prima del 1 gennaio 1996, indipendentemente dall’avvenuto recupero o meno dell’importo, è regolata in via esclusiva dalle disposizioni di cui alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 260 e 265.

Dunque, secondo quanto statuito dalla citata sentenza n. 2333 del 1997, risultano rilevanti ai fini della ripetibilità degli indebiti previdenziali anteriori al 1 gennaio 1996 soltanto il requisito reddituale e quello soggettivo del pensionato.

3.5. Successivamente la materia è stata disciplinata, dall’art. 38, in particolare della L. n. 448 del 2001, i commi 7 e 8, che stabiliscono: nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia, a carico dell’INPS, per periodi anteriori al 1 gennaio 2001, non si fa luogo al recupero dell’indebito qualora i soggetti medesimi siano percettori di un reddito personale imponibile ai fini IRPEF per l’anno 2000 di importo pari o inferiore a 8.263,31 Euro; qualora i soggetti che hanno indebitamente percepito i trattamenti di cui al comma 7 siano percettori di un reddito personale imponibile ai fini dell’IRPEF per l’anno 2000 di importo superiore a 8.263,31 Euro non si fa luogo al recupero dell’indebito nei limiti di un quarto dell’importo riscosso.

3.6. Sulle problematiche postesi in ragione della successine nel tempo di tali disposizioni è intervenuta questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 4809 del 2005 (richiamata, da ultimo, da Cass. n. 20102 del 2011).

3.7. Questa Corte è già intervenuta sulla questione posta con l’odierno ricorso.

3.8. Con la sentenza n. 9902 del 2003 si è affermato, con riguardo alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 260, che "la chiara formulazione della norma, con il riferimento al "reddito imponibile IRPEF per l’anno 1995", impone all’interprete una interpretazione letterale della stessa ed esclude, per converso, l’utilizzazione di diversi criteri interpretativi, peraltro neppure suggeriti dal ricorrente. Ai fini della ripetibilità dell’indebito, dunque, deve aversi riguardo esclusivamente ai redditi per i quali vi è obbligo di dichiarazione in Italia e che sono assoggettati o assoggettabili ad IRPEF. Esulano, invece, dalla valutazione in esame quei redditi che, per essere stati prodotti all’estero, in forza di convenzioni internazionali siano assoggettati a tassazione nello Stato di formazione e non debbano essere denunciati in Italia".

Nello stesso senso Cass., n. 11780 del 2003, che, nel ritenere che nella fattispecie in esame il requisito reddituale del pensionato doveva essere accertato con riferimento all’anno 2000, precisava, "e con riguardo a redditi soggetti in Italia all’IRPEF". Dette pronunce sono richiamate nella sentenza della Corte d’Appello di Roma.

A differente soluzione era pervenuta Cass. n. 7710 del 1997 (richiamata nel ricorso), attraverso un diverso percorso motivazionale incentrato sullo specifico oggetto dell’indebito per cui era causa, costituito dall’istituto dell’integrazione al trattamento minimo della pensione di vecchiaia, nella disciplina dettata del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, convertito nella L. n. 638 del 1993.

Detta sentenza afferma che, "salve le ipotesi espressamente escluse dalla legge, ogni emolumento che, per propria natura, è suscettibile di assoggettamento ai fini dell’Irpef, costituisce reddito del quale deve tenersi conto ai fini dell’attribuibilità del trattamento di integrazione al minimo", tenuto conto che, poichè la finalità dell’istituto è appunto quella di assicurare al più gran numero di lavoratori, privi di altre risorse, un trattamento commisurato ai valori minimi ritenuti indispensabili per garantire il soddisfacimento delle esigenze primarie di vita, occorre fare riferimento alle effettive condizioni reddituali dell’assicurato.

La sentenza n. 12719 del 2000 (anch’essa richiamata nel ricorso), si distaccava da quanto statuito da Cass. n. 7710 del 1997, solo in ragione dell’applicabilità "della L. 27 maggio 1929, n. 810, art. 17 (per cui le retribuzioni dovute dalla Santa Sede a dignitari, impiegati e salariati, saranno nel territorio italiano esenti da qualsiasi tributo tanto verso lo Stato quanto verso ogni altro ente)".

Recentemente, (Cass. n. 16618 del 2011) ha fatto applicazione dei principi di cui alla citata sentenza n. 12719 del 2000, sempre con riguardo all’istituto dell’integrazione al trattamento minimo.

4. Così ricapitolato il quadro di riferimento normativo e giurisprudenziale, occorre rilevare che le disposizioni invocate dettano, sulla ripetizione dell’indebito previdenziale, una disciplina di carattere generale, pur nella loro transitorietà, rispetto alla quale assume rilievo la sussistenza di indebito previdenziale, senza che il legislatore abbia inteso operare differenziazioni con riguardo alla diverse fattispecie che, in concreto, danno luogo all’indebito.

4.1. Posta questa premessa, da un lato, dunque, non appaiono esaustive le argomentazioni della sentenza n. 7710 del 1997, richiamata in ricorso, in quanto i pur pregevoli argomenti per la computabilità, ai fini dell’integrazione al minimo, dei redditi assoggettabili ad IRPER, non possono essere trasposti tout court al distinto più ampio istituto dell’indebito previdenziale, in cui entrano in gioco ulteriori interessi costituzionalmente protetti e in primo luogo il buon governo della spesa pubblica previdenziale, garantito anche mediante una ragionevole previsione della ripetizione dell’indebito.

4.2. Ciò precisato, ritiene questo Collegio di non poter condividere quanto affermato dalla sentenza n. 9902 del 2003 (parte resistente richiama, altresì, Cass. 726 del 2007) alla quale si fa riferimento nella sentenza della Corte d’Appello di Roma.

Ed infatti, l’elemento qualificante della disciplina in esame è dato dal requisito reddituale che in precedenza non assumeva rilievo.

Come affermato da Cass. n. 25309 del 2009, in tema di ripetibilità dei ratei di pensione di reversibilità indebitamente pagati, la L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260 – 265, nell’innovare integralmente la disciplina precedentemente contenuta nella L. n. 412 del 1991, ha ancorato il diritto dell’ente di procedere alla ripetizione delle somme erogate alla sussistenza dei requisiti reddituali e soggettivi del pensionato, senza, peraltro, incidere sulla regolamentazione della ripetibilità in caso di dolo del soggetto che abbia indebitamente ricevuto i trattamenti previdenziali, che resta affermata dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 265. Ne consegue che deve ritenersi tuttora operante la previsione di cui alla L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, che, nell’identificare la nozione di dolo nell’omessa od incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione goduta che non siano già conosciuti dall’ente, consentendo la ripetibilità delle somme per tale ragione indebitamente percepite, costituisce principio generale di settore che informa anche la successiva disciplina di cui alla L. n. 662 del 1996. 4.3. Ad avviso del Collegio, il legislatore ha inteso garantire che la ripetizione delle somme non dovute, in ragione della natura delle stesse, non determinasse una situazione pregiudizievole per il percettore di indebito previdenziale.

Il previsto limite alla ripetizione di quanto indebitamente corrisposto costituisce un punto di equilibrio tra la tutela dell’affidamento dell’accipiens, rafforzata dalla natura delle prestazioni (che ne giustifica la ricaduta sulla solidarietà generale), e l’esigenza di recuperare al bilancio previdenziale, nell’interessi della collettività e di quanti posso aspirare ad analoghe provvidenze, quanto non dovuto.

A fronte di un reddito reale, espressione di capacità contributiva, nella somma fissata, in conformità al principio costituzionale di ragionevolezza della discrezionalità legislativa, vengono, infatti, meno quelle esigenze di una tutela paraprevidenziale garantita dalla mancata ripetizione, e si riespandono gli ordinari principi che regolano l’indebito.

Il legislatore ha individuato nella percezione di un reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 1995 di importo pari o inferiore a lire 16 milioni il punto di discrimine. Ragionevolmente, il riferimento all’IRPEF, tenuto conto della ratio dell’istituto della ripetizione dell’indebito e della prevista deroga, ha la funzione di rendere rilevanti i soli redditi che possono essere espressione, per il nostro ordinamento, di capacità contributiva e, dunque, assimilabili a quelli sottoposti a IRPEF, indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni per una esigibilità, in concreto, della suddetta imposta. Diversamente devono intendersi esclusi dal computo i soli redditti assimilabili a quelli per i quali il nostro ordinamento esclude l’IRPEF. In tal modo, si rendono coerenti le disposizioni dei citati commi 260 e 261 con il più ampio sistema tributario e con la scelta di escludere dall’imposta sul reddito alcune entrate.

Il parametro è, dunque, costituito dal reddito, sia pure come qualificato, e non dall’imposta versata, da cui desumere l’entità del reddito.

Può rilevarsi, altresì, come la successiva normativa, L. n. 448 del 2001, art. 38, ha utilizzato, con analoga finalità l’espressione "reddito personale imponibile ai fini IRPEF", ponendo in luce l’astratta idoneità del reddito a costituire oggetto di imposta.

Peraltro, la pronuncia delle Sezioni Unite, n. 4809 del 2005, sopra richiamata pur in presenza della suddetta diversa formulazione ("reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 1995", "reddito personale imponibile ai fini IRPEF per l’anno 2000" contenuta, la prima nel citato comma 260, la seconda nel citato comma 7), accomuna il contenuto precettivo delle norme, rilevando che le stesse fissano il possesso in capo all’accipiens di un determinato limite reddituale per l’anno preso in considerazione, "percepito nell’anno 1995", "percepito nell’anno 2000". 4.4. In accoglimento del ricorso, questa Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, la quale dovrà tener conto in ordine alla ripetibilità dell’indebito da parte dell’INPS del principio di diritto sopra enunciato, secondo il quale nella nozione di reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 1995, di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260 e 261 ricadono anche i redditi personali suscettibili, in ragione della loro natura, di assoggettamento all’IRPEF.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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