Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-04-2011) 22-09-2011, n. 34490 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I cittadini cinesi H.J. e H.S. erano chiamati a rispondere, innanzi al Tribunale di Sanremo dei reati di seguito indicati. Entrambi – nell’ambito del procedimento n. 523/04 – dei reati sub:

a) ai sensi degli agli artt. 110 e 474 c.p. per avere, in concorso fra loro, introdotto nel territorio dello Stato per farne commercio e detenuto per la vendita, prodotti industriali – accessori per auto;

automobili radiocomandate, binocoli, giocattoli vari; laser, lenti d’ingrandimento: mulinelli per canne da pesca (tutti oggetti privi del marchio "CE") borse e ombrelli Burberry; borse Cristian Dior;

borse, cinture e portafogli Louis Vuitton; borse e portafogli Fendi per un totale n. 7091 pezzi n. portanti marchi o segni distintivi contraffatti od alterati;

b) ai sensi degli artt. 110 e 517 c.p., per avere, in concorso fra loro, messo in circolazione i prodotti industriali di cui al capo a), con marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti ad indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza e qualità del prodotto;

c) ai sensi degli artt. 110 e 648 c.p. per avere, in concorso fra loro e al fine di procurarsi un ingiusto profitto, ricettato gli oggetti di cui al capo a), tutti provenienza illecita.

Il solo H.S., nell’ambito del procedimento n. 196/05):

a) del reato di cui all’art. 648 c.p., comma 2 per avere ricevuto, al fine di trame un ingiusto profitto, da persona rimasta sconosciuta, gli oggetti con marchio di fabbrica contraffatto indicato al capo b):

b) del reato p. e p. dall’art. 474 c.p.; per avere posto in vendita o comunque detenuto per vendere oggetti con marchio di fabbrica contraffatto nel caso specifico: 81 borse Fendi – 288 borse L. Vuitton – 62 borse C. Dior – 9 borse A. Martini -17 portafogli FENDI- 55 portafogli L. Vuitton – 264 occhiali da vista CE – 612 automobili radiocomandate marchio CE – 72 jojò ad acqua recanti marchio CE. Con sentenza del 14 novembre 2005, il Tribunale, pronunciando sui procedimenti riuniti, assolveva gli imputati con formula perchè in fatto non sussiste dai reati di introduzione nel territorio dello Stato al fine di commercio e ricettazione dei prodotti indicati in rubrica. Escludeva, infatti, ogni possibile confusione con i prodotti originali, tenuto conto della mera somiglianza e non già della perfetta imitazione degli originali; della mancanza di etichette o di placche autentiche; e della dicitura made in China apposta sui beni anzidetti.

Pronunciando sugli appelli proposti dal PM e dalle parti civili Louis Vuitton, Mallettier e Fendi Adele s.r.l., la Corte di Appello di Genova con la sentenza indicata, in epigrafe, in riforma della decisione impugnata, dichiarava non doversi procedere in ordine alla contravvenzione di cui al D.Lgs. 27 settembre 1991, n. 313, artt. 4 e 11, così qualificata l’introduzione nel territorio per farne commercio dei soli giocattoli di cui al capo a) (proc. n. 523/04), perchè estinta per prescrizione; dichiarava non doversi procedere in ordine al reato sub b) nei confronti del solo H.S., relativamente agli occhiali e giocattoli, perchè estinto per prescrizione ed assolveva gli imputati dall’introduzione nello Stato degli altri giocattoli e strumenti, indicati nel suddetto capo, come privi del marchio CE perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato; assolveva gli imputati dal reato sub c) limitatamente alla ricezione di tutti i giocattoli e strumenti perchè il fatto non sussiste;

dichiarava gli stessi imputati colpevoli del reato di cui ai capi a) e c) del proc.n. 523/04 e l’imputato H.S. in ordine ai capi a) e b) del proc. 196/05, limitatamente alle borse, ombrelli, cinture e portafogli, e, ritenuta la continuazione, condannava H.J. alla pena di anni 2 mesi 2 di reclusione ed Euro 2.500,00 di multa e condannava H.S. alla pena di anni 2 mesi 6 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa ed entrambi al pagamento in solido delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio. Ordinava la restituzione all’avente diritto dei giocattoli e strumenti privi del marchio CE, disponendo, invece, la confisca e la distruzione di quant’altro in sequestro. Condannava, infine, gli imputati al risarcimento dei danni a favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede, assegnando a ciascuna delle parti costituite nel presente grado una provvisionale di Euro 5.000,00, oltre consequenziali statuizioni.

Avverso la decisione anzidetta, gli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Il primo motivo del ricorso di H.J. deduce vizio di forma, sul rilievo che, nell’epigrafe della sentenza impugnata risultava indicata, come oggetto di gravame, una sentenza del Tribunale di Genova, in luogo di sentenza del Tribunale di Sanremo.

Il secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza della legge penale.

Lamenta, in particolare, la violazione del diritto costituzionalmente garantito, per mancato accoglimento di un’istanza di rinvio per legittimo impedimento del difensore.

Lamenta inoltre l’insussistenza del reato di cui all’art. 474 c.p. e conseguentemente di quello di cui all’art. 648 c.p. mancandone i presupposti, come riconosciuto dal primo giudice, stante la grossolanità del falso ed il carattere marginale delle modifiche nella rappresentazione dei marchi.

Il terzo motivo lamenta il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al capoverso dell’art. 648 c.p. nonchè il diniego delle attenuanti generiche, dell’indulto e della sospensione condizionale della pena.

Il ricorso di H.S. è affidato ad identiche ragioni, con la sola aggiunta della richiesta di declaratoria di prescrizione in ordine al procedimento n. 196/05. 2. – La prima censura del ricorso proposto da H.J. è palesemente infondata, posto che l’indicazione, nell’epigrafe della sentenza impugnata, del Tribunale di Genova, in luogo di quello di Sanremo, è frutto di evidente errore materiale e non costituisce ragione di nullità della sentenza impugnata. D’altronde, dal testo della stessa sentenza emerge chiaramente che la decisione appellata era quella emessa dal Tribunale di Sanremo, specificamente indicata.

Per quanto riguarda il secondo motivo, il profilo di doglianza relativo alla pretesa violazione del diritto di difesa è, manifestamente, generico e va, pertanto, disatteso. Del resto, il giudice di appello ha rigettato l’istanza di rinvio per il dedotto impedimento del difensore rilevandone la tardività, nell’esercizio di motivato apprezzamento di merito.

Quanto ai profili sostanziali la censura si colloca decisamente in area di inammissibilità, sostanziandosi di argomenti e valutazioni di merito che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità. Ad ogni modo, le deduzioni difensive sono manifestamente infondate.

E’, innanzitutto, improponibile ogni contestazione in ordine alla validità sostanziale di uno dei marchi in questione, con particolare riferimento al monogramma LV, siccome privo dei necessari connotati della novità ed originalità, asseritamente necessari essendo utilizzate lettere dell’alfabeto, nel loro significato convenzionale.

Nel giudizio penale non è possibile eccepire l’invalidità del marchio registrato, che deve trovare espressione nella competente sede civilistica (cfr. Cass. Sez. 5, 1.7.2009, n. 40170, rv. 244750, sull’irrilevanza, in presenza di marchio notorio, della circostanza che sia stato o meno registrato; cfr. pure, per la fase cautelare, id. Sez. 2, 20.11.2009. n, 4217, rv. 245891).

La questione relativa alla natura del marchio in questione, che per il suo carattere debole (siccome composto solo da lettere), renderebbe lecite minime variazioni o modifiche, involge profili di merito improponibili in questa sede di legittimità, a parte le pertinenti osservazioni della parte civile – nella memoria indicata in premessa – che evidenzia come, nel caso di specie, ricorrerebbe invece la diversa – e più forte, sub specie di intensità di tutela – figura di marchio celebre.

Con motivazioni adeguate e formalmente corrette, il giudice a quo ha espresso il suo apprezzamento in merito alla forte somiglianza del materiale in sequestro con i prodotti originali, frutto di fedele ed accorta riproduzione, tale da ingenerare confusione e da captare l’attenzione del consumatore medio. Tale rilievo, frutto di incensurabile apprezzamento di parte, è sicuramente sufficiente per ritenere integrato il reato di cui all’art. 474 c.p. che, per pacifico insegnamento di questa Corte regolatrice, tutela in via principale e diretta non l’acquirente, bensì la pubblica fede intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi, che individuano le opere di ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione (cfr. Cass. sez. 5, 17.4.2008, n. 33324, rv. 241347).

Peraltro, la pacifica natura di reato di pericolo della fattispecie in questione, e la tutela della pubblica fede, intesa come affidamento della clientela sulla genuinità del marchio, ai fini della relativa configurazione è sufficiente che la falsificazione anche imperfetta e parziale sia idonea a trarre in inganno i terzi, ingenerando errore circa l’origine e la provenienza del prodotto e, quindi, la confusione tra contrassegno e prodotto originali, e quelli non autentici.(cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 19.6.2007, n. 31482, rv. 237578; id. sez. 5, 26.1.2000, n. 3336, rv. 215583).

La preordinata attitudine del prodotto contraffatto alla confusione, oggetto di tutela penale, pone in linea la normativa sostanziale e la sua interpretazione alla legislazione comunitaria richiamata dal ricorrente.

Manifestamente infondata è anche il richiamo al c.d. pubblico di riferimento, ossia alla clientela selezionata, cui si rivolgono le aziende di prestigio, del tutto in grado di riconoscere l’autenticità del prodotto, diffidando delle modalità e circostanza in cui vengono offerti prodotti similari, posto che l’ambito di tutela dell’art. 474 c.p. non è notoriamente selettivo e la posizione del singolo acquirente riceve protezione solo ed in quanto si atteggia ad emanazione parziale dell’intera collettività, sicchè la grossolana contraffazione dei segni distintivi dei prodotti detenuti per la vendita o messi in vendita non può essere desunta sulla base dei soli elementi circostanziali delle condizioni di vendita, del prezzo o della qualità dell’offerente, che rendono solo probabile, ma non incontrovertibile, l’impossibilità di lesione della fede pubblica. Ne consegue che può ritenersi la grossolanità del falso solo ove il prodotto, per requisiti materiali intrinseci, sia tale da fare escludere l’efficienza causale originaria alla produzione dell’evento nei confronti non dello specifico acquirente ma dell’intera collettività, sulla base di una valutazione ex ante riferibile a qualsiasì persona di comune discernimento e avvedutezza (cfr., tra le altre, Cass. 15.11.2005, n.. 45545, rv. 232832; cfr. pure, id. sez. 2 11.10.2000, n. 13031, rv.. 217506).

Identico giudizio di manifesta infondatezza va espresso anche in ordine alla terza censura, posto che, avuto riguardo all’entità ed al valore della merce oggetto di ricettazione, non è stata giustamente ritenuta sussistente l’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 c.p., comma 2.

Le altre censure, che sostanziano il motivo d’impugnazione, sono inammissibili in quanto afferenti al regime sanzionatorio, in ordine al quale il giudice di appello ha reso idonea motivazione congrua con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena, mentre, quanto all’indulto, il beneficio, che non risulta invocato in appello, ben può essere richiesto al giudice dell’esecuzione.

Il ricorso proposto da H.S., per motivi identici a quelli dedotti dall’altro ricorrente, non può che condividere lo stesso epilogo decisionale in termini di inammissibilità. La sola, diversa, ragione di doglianza, relativa alla prescrizione, è palesemente infondata, posto che, alla data di deliberazione della sentenza impugnata, il termine prescrizionale non era ancora maturato.

3. – Per quanto precede, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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