Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-01-2012, n. 1414 Promessa di fatto del terzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 7.4.08 la Corte d’appello di Torino rigettava il gravame interposto da Intesa Sanpaolo S.p.A. contro la pronuncia del Tribunale subalpino che la aveva condannata a pagare a P.N. (in quiescenza dal 31.12.95) il risarcimento dei danni per essere venuta meno al proprio obbligo di mantenere in favore del P. medesimo la precedente copertura assicurativa (che, all’epoca, era operata da Assitalia), pagata dall’azienda, delle spese di cura per malattia e infortunio (si trattava di un obbligo a suo tempo assunto nei confronti dei propri dipendenti da CREDIOP – Credito per le Imprese e le Opere Pubbliche S.p.A., banca poi incorporata dall’attuale Intesa Sanpaolo).

Statuivano i giudici del merito che, ormai separatamente accertato l’inadempimento di Intesa Sanpaolo con sentenza passata in giudicato fra le medesime parti, spettava il risarcimento del danno (liquidato in Euro 12.154,18) consistente nei maggiori oneri sostenuti per aderire alla Cassa di assistenza di Intesa Sanpaolo rispetto al costo della polizza Assitalia, nonchè nella differenza fra i rimborsi ottenuti dal P. e quelli cui avrebbe avuto diritto in virtù della precedente polizza.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre Intesa Sanpaolo S.p.A. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso il P..

Motivi della decisione

1- Preliminarmente va respinta l’eccezione dì inammissibilità del ricorso sollevata dal P. in base ad un’asserita tardività della notifica; in realtà, l’atto di impugnazione è stato spedito a mezzo posta in data 7.4.09, vale a dire l’ultimo giorno utile per proporre ricorso per cassazione (essendo stata depositata la sentenza della Corte territoriale il 7.4.08).

Pur non applicandosi nel caso di specie l’art. 149 c.p.c., comma 3 aggiunto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. e) entrato in vigore – ai sensi dello stesso art. 2, comma 4 come modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39 quater convertito, con modificazioni, in L. 23 febbraio 2006, n. 51, il 1.3.06 ed applicabile alle controversie instaurate successivamente a tale data, fra cui non rientra quella oggi in esame, tuttavia ratione temporis viene in rilievo il precedente testo dell’art. 149 c.p.c. come novellato dalla sentenza della Corte cost., n. 477 del 26.11.02, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il combinato disposto dell’art. 149 c.p.c. e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3 nella parte in cui prevedeva che la notificazione si perfezionasse, per il notificante, alla data di ricezione dell’atto da parte del destinatario anzichè a quella, antecedente, di consegna dell’atto medesimo per l’esecuzione della notifica.

Ha infatti stabilito il giudice delle leggi che è palesemente irragionevole, oltre che lesivo del diritto di difesa del notificante, che una decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un’attività che rientra non nella sfera di disponibilità del notificante, ma in quella di soggetti diversi (ufficiale giudiziario o agente postale).

Pertanto, gli effetti della notificazione a mezzo posta devono essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al solo compimento delle attività a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario o all’ufficio postale per la spedizione (come avvenuto nel caso di specie).

Nè la soluzione muta sol perchè la notifica del ricorso per cassazione di Intesa Sanpaolo a mezzo del servizio postale è stata eseguita, ai sensi della L. 4 settembre 1994, n. 53, da un avvocato munito di procura alle liti e dell’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine di appartenenza, non risultando conferente il precedente di questa S.C. invocato dal P. (Cass. 25.9.02 n. 13922, secondo cui anche per il notificante la data da prendere in considerazione era quella di consegna del plico al destinatario): si tratta di sentenza emessa anteriormente all’intervento sull’art. 149 c.p.c. operato dalla summenzionata Corte cost. 26.11.02 n. 477. 2 – Con il primo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2909 c.c. e vizio di motivazione per avere la Corte territoriale negato l’ammissibilità della prova testimoniale chiesta dall’istituto di credito perchè erroneamente ritenuta preclusa dal precedente giudicato sull’an debeatur.

La censura di diritto è inammissibile per incongruità del quesito, così formulato: "Si chiede alla Ecc.ma Corte di valutare se costituisca violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2909 c.c., aver negato l’ammissibilità della prova testimoniale richiesta dall’istituto Sanpaolo perchè ritenuta erroneamente preclusa dal giudicato sostanziale della sentenza di accertamento sull’an".

Come ben si può notare, tale quesito non chiarisce in cosa sarebbe consistita l’erronea interpretazione del precedente giudicato formatosi tra le parti.

Lo stesso dicasi per il motivo di sintesi dell’asserito vizio di motivazione, riferito a una non corretta lettura della sentenza sull’an debeatur.

A ciò si aggiunga, ad ogni buon conto, che – ad onta delle allegazioni della ricorrente – la prova testimoniale negata aveva ad oggetto circostanze di fatto volte a dimostrare non già l’inesistenza del danno lamentato dal P., bensì la correttezza e buona fede di Intesa Sanpaolo nelle trattative con Assitalia e, quindi, la non configurabilità di un inadempimento che, invece, era stato già irretrattabilmente accertato con precedente giudicato: pertanto, la doglianza risulta – oltre che inammissibile – anche infondata.

3- Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione per avere la Corte territoriale omesso di accertare il nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso, supponendo che la mera enunciazione del primo di per sè possa fornire gli estremi per la liquidazione del secondo.

Il motivo è infondato perchè si basa su una erronea lettura dell’impugnata sentenza che, lungi dall’affermare automatismo alcuno tra inadempimento e danno ex art. 1218 c.c. (automatismo escluso da costante giurisprudenza di questa Suprema Corte), ha invece accertato in concreto – alla luce della documentazione versata in atti dall’odierno controricorrente – che l’inadempimento di cui sopra ha cagionato al P. maggiori oneri per aderire alla Cassa di assistenza di Intesa Sanpaolo rispetto a quelli che sarebbero derivati dalla polizza Assitalia, così come ha in concreto accertato la differenza fra i rimborsi ottenuti e quelli cui l’odierno controricorrente avrebbe avuto diritto in virtù di tale precedente polizza.

4 – Con il terzo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1381 c.c. in relazione all’art. 1218 c.c. nonchè vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha posto a carico della promittente Intesa Sanpaolo le conseguenze dell’inadempimento del terzo, vale a dire di Assitalia.

Il motivo è infondato.

Si premetta che il relativo quesito di diritto è stato formulato come segue: "Dica l’Ecc.ma Corte se costituisca violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1381 c.c. ritenere, come affermato dalla corte d’appello torinese, che ogni danno conseguito dal promissario in conseguenza dell’inadempimento del terzo deve essere risarcito dalla promittente, determinandosi in tal modo un integrale ripristino della situazione patrimoniale del promissario indipendentemente dalla condotta posta in essere dal promittente stesso Dica l’Ecc.ma Corte se il corretto principio di diritto applicabile al caso di specie si è invece che l’art. 1381 c.c. determina per il promittente l’obbligo di compensare la lesione dell’interesse subita dal promissario mediante il riconoscimento di un indennizzo, la cui quantificazione seppur effettuata in via equitativa dal giudice – non può prescindere dalla buonafede e dalla attivazione alla proprio obbligo di facere posta in essere dal promittente (con il risultato di considerare illegittimo il criterio di quantificazione adoperato dal giudice di merito)".

Con tale quesito la società ricorrente attribuisce all’impugnata sentenza (e, per essa, a quella già passata in giudicato fra le stesse parti) ciò che non ha mai affermato, vale a dire che nella vicenda in esame vi sia stato inadempimento del terzo (Assitalia) anzichè della promittente Intesa Sanpaolo.

Nè la Corte territoriale ha asserito che la società ricorrente debba rispondere ex art. 1381 c.c. in termini propriamente risarcitori – anzichè meramente indennitari – del mancato obbligarsi da parte del terzo.

Invece, i giudici d’appello hanno condiviso la statuizione di prime cure secondo cui l’odierna ricorrente non ha adempiuto l’obbligo di mantenere, in favore del P., una copertura assicurativa mediante stipula di polizza di assicurazione – per il rimborso delle spese per la cura di malattie e infortuni – con premio a carico dell’azienda, specificando solo che tale polizza non doveva essere necessariamente quella già esistente al 31.12.95 (data del pensionamento del controricorrente), perchè ciò avrebbe richiesto, appunto, l’intervento di Assitalia, il cui consenso era venuto meno.

In altre parole, l’art. 1381 c.c. è stato applicato dai giudici del merito solo per escludere il diritto del P. a mantenere la stessa polizza assicurativa esistente alla data del 31/12/95, non già per affermare che ai sensi della citata previsione codicistica Intesa Sanpaolo sarebbe tenuta al risarcimento integrale per il mancato obbligarsi da parte del terzo, in quanto l’inadempimento è stato ravvisato in qualcosa di diverso, vale a dire nel non avere stipulato altra polizza (non necessariamente con Assitalia), a favore dell’odierno controricorrente, con premio integralmente carico della società. 5- Con il quarto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2113 c.c., comma 2 in relazione all’art. 2909 c.c., per avere l’impugnata sentenza negato valore di rinuncia – non impugnata nel termine semestrale – all’adesione da parte dell’odierno controricorrente alla Cassa di assistenza Sanpaolo a decorrere dal 1.1.97, giusta dichiarazione sottoscritta dal P. il 16.11.97.

Il motivo è infondato perchè, come correttamente statuito dai giudici d’appello, il precedente giudicato sull’inadempimento della società ricorrente copre anche il preteso fatto impeditivo del diritto invocato dal P., che sarebbe costituito dall’adesione alla summenzionata Cassa di assistenza Sanpaolo, noto essendo che il giudicato copre il dedotto e il deducibile e che tale rinuncia risale, secondo quanto asserito dalla stessa ricorrente, ad epoca anteriore alla formazione del giudicato medesimo.

Dunque, eventuali rinunce al diritto a mantenere una copertura assicurativa mediante stipula di polizza di assicurazione con premio a carico dell’azienda si sarebbero dovute eccepire nel corso del giudizio sull’an debeatur.

6- Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso si denuncia vizio di motivazione sul quantum del risarcimento, atteso che il precedente giudicato aveva stabilito il diritto del P. a conservare una polizza assicurativa con premio a carico dell’azienda, ma non quella medesima polizza che Assitalia non aveva più voluto rinnovare, tanto che la stessa sentenza di primo grado aveva respinto la domanda di condanna a mantenere la polizza in essere al 31/12/95, qualificando la fattispecie ai sensi dell’art. 1381 c.c.; per l’effetto, conclude la società ricorrente, non potevano i giudici del merito calcolare il risarcimento in misura pari alla differenza rispetto a quanto al P. sarebbe spettato in virtù della polizza vigente alla data predetta.

Il motivo è inammissibile vuoi perchè nuovo – giacchè con l’atto di appello Intesa Sanpaolo aveva proposto una diversa censura sul quantum liquidato dal giudice di prime cure, con doglianze che la Corte territoriale ha poi giudicato generiche in quanto intese ad eccepire in termini apodittici che le spese mediche pretese dal P. non sarebbero rientrate integralmente nella copertura Assitalia, vuoi perchè in esso non si confuta specificamente l’impugnata sentenza nella parte in cui ha giudicato generico il motivo d’appello sull’entità del risarcimento.

7- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 70,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 (Euro quattromila/00) per onorari, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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