Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 07-04-2011) 22-09-2011, n. 34409 Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con Sentenza in data 9.2.2010, depositata il 5.11.2010, la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava il gravame proposto da P. C. avverso la sentenza 22.1.2008 del Tribunale Monocratico della stessa sede giudiziaria, che aveva condannato l’appellante alla pena di mesi 8 di arresto perchè ritenuto colpevole del reato di cui alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 bis per non aver versato presso la cassa delle ammende la cauzione di Euro 1.000,00 impostagli a seguito della sottoposizione alla misura della sorveglianza speciale disposta con decreto, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria il 23.1.2004 e notificato il 7.10.2006.

I fatti oggetto della vicenda processuale erano i seguenti: il 23.1.2004 il Tribunale di Reggio Calabria disponeva nei confronti del P. la misura della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno e di pagamento della cauzione di Euro 1.000,00, da corrispondere entro dieci giorni dall’inizio dell’esecuzione della misura. Il decreto veniva notificato al P. il 7.10.2006, data nella quale aveva inizio l’esecuzione della sorveglianza speciale e dalla quale, quindi, decorreva il termine per adempiere all’obbligo del versamento della cauzione, obbligo al quale egli non prestava adempimento.

La corte territoriale riteneva che il fatto che la misura di prevenzione fosse stata poi revocata, così che doveva essere ritenuto il venir meno della pericolosità sociale, non avesse travolto anche la statuizione accessoria alla misura concernente il versamento della cauzione, come invece sostenuto dall’appellante, posto che il reato si era già consumato alla scadenza del termine indicato per il pagamento. Valutava, poi, irrilevante che il mancato versamento fosse dipeso, come sostenuto dal P., dalle sue disagiate condizioni economiche, circostanza peraltro non provata.

2.- Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione P. C. adducendo a sostegno:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alla L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 3 bis, per non avere la Corte di appello valutato che la funzione primaria della pena è quella di tendere alla rieducazione del reo che deve realizzarsi attraverso l’interlocuzione con il reo medesimo, al fine di giungere ad una sua responsabilizzazione ed al suo orientamento culturale verso i valori della convivenza civile. Nel caso di specie, la pena irrogata con la sentenza impugnata non potrebbe svolgere la suddetta funzione perchè, essendo venuta meno la pericolosità sociale del P. come attestato dalla revoca della misura di prevenzione, non sussiste possibilità che questi possa continuare a delinquere e, dunque, la pena si trasformerebbe in una mera lesione della dignità e della libertà individuale del condannato.

Sostiene, poi, il ricorrente, che il mancato pagamento della cauzione non era da attribuirsi alla sua volontà, quanto, piuttosto, alle precarie condizioni economiche, circostanza della quale il giudice di appello non ha tenuto debito conto incorrendo con ciò nel vizio di illogicità della motivazione. La Corte territoriale, infatti, nonostante la prospettazione difensiva, ha omesso di accertare, oltre ogni ragionevole dubbio, se il mancato pagamento della cauzione fosse stato realmente conseguente a dolo o negligenza del ricorrente. b)Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli artt. 62 bis e 133 c.p.. Lamenta il ricorrente che la corte territoriale non abbia riconosciuto le attenuanti generiche pur non ostando alla loro concessione i precedenti penali dell’imputato, mai dichiarato recidivo reiterato speciale, la scarsa gravità del reato e l’esiguità del danno arrecato.

3.- Il Procuratore Generale Dott. Fausto De Santis ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile con le conseguenze di legge.

Motivi della decisione

3.- Il ricorso è manifestamente infondato.

4.- Con il primo motivo il ricorrente più che prospettare vizi di legittimità ripropone questioni, già esaminate dalla Corte territoriale, relative alla sostenuta caducazione dell’illecito penale a seguito della revoca della misura di prevenzione ed alle ragioni dell’omesso versamento della somma stabilita a titolo di cauzione.

Invero la forte di appello con richiamo alla motivazione del giudice di primo grado correttamente esclude che la revoca della misura di prevenzione, successiva allo spirare del termine stabilito per il deposito cauzionale, abbia rilievo alcuno in ordine al giudizio circa la sussistenza del reato ed alla penale responsabilità dell’imputato.

5.- Quanto alle disagiate condizioni economiche del ricorrente che, secondo l’assunto defensionale, avrebbero impedito il pagamento della cauzione con conseguente esclusione della sussistenza dell’elemento psicologico, la loro ricorrenza costituisce questione di merito che esula dal giudizio di legittimità e che la corte territoriale ha, con giudizio insindacabile in questa sede, ritenuto non provata, anche a cagione della contumacia dell’imputato il quale ha rinunciato a far valere le ragioni a sua discolpa.

Infatti, anche aderendo al filone giurisprudenziale ormai consolidato secondo cui la materiale impossibilità di adempimento causata da mancanza di disponibilità economica possa essere fatta valere anche in sede di accertamento del reato di cui alla L. n. 575 del 1965, art. 3 bis (così Cass. Pen., Sez. 1, 16 febbraio 2000, n. 1803;

Cass., Sez. 1, sent. 24.11.2006, n. 39740, Rv. 235416) e non soltanto con l’impugnazione del decreto impositivo della misura o con la richiesta di revoca della stessa, va detto che una volta accertato, come nel caso di specie, il mancato pagamento della somma imposta a titolo di cauzione, spetta all’imputato provare, quanto meno mediante richiesta di opportune indagini, la esistenza della impossibilità di provvedere al versamento dovuta ad indisponibilità dei mezzi economici (Cass. Pen., Sez. 4, sent. 4.6.2003, n. 24183, Rv 225567).

La impossibilità di adempimento quale causa di esclusione della responsabilità penale è correlata all’onere dell’imputato di dimostrare la indisponibilità economica non preordinata nè colposamente determinata (Cass. Sez. 5, sent. 13.7.2007, n.32615, De Marzo, Rv. 236106 e da ultimo Sez. 1, sent. 3.3.2010, n. 13521, Rv.

246830) e, comunque, all’allegazione di specifici elementi giustificativi dell’inadempimento, così da mettere il giudice in grado di controllare la loro sussistenza con riguardo a tutte le presumibili fonti di reddito dell’interessato.

6.- Riguardo al secondo motivo di gravame deve essere rilevato che, in tema di attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio in genere, il giudice non ha l’obbligo di procedere ad un analitico esame dei criteri elencati nell’art. 133 c.p. ai fini della determinazione della pena e di fornire una congrua motivazione, essendo sufficiente il riferimento a dati obbiettivi o soggettivi idonei ad evidenziare la correttezza sul piano argomentativo del criterio seguito nell’esercizio del proprio potere discrezionale.

La concessione delle attenuanti generiche risponde, infatti, ad una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, nè l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento della esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento.

Nel caso in esame la sentenza impugnata appare conforme a tali principi, avendo fornito un’argomentazione compiuta e logicamente sviluppata in ordine alla quantificazione della pena ed alla ritenuta non ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. in ragione dei numerosi e gravi precedenti penali del P.. Conclusivamente il ricorso è inammissibile ed alla dichiarazione di inammissibilità consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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