Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-01-2012, n. 1265 Contributi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 1056 del 2009, depositata il 154 giugno 2009, rigettava l’impugnazione proposta da T.D., già dipendente NOMEF e poi OMFESA, nei confronti dell’INPS, avverso la sentenza emessa il 6 dicembre 2006 dal Tribunale di Lecce.

Il T. aveva convenuto in giudizio l’INPS, l’INAIL e la OMFESA spa dinanzi al suddetto Ufficio giudiziario di primo grado chiedendo il riconoscimento del beneficio della rivalutazione contributiva di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, come modificato, che prevede "per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,25".

Il Tribunale aveva rigettato la domanda.

Tale statuizione veniva confermata dalla Corte d’Appello, in quanto non poteva ritenersi provata l’esposizione ad amianto del T. per il periodo successivo al 1983, periodo fino al quale gli era stato riconosciuto il beneficio in questione.

2. Ricorre per la cassazione della suddetta sentenza d’appello il T. prospettando due motivi di ricorso.

3. Resiste con controricorso l’INPS. Lo stesso ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4.

Ad avviso del ricorrente la sentenza è priva di argomentazioni relativamente alle seguenti circostanze dedotte nel ricorso in appello e costituenti punti decisivi della controversia:

a) il T. ha svolto attività di mulettista e carrellista, nonchè di supporto alla squadra addetta al rialzo carrelli, dette mansioni per l’indicazione contenuta nell’atto di indirizzo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 22 novembre 2000, comportavano una esposizione qualificata alle fibre di amianto (come certificato dall’INAIL per il periodo 13 aprile 1981-231 dicembre 1983, per il quale gli era stato riconosciuto il beneficio);

b) le condizioni ambientali, dal periodo fino al quale veniva riconosciuto al T. il beneficio, non sono mutate almeno sino al 1993 poichè sino a tale data arrivavano in azienda carri merci contenenti amianto, come risultante dalle prove testimoniali;

c) l’area lavorativa della Omfesa era composta da un unico grande ambiente che rendeva più facile la dispersione delle fibre di amianto.

Su tali circostanze, tutte decisive per il giudizio, la Corte d’Appello di Lecce avrebbe omesso di motivare.

1.1. Il motivo non è fondato.

E’ opportuno richiamare i seguenti principi affermati da questa Corte.

Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., n. 6288 del 2011).

L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., n. 17097 del 2010).

Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass., ord. n. 17915 del 2010).

Occorre ricordare che secondo la costante giurisprudenza di legittimità il disposto della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 13, comma 8 (come modificato dalla L. n. 271 del 1993, art. 1, comma 1), relativo all’attribuzione di un beneficio contributivo pensionistico ai lavoratori esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, anche prima dell’espressa previsione della L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 47, comma 3, va interpretato nel senso che l’esposizione all’amianto che da diritto al beneficio è identificabile con una esposizione ad una concentrazione media annua non inferiore a 0,1 fibre per centimetro cubo come valore medio su otto ore al giorno, di cui al D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 24, comma 3 (vedi Cass., n. 400 del 2007, n. 19692 del 2007, n. 16256 del 2003, n. 10185 del 2002 e numerose altre conformi). E’ la stessa L. n. 257 del 1992 a dare fondamento normativo alla esigenza di una esposizione superiore a una determinata "soglia", stabilendo, con specifica disposizione (art. 3, poi sostituito dalla L. n. 128 del 1998, art. 16) – che richiama e in parte modifica i valori indicati nel D.Lgs. n. 277 del 1991 – il limite di concentrazione al disotto del quale le fibre di amianto non obbligano all’adozione di misure protettive specifiche nell’ambiente di lavoro e mostrando così di ritenere insufficiente agli effetti del beneficio di cui al successivo art. 13, comma 8, la presenza della sostanza in quantità tale da non superare il limite predetto.

La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 5 del 2000, ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’art. 13, comma 8 proprio in base ad una interpretazione della norma che ne esclude l’intento di introdurre una indiscriminata rilevanza di qualsiasi tipo di esposizione, anche minima, purchè protratta per oltre dieci anni, e ne presuppone, viceversa, il riferimento a una specifica soglia di rilevanza del rischio (quella appunto indicata dal D.Lgs. n. 277 del 1991 e successive modifiche) in quanto tale da connotare le lavorazioni di effettiva potenzialità morbigena.

(Cass., n. 17632 del 2010).

Tanto premesso, è da rilevareril disposto della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, relativo al beneficio previdenziale per i lavoratori del settore amianto, va interpretato – in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologia) – nel senso che tale beneficio va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentino valori di rischio per esposizione a polveri d’amianto superiori a quelli consentiti dal D.Lgs. n. 277 del 1991, artt. 24 e 31; nell’esame sulla fondatezza della domanda volta ad ottenere tale beneficio, il giudice di merito deve accertare – nel rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, ex art. 2697 c.c. – se colui che ha proposto la domanda, oltre ad aver provato la specifica lavorazione praticata e l’ambiente in cui ha svolto per più di dieci anni (inclusi in essi i periodi di assenza dal lavoro per ferie, riposi e festività) tale lavorazione, abbia anche dimostrato che in tale ambiente erano presenti polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto decreto n. 277 del 1991 (Cass., n. 16118 del 2005). Questa Corte ha, poi, affermato che in tema di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto, il legislatore ha conferito pieno valore alla certificazione dell’Inail concernente, per ciascun lavoratore, il grado di esposizione e la sua durata, rilasciata sulla base degli atti di indirizzo del Ministero del lavoro, come mezzo di prova ai fini del beneficio stesso (Cass., ord. n. 6264 del 2011).

E’ stato, quindi, precisato (Cass., S.U., n. 20164 del 2010) che gli atti di indirizzo del Ministero del lavoro non possono essere utilizzati direttamente come prova della esposizione qualificata all’amianto, esprimendo solo criteri generali e astratti, ai quali l’INAIL dovrà poi conformarsi per l’accertamento in concreto, ossia nei singoli casi, della misura e della durata dell’esposizione (dovendosi logicamente escludere che negli atti di indirizzo ministeriali possano rinvenirsi indicazioni sulla vita lavorativa dei singoli interessati).

La esistenza delle condizioni per il diritto al beneficio (durata e misura della esposizione) può dunque essere comprovata non già dall’atto di indirizzo, ma dalla certificazione INAIL. Deve aggiungersi che, secondo la citata giurisprudenza, neanche la certificazione INAIL costituisce prova esclusiva dell’esposizione qualificata, persistendo, ovviamente, la possibilità che questa venga dimostrata in giudizio attraverso gli ordinari mezzi di prova.

Alla luce dei richiamati principi si palesa la non fondatezza del motivo di censura tenuto conto che nel contestare la ritenuta mancanza di prova circa la esposizione all’amianto il ricorrente non ha dedotto la rilevanza delle circostanze rispetto alle quali prospetta il vizio di motivazione, rispetto a quanto richiesto dalla legislazione come sopra ricordato ai fini dell’attribuzione del beneficio in questione.

2. Con il secondo motivo d’impugnazione è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 13, comma 8, come modificato, della L. n. 257 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1 (recte: n. 3).

La sentenza in esame, fonda il rigetto dell’impugnazione sulle mansioni svolte dal ricorrente, ma in tal modo ferma la propria attenzione solo sulla categoria professionale, senza svolgere la propria indagine sulla presenza dei requisiti di cui all’art. 13, comma 8, ravvisando, in particolare, la sussistenza di un ambiente di lavoro unico che facilitava la dispersione delle polveri, si da poter effettuare un giudizio di pericolosità dell’ambiente tale da ritenere un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia prevista.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore:

se viola la L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, come modificato, la sentenza che nega il riconoscimento dei benefici previdenziali previsto dalla norma esclusivamente sulla base della categoria professionale rivestita dal lavoratore e senza compiere alcuna indagine diretta ad accertare se l’assicurato, dopo aver provato la specifica lavorazione praticata e l’ambiente dove ha svolto per più di dieci anni detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori superiori a quelli indicati nel D.Lgs. n. 277 del 1991. 2.1. Il motivo non è fondato in ragione della giurisprudenza sopra richiamata di cui la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dovendosi provare da parte dell’istante l’esposizione ad amianto nella misura ritenuta qualificata.

Nulla per le spese, essendo applicabile l’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alla novella introdotta dalla L. n. 269 del 2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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