Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-04-2011) 22-09-2011, n. 34487 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 19.3.2010, la corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza 10.12.08 del tribunale di Treviso, con la quale Z. M. era stato condannato,previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena di 1 anno e 4 mesi di reclusione, perchè ritenuto responsabile dei reati, uniti dal vincolo della continuazione, di violenza privata, minaccia in danno della moglie T.E., di minacce in danno di M.G., di resistenza e lesioni in danno del carabiniere N.M., di omessa custodia di armi legittimamente possedute. Il difensore dell’imputato ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1) violazione di legge in riferimento all’art. 192 c.p.p., vizio di motivazione: la corte di merito ha fondato l’affermazione di responsabilità in ordine ai reati di violenza privata e di minacce solo sulla ricostruzione dei fatti compiuta dalle persone offese, nonostante le contrastanti dichiarazioni della donna e la loro non coincidenza con quelle del M.. La corte, nonostante il quadro probatorio contraddittorio e inattendibile, non ha riconosciuto alcuna credibilità della versione dei fatti fornita dallo Z., che è incensurato e che ha sempre collaborato con le forze dell’ordine, nell’esercizio della sua attività lavorativa di installazione di dispositivi di intercettazione telefonica ed ambientale.

Il giudice di appello con motivazione censurabile ha disconosciuto l’esimente della legittima difesa, in ordine alla minaccia in danno del M., seguendo un iter argomentativo illogico, erroneo e contraddittorio.

Quanto alla contravvenzione, i giudici non hanno tenuto conto che le armi erano state poste dall’imputato in una valigetta chiusa a chiave, messa all’interno del bagagliaio dell’auto, sempre sotto il suo stretto controllo.

Infine, la carente analisi e valutazione del materiale probatorio ha condotto la corte di merito a trascurare l’incensuratezza dell’imputato, il suo comportamento processuale e la sua sminuita pericolosità, giungendo così a un trattamento sanzionatorio non adeguato.

Il ricorso non merita accoglimento, in quanto le censure attengono a questioni di merito, concernenti valutazioni fattuali dei giudici di merito, assolutamente indenni da censure, in quanto strettamente fedeli alle risultanze probatorie e valutate con lineare razionalità. Le critiche alle dichiarazioni delle persone offese T. e M. sono in ingiustificato contrasto con il consolidato orientamento interpretativo, secondo cui questa fonte conoscitiva non presenta un’ affidabilità ridotta, bisognevole di conferme dei cosiddetti riscontri. La testimonianza della persona offesa, al pari di tutte le testimonianze, deve essere sottoposta al generale controllo sulle capacità percettive e mnemoniche del dichiarante, nonchè sulla corrispondenza al vero della sua rievocazione dei fatti, desunta dalla linearità logica della sua esposizione e dall’assenza di risultanze processuali incompatibili,caratterizzate da pari o prevalente spessore di credibilità. Questo controllo è stato effettuato in maniera esaustiva dalla sentenza del giudice di appello, che ha escluso, con adeguata motivazione,l’ incidenza sulla loro credibilità delle qualità personali delle persone offese, nonchè la sussistenza di intento calunniatorio e di interesse a un determinato esito del processo, avvalorata dalla mancanza di costituzione di parte civile e dalla remissione di querela della donna, in ordine al reato di lesioni. Quanto alla dichiarazione scritta della donna, inviata al tribunale per i minorenni, è stato razionalmente ritenuto che l’armonioso quadro familiare in essa descritto era funzionale esclusivamente ad evitare interventi limitativi della potestà della madre sul minore.

Correttamente sono state valutate le risultanze processuali in ordine alla mancata sussistenza dell’esimente della legittima difesa, in ordine al reato di minaccia aggravata in danno del M., in quanto la circostanza che questi abbia puntato la pistola contro lo Z. è stata dedotta dall’imputato, ma non è risultata confermata da dati oggettivi. Logica è stata la conclusione della corte territoriale, secondo cui l’esimente non può fondarsi su un’ipotetica supposizione di quanto sarebbe potuto verificarsi, in quanto è necessaria la dimostrazione della necessità di difendersi da un "pericolo attuale" di un’offesa ingiusta.

La carenza di diligenza e prudenza, riscontrata dai giudici di merito nelle modalità di custodia di armi estremamente pericolose, è stata affermata in piena coerenza con le incontestate risultanze probatorie.

Quanto al trattamento sanzionatorio, il giudice di merito ha correttamente esercitato il potere discrezionale, riconosciuto dal legislatore, che non richiedono un’analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli, indicati dalle parti o desunti dalle risultanze processuali, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti.(sez. 1, 21.9.1999, n. 12496, in Cass Pen. 2000, n. 1078, p. 1949).

Nel caso in esame,non è quindi censurabile la motivazione della sentenza impugnata, laddove fa riferimento alla gravità dei reati e alla spiccata capacità a delinquere, dimostrata, ex art. 133 c.p., comma 2, n. 2, dalla violenza esercitata dall’imputato per un rilevante lasso di tempo.

Pertanto le logiche conclusioni che sono state tratte dai giudici di merito sulla responsabilità dell’imputato e sull’entità della pena non sono meritevoli di alcuna censura in sede di legittimità.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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