T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., 11-10-2011, n. 1623 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso notificato in data 20 aprile 1996 e ritualmente depositato il 22 aprile successivo, T.I., già docente di ruolo di educazione tecnica presso la scuola media di S. Giorgio del Sannio (BN), impugnava il decreto, meglio distinto in epigrafe, con il quale il Provveditore agli Studi di Benevento, all’esito del relativo procedimento, le aveva irrogato, ai sensi degli artt. 495, lett. c) e 497 del T.U. n. 297/1994, la sanzione disciplinare della sospensione dall’insegnamento per mesi cinque, a decorrere dal 26 febbraio 1996, all’uopo prospettando plurimi motivi di gravame.

2.- L’Amministrazione intimata si costituiva in giudizio a mezzo della difesa erariale, invocando la reiezione del ricorso.

3.- Esaminata e disattesa l’istanza incidentalmente intesa, in prospettiva cautelare, alla sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, alla pubblica udienza del 3 marzo 2011 la causa veniva riservata per la decisione.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso non è fondato e merita di essere, conseguentemente, respinto.

1.1.- Invero, con primo motivo di doglianza, la ricorrente lamenta che – in evidente violazione del paradigma normativo di riferimento (e, segnatamente, dell’art. 21 del d. lgs. n. 297/1994 e dell’art. 112 del T.U. n. 3/1957), alle riunioni del Consiglio di disciplina convocato, come di rito, per la formulazione del relativo parere obbligatorio, non avesse preso parte, come attestato dai relativi verbali, il componente effettivo Anita Licia Parrella, discendendone: a) la radicale illegittimità del formulato parere, in quanto reso da un collegio perfetto in assenza di uno dei suoi componenti effettivi, non sostituito dal componente supplente; b) l’ulteriore illegittimità riconnessa al rilievo che, a fronte di quattro componenti effettivamente presenti, il verbale attestasse la ricorrenza di cinque votazioni (con verisimile ed abusiva acquisizione anche del voto anche del componente segretario).

Con lo stesso motivo, la ricorrente lamenta, altresì: a) che si fosse proceduto alla votazione "a scrutinio segreto", con successiva distruzione delle schede votate, e non – come asseritamente previsto – a scrutinio palese (segreta essendo, in forza degli artt. 507 T.U. n. 297 cit. e 112 T.U. n. 3 cit, solo la deliberazione conseguente al voto, e non il voto medesimo); b) che i verbali non fossero stati sottoscritti da tutti i componenti, ma solo dal Presidente e dal Segretario.

1.2.- Le censure non colgono nel segno.

a) Vale, invero, anzitutto puntualizzare che, con verbale n. 13 in data 4 aprile 1996, ritualmente notificato alla ricorrente a mezzo di raccomandata ricevuta il successivo 12 aprile, la commissione, riunitasi nella sua integralità, aveva dato atto dell’errore materiale dei precedenti verbali, nella parte in cui era stata omessa la presenza (in effetti sussistente) della professoressa Parrella, nella qualità di componente effettivo): tale verbale, concretante formale esercizio di autotutela (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. I, 1° aprile 2010, n. 848), formalmente portato a conoscenza (per giunta antecedentemente alla data di notifica del gravame e, comunque, in sede giudiziale) della ricorrente, non è stato impugnato e, per tal via, risulta incontestabile, ridondando in infondatezza, in parte qua, delle prospettate doglianze.

b) Quanto alle modalità della votazione ("a scrutino segreto", piuttosto che "a scrutinio palese con deliberazione segreta"), osserva il Collegio come il problema interpretativo consista nello stabilire se le norme richiamate (e, segnatamente, la previsione generale dell’art. 112 del T.U. n. 3/1957) debbano essere intese nel senso che prescrivano lo scrutinio segreto (segretezza c.d. interna) o si limitino (come assume parte ricorrente) a vietare la divulgazione dei voti espressi da ciascun componente della Commissione (segretezza c.d. esterna).

Orbene, fin da tempo risalente la giurisprudenza ha, invero, ritenuto trattarsi di un’esigenza di segretezza "esterna", da reputarsi salvaguardata purché dei voti dei singoli membri non sia fatta menzione nel verbale (ad es. Cons. Stato, sez. IV, 7 febbraio 1967, n. 93; Id., 18 ottobre 2002, n. 5711).

Occorre, nondimeno, considerare, che le disposizioni contenute nell’art. 112 del T.U. n. 3 del 1957 – prescrivendo che "la deliberazione (sia) sempre segreta" – non sembrano imporre lo scrutinio segreto, limitandosi a precludere la divulgazione all’esterno delle posizioni assunte dai componenti dell’organo (in terminis, Cons. Stato, sez. IV, 31 gennaio 2006, n. 339); in altre parole, la regola per i Collegi disciplinari degli impiegati civili risulta piuttosto mutuata da quella del codice di rito civile il quale infatti prevede (art. 276 cod. proc. civ.) che " la decisione (sia) deliberata in segreto", evidentemente prescrivendo la sola segretezza esterna: è pacifico infatti (cfr. ad es. art. 118 c. 4 disp. att. cod. proc. civ.) che in seno agli organi giurisdizionali il voto si esprime in forma palese.

La norma va, dunque, intesa, non già nel senso di imporre ovvero, alternativamente, di escludere la segretezza interna (diversamente da quanto previsto, per esempio, nell’ordinamento militare, sul quale cfr. Cons. Stato, n. 339/2006 cit.), ma solo nel senso di imporre, in ogni caso, la sola segretezza esterna: di tal che l’opzione per la votazione a scrutinio segreto non poteva, in via di principio, ritenersi preclusa.

A quanto precede, vale in ogni caso aggiungere che la deliberazione de qua, come risultante dalla relativa verbalizzazione, fu assunta all’unanimità dei componenti, sia in ordine all’an che in ordine al quomodo e al quantum della irroganda sanzione.

c) Per quanto riguarda le modalità di sottoscrizione del processo verbale, le attoree doglianze trovano positiva smentita nel tenore testuale dell’art. 112 cit., che prevede la sola sottoscrizione del Presidente e del Segretario, e non di tutti i componenti.

2.- La ricorrente contesta, sotto diverso profilo, la tempestività degli addebiti disciplinari, ai sensi dell’art. 103 T. U. cit., assumendo a tal fine inidoneo il termine di trenta giorni di fatto decorsi dal fatto contestato alla formalizzazione degli addebiti.

2.1.- L’assunto non persuade.

È noto, infatti, che l’art. 103 comma 2, T.U. cit., nel prescrivere che la contestazione degli addebiti al pubblico dipendente deve avvenire "subito", non mira a vincolare l’Amministrazione all’osservanza di un termine rigido, il cui decorso comporti la decadenza del potere disciplinare, ma indica una regola di ragionevole prontezza e tempestività, da valutarsi caso per caso in relazione alla gravità dei fatti ed alla complessità degli accertamenti preliminari, nonché allo svolgimento effettivo dell’iter procedurale; ed invero, ciò che in effetti la norma vuole salvaguardare è la certezza del rapporto tra l’impiegato e l’Amministrazione, la quale verrebbe inficiata (anche per i profili consequenziali inerenti allo sviluppo di carriera ed alle relative valutazioni periodiche) ove il dipendente restasse esposto, sine die, per ingiustificata inerzia dell’Amministrazione stessa, alla possibile attribuzione di rilevanza disciplinare a determinati suoi comportamenti (ex permultis, Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8284): con il che il termine di trenta giorni può essere, di fatto, ritenuto ragionevolmente necessario alla doverosa e completa acquisizione dei fatti ed alla loro valutazione e ponderazione ai fini disciplinari.

3.- Assume, ancora, la ricorrente di non essere stata convocata per la seduta (quella del 9 febbraio 1996) nella quale era stato concretamente espresso il parere di comminarle la contestata sanzione disciplinare, per tal via essendosi vista conculcare il proprio diritto di difesa.

3.1- La tesi è erronea. Risulta dalla documentazione versata in atti che la ricorrente fu ritualmente e tempestivamente convocata per la prima seduta del 6 febbraio 1996, alla quale non prese parte, comunicando la propria indisponibilità per motivi di salute. Ed è principio ben noto e costantemente ribadito quello per cui, in sede di procedimento disciplinare, il termine in questione opera solo per la prima seduta, mentre non ha ragion d’essere osservato nel caso di rinvio dell’iniziale seduta ad altre date successive, essendo già stato assicurato al dipendente interessato il lasso di tempo necessario per produrre scritti e memorie, nonché per organizzare la propria difesa orale (per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 1° marzo 2010, n. 1178).

4.- Assume, ancora la ricorrente, che – in violazione del giusto procedimento in subiecta materia – in sede di votazione della commissione disciplinare ogni componente sia stato espressamente invitato (non già ad esprimersi liberamente nel senso della meritevolezza o meno della comminatoria della sanzione, ma solo) a "quantificare" la sanzione medesima, con evidente "influenza" sui voti espressi.

4.1.- La tesi è erronea.

L’esatta lettura dei verbali conferma che alla quantificazione, a scrutinio segreto, della irroganda sanzione i componenti della commissione abbiano proceduto dopo avere, unanimemente, ritenuto "che la docente (avesse) costantemente violato i suoi doveri di ufficio con grave pregiudizio per il regolare e sereno funzionamento della scuola", per tal via palesando la concorde opinione di meritevolezza della sanzione, successivamente determinata, a scrutinio segreto, solo nel quomodo.

5.- La ricorrente prospetta, sotto distinto profilo, violazione di legge e del giusto procedimento, avuto riguardo alla mancata designazione del funzionario istruttore. Omette, tuttavia, di considerare – ciò che ridonda di per sé in infondatezza del motivo – che, trattandosi di pratica implicitamente ritenuta sufficientemente istruita, la designazione di un istruttore (figura, beninteso, diversa da quella del relatore) non era necessaria a pena di irregolarità.

6.- Con ulteriore motivo di gravame, la ricorrente si duole della asserita violazione della regola procedimentale, imposta dall’art. 111 del T. U. n. 3 più volte citato, in base alla quale l’avviso con il quale, antecedentemente alla fissazione della trattazione orale della questione disciplinare, avrebbe dovuto essere notiziata della facoltà di prendere visione di tutti gli atti del procedimento e di estrarne copia, le era stato trasmesso con ritardo, e segnatamente senza il rispetto del prescritto termine di venti giorni ne ante quem.

6.1.- L’assunto è smentito dalle risultanze documentali, alla cui stregua, dopo la prima seduta originariamente fissata per il 6 dicembre 1995, andata deserta, era stata fissata una nuova seduta per il 6 febbraio 1996, con rituale notifica alla interessata.

7.- Con ulteriore censura, la ricorrente si duole che il Provveditore agli Studi avesse concretamente rivestito, nell’ambito del procedimento in contestazione, le contemporanee ed incompatibili funzioni di istruttore, di presidente del Collegio di disciplina e di componente deliberante nonché, per giunta, di Capo del Personale, con violazione dell’elementare principio che impone la separazione tra organi inquirenti (ed istruttori) e giudicanti.

8.- La doglianza è destituita di fondamento.

Invero, l’art. 21 del T.U. n. 297/1994 attribuisce al Provveditore agli Studi la presidenza dei consigli di disciplina, senza escluderne il diritto di votare, che è, del resto, espressamente scolpito all’art. 112 del T.U. n. 3/1957 (laddove è solo il caso di puntualizzare che la figura del capo del personale, di cui è prevista la partecipazione eventuale e che non può partecipare al voto, non coincide, nella specie, con quella del Provveditore agli Studi). In ogni caso, è smentito in fatto l’assunto che il Provveditore avesse, in concreto, svolto funzioni istruttorie.

9.- Parimenti infondato è il motivo con il quale si contesta che il decreto con il quale è stata irrogata la sanzione disciplinare risulterebbe privo di idoneo supporto motivazionale: e ciò perché, quanto alla valutazione dei fatti oggetto di incolpazione, alla loro ritenuta rilevanza e gravità, la motivazione della misura conclusiva del procedimento risulta effettuata per relationem rispetto alle valutazioni espresse in sede di commissione di disciplina (non essendo, a tal fine, necessario che il richiamato parere fosse concretamente allegato al provvedimento impugnato, purché concretamente accessibile).

10.- Con diverso motivo di doglianza, la ricorrente contesta che sia stata concretamente apprezzata (e conseguentemente motivata) l’attitudine dei comportamenti oggetto di incolpazione a recare concreto pregiudizio al regolare funzionamento della scuola, come richiesto dall’art. 495, lett. c) del T.U. n. 297/1994 ai fini della comminatoria della sospensione temporanea dall’insegnamento.

10.1- Sul punto, non può non osservarsi che la commissione di disciplina si è fatta carico, sul punto, di valutare l’attitudine dei comportamenti imputati alla ricorrente a compromettere il normale e quotidiano andamento dell’attività scolastica, manifestando, sul punto, concordia di opinioni e procedendo, di conserva, alla unanime irrogazione della corrispondente misura sanzionatoria.

11.- La ricorrente contesta, ancora, che agli atti del procedimento disciplinare siano state assunte una serie di note recanti una data successiva al 6 ottobre 1995, giorno di formulazione delle contestazioni da parte del Provveditore, di guisa che, a suo dire, la sanzione disciplinare irrogata si sarebbe fondata su fatti e circostanze successive a quelle addebitate: ma non è, sul punto, disagevole osservare che tutti gli atti contestati fanno, ai fini della’apprezzamento dei comportamenti imputati e della loro valutazione, esclusivo riferimento alle circostanze oggetto di formale imputazione. Di tal che la doglianza appare infondata in punto di fatto.

12.- Infine, con l’ultimo gruppo di doglianze, che possono essere apprezzate congiuntamente, la ricorrente si duole che le proprie controdeduzioni non siano state obiettivamente e motivatamente prese in considerazione.

Vale, peraltro, osservare che la Commissione di disciplina prima e l’Amministrazione poi non hanno omesso di acquisire e di valutare le controdeduzioni formulate in sede procedimentale, che, tuttavia, sono state in guisa non irragionevole od incongrua ritenute irrilevanti. Ed è, sul punto, noto che, in subiecta materia, il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell’amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da irrogare, sicché, in sede di impugnativa del provvedimento disciplinare, il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell’amministrazione nella valutazione dei fatti contestati all’inquisito e nel convincimento cui tali organi siano pervenuti, se non nei limiti in cui la valutazione contenga un travisamento dei fatti, ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente e, quando, come nel caso di specie, alcuna palese irrazionalità risulti, il giudice amministrativo non può entrare nel merito della valutazione operata dall’amministrazione (in termini, Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3544).

13.- Per tutte le esposte considerazioni, il ricorso deve ritenersi infondato.

La materia del contendere e le questioni fatte oggetto di delibazione suggeriscono, ad avviso del Collegio, di disporre l’integrale compensazione delle spese e delle competenze di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

Antonio Onorato, Presidente

Sabato Guadagno, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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