Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-01-2012, n. 1408 Pignoramento di crediti di lavoro

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 29 settembre 2006, il Tribunale di Messina, decidendo sulle opposizioni proposte da F.N. (poi proseguita da F.V., Cl. e G. quali suoi eredi) avverso gli atti di precetto notificati ad istanza di C.S. nel marzo 1996 e nel luglio 2002, condannava F.V. e Cl. e gli eredi di F.G., tutti n.q. di eredi di F.N., a corrispondere all’opposta la somma di Euro 65.485,56 a titolo di interessi e rivalutazione, sino al 31 dicembre 2005, sul credito di lavoro della C., accertato con sentenza n. 177/96 dal Tribunale di Patti, oltre ulteriori interessi sulle somme progressivamente rivalutate dalla suddetta data fino all’effettivo soddisfo.

Avverso la sentenza proponevano appello Fa.Cl. e F. V., deducendo: 1) l’erronea affermazione della responsabilità di essi appellanti, "ultra vires hereditatis" per il debito del defunto F.N. nei confronti di C.S.; 2) l’erronea loro condanna al pagamento delle spese di c.t.u. ed alle spese di lite, in conseguenza delle opposizioni ai precetti.

Si costituiva la C., contestando gli assunti e chiedendo il rigetto del gravame.

In particolare, la stessa rilevava che nel ricorso in riassunzione del giudizio di opposizione nessuna eccezione in merito all’accettazione con beneficio d’inventario e dell’eseguito inventario era stata effettuata dagli eredi F., che pertanto erano decaduti dalla stessa.

Evidenziava infine tutte le circostanze fattuali che militavano a favore della tesi prospettata, sottolineando che i beni, dopo la morte del F., erano stati collocati in uno scantinato di proprietà del cugino.

La Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 30 gennaio 2010, accoglieva l’appello, dichiarando che Fa.Cl. e F.V. erano eredi con beneficio di inventario di F. N., compensando le spese del grado. Osservava il giudice d’appello che gli elementi presuntivi in base ai quali il Tribunale, ritenendoli gravi, precisi e concordanti, accolse la domanda, erano in realtà, pur complessivamente valutati, semplici sospetti, come tali insufficienti a fondare una affermazione di disponibilità dei beni ereditari in capo ai convenuti, idonea a determinare la decadenza dalla facoltà di accettazione con beneficio di inventario oltre il termine di tre mesi dall’apertura della successione, di cui all’art. 485 c.c.. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C., affidato a tre motivi.

Si costituivano Cl. e F.V. con controricorso.

R.A., Fa.Co., E., M.A. e N. restavano intimati.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 485 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la corte territoriale dichiarato gli eredi decaduti dall’eccezione di accettazione con beneficio di inventario, non avendola proposta nell’atto di riassunzione a seguito della morte del de cuius.

Lamenta la C. che, a differenza di quanto ritenuto dalla corte di merito, la prova della disponibilità dei beni ereditari da parte degli appellanti era nei fatti di causa (l’accudimento del de cuius; l’organizzazione dei funerali; il possesso dei suoi beni mobili, pur depositati presso il cugino), posto che la situazione di possesso a qualsiasi titolo di beni ereditari da parte del chiamato all’eredità richiede solo una mera relazione materiale tra i beni ed il chiamato, e cioè una situazione di fatto che consenta l’esercizio in concreto di poteri sui beni stessi. (Cass. n. 7076 del 1995). Il motivo è in parte infondato e per il resto inammissibile. Occorre infatti in primo luogo notare che secondo l’incontestato accertamento della corte territoriale, l’eccezione di decadenza dall’accettazione con beneficio di inventario, formulata dalla C., risultava tardiva non essendo stata ritualmente proposta in primo grado.

La ricorrente, per il resto, si limita a richiedere al giudice di legittimità un inammissibile riesame delle circostanze di fatto, implicanti valutazioni rimesse al prudente apprezzamento del giudice di merito ed insindacabili da questa Corte ove logicamente e congruamente motivate (ex plurimis, Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274; Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500).

Nella specie la corte territoriale ha adeguatamente e logicamente ritenuto che le varie circostanze di fatto invocate a favore della tesi del possesso dei beni ereditari da parte dei chiamati all’eredità (sopra evidenziate), non concretassero presunzioni gravi, precise e concordanti ex art. 2729 c.c., le prime in quanto giustificabili dall’affetto e quindi dalla pietas defuncti, la seconda per essere rimasta allo stato di illazione o sospetto, non essendo emerso alcun elemento idoneo a far ritenere o presumere che gli appellanti avessero avuto le chiavi dell’appartamento, che gli stessi avessero provveduto a svuotarlo o che avessero riconsegnato la chiave al locatore.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 487 c.c., comma 2, per non avere la corte territoriale comunque considerato che gli appellanti avevano fatto trascorrere dalla dichiarazione di accettazione (19 ottobre 2001) il termine di tre mesi per compiere l’inventario (avvenuto solo l’8 febbraio 2002).

Il motivo è infondato.

La stessa ricorrente deduce di aver proposto l’eccezione, peraltro in via gradata, nelle note difensive dinanzi al Tribunale, ma non risulta, nè dall’odierno ricorso, nè dalla lettura della sentenza impugnata, che essa sia stata riproposta in sede di gravame, sicchè sarebbe stato onere della ricorrente chiarire ove e come la questione sia stata sottoposta alla corte di merito, denunciando semmai una omessa pronuncia sul punto.

3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole che "le spese del giudizio andavano poste a carico degli eredi F.", senza fornire alcun elemento idoneo a derogare al principio di cui all’art. 91 c.p.c..

4. Il ricorso deve essere pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, pari ad Euro 40,00 Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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