Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-01-2012, n. 1403 Licenziamento disciplinare per giusta causa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello dell’Aquila, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda di M.A., proposta nei confronti di Banca di Roma S.p.A. (attualmente Unicredrt Banca di Roma) avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare comunicatole dalla predetta società in data 31 luglio 2000.

La Corte del merito osservava, innanzitutto, che non rilevava la questione della mancata affissione del codice disciplinare in quanto i fatti addebitati concretavano comportamenti vietati dalla legge e contrari ai doveri fondamentali del lavoratore. Riteneva poi, la predetta Corte che, poichè i fatti erano stati scoperti solo con l’ispezione del (OMISSIS), conclusasi il (OMISSIS), e stante la complessità dell’assetto organizzativo della Banca e della necessità di un minimo spatium deliberano, non vi era stata violazione del principio della immediatezza della contestazione.

Rilevava,infine, la Corte del merito che gli addebiti mossi alla M. dalla stessa non contestati – i quali si sostanziavano, e in operazioni effettuate sul mercato finanziario senza la necessaria provvista in spregio delle normative (anche della CONSOB) in materia di regolamentazioni delle operazioni sul mercato finanziario (acquisti di titoli senza la necessaria liquidità) utilizzando irregolarmente più volte il conto di altri clienti allo scopo di favorirli, e in aumenti di fido senza la necessaria valutazione del merito creditizio e di adeguate garanzie- in considerazione della loro oggettiva gravità, della consapevolezza da parte della M. della loro illiceità e della qualifica di direttore della Filiale rivestita dalla stessa, avevano gravemente leso il vincolo fiduciario della Banca si da porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento.

Avverso questa sentenza la M. ricorre in cassazione sulla base di tre censure.

Resiste con controricorso la parte intimata che deposita anche memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, deducendo violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 1 nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, pone i seguenti quesitì: 1."nel comminare la sanzione del licenziamento disciplinare per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, può il datore di lavoro legittimamente prescindere da una sua specifica comminazione per operazioni effettuate sul mercato finanziario senza la necessaria provvista, in spregio alle normative interne ed in particolare per essersi un dipendente bancario avvalso di un utilizzo distorto del conto Debitori e creditori diversi, e, quindi, può per simili infrazioni, a cui il lavoratore non è in grado di ricollegare tout court la sanzione massima dell’espulsione, prescindere anche dalla circostanza che le stesse e simile relativa sanzione non siano state preventivamente portate alla conoscenza del lavoratore mediante affissione del ed. codice disciplinare in luogo accessibile a tutti?";

2. "la previa affissione del cd. codice disciplinare, prevista dall’art. 7, comma 1, Stat. Lav. può costituire un compito del lavoratore o piuttosto una condizione posta a tutela dello stesso ed a carico del datore di lavoro, perchè quest’ultimo possa legittimamente applicare a ciascuna infrazione la relativa specifica sanzione disciplinare?".

Osserva, preliminarmente, il Collegio che il motivo in esame – come quelli successivi – con il quale si deducono contemporaneamente violazione di legge e vizi di motivazione è solo in parte ammissibile.

Infatti la censura non è esaminabile in relazione al dedotto vizio di motivazione in quanto, a parte ogni considerazione circa l’ammissibilità della contemporanea deduzione di violazione di legge e di vizio di motivazione – pur negata da alcune sentenze di questa Corte (Cass. 11 aprile 2008 n. 9470 e 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471, Cass. 31 marzo 2009 n. 7770) – vi è di contro il rilievo assorbente che manca la chiara indicazione del fatto controverso: in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (Cass. 1 ottobre 2007 n. 2063)che si deve sostanziare in una sintesi riassuntiva omologa al quesito di diritto (cfr. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556, Cass. S.U. 18 giugno 2008 n. 16528 e Cass. S.U. 1 ottobre 2007 n. 2063). Nè del resto può demandarsi a questa Corte di estrapolare dai vari quesiti di diritto e dalla parte argomentativa quali passaggi siano riferibili al vizio di motivazione e quali al violazione di legge, diversamente sarebbe elusa la ratio dell’art. 366 bis c.p.c.. Tanto, d’altro canto, corrisponde alla regola della specificità dei motivi del ricorso ex art. 366 c.p.c., n. 4. Nè è consentito a questa Corte di sostituirsi alla parte nella individuazione concreta della situazione di fatto sottesa alla censura (Cass. 23 marzo 2005 n. 6225).

Pertanto in difetto della relativa specificazione la denuncia deve considerarsi per come limitata alla deduzione del solo vizio di violazione di legge (Cass. 9 marzo 2009 n. 5624).

In tal modo delimitato l’ambito d’indagine devoluto a questa Corte, rileva il Collegio che la censura è infondata.

La sentenza impugnata, infatti, nel fare riferimento alla contrarietà del comportamento addebitato alle norme di legge ed ai doveri fondamentali del lavoratore, si è uniformata al principio di diritto, ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui la garanzia, prevista dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, comma 1, di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti, si applica al licenziamento disciplinare soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, e non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie all’etica comune o concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro (V. per tutte Cass. 19 dicembre 2006 n. 27104).

Del resto trattasi di un accertamento di fatto che, per i limiti della censura in esame, è sottratto al sindacato di legittimità di questa Corte.

Rilevata sulla questione la conformità della sentenza impugnata al diritto vivente è del tutto ultronea la verifica della correttezza giuridica dell’ulteriore affermazione della sentenza di appello investita dal secondo quesito.

Con la seconda censura la ricorrente, allegando violazione degli artt. 2118 e 2697 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 7 ed altresì omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, formula i seguenti quesiti: 1." Può l’immediatezza stessa essere ritenuta sussistente anche se gli addebiti poi contestati si siano verificati in un arco temporale di circa 18 mesi e siano stati, dal datore di lavoro, rilevati di volta i n volta e pressochè in contemporaneità, o nello stesso giorno in cui sono stati commessi, in modo sia pure non particolareggiato ma chiaramente comprensibile, attraverso apposite apparecchiature e procedure di controllo? Ed anche quando le relative più dirette verifiche siano state disposte dopo quattro mesi che le irregolarità poi contestate erano ormai cessate?"; 2.

"allorquando sia trascorso un sì lungo tempo tra le mancanze e la loro contestazione, e l’intempestività di quest’ultima e del licenziamento sia stata dal lavoratore puntualmente eccepita, può ritenersi validamente esercitato dal datore di lavoro il recesso per giusta causa e/o giustificato motivo soggettivo senza che lo stesso abbia assolto l’onere di provare la sussistenza di ragioni idonee a giustificare siffatto ritardo?".

Richiamato al riguardo quanto rilevato, in riferimento all’esame del primo motivo del ricorso, circa i limiti in cui la censura va ritenuta ammissibile nel senso che difettando, quanto al dedotto vizio di motivazione, la specificazione del fatto controverso il presente motivo va valutato esclusivamente sotto il profilo della violazione di legge, reputa il Collegio che lo stesso è infondato.

La sentenza di appello, invero, verificando il rispetto del principio della tempestività in esame tenendo conto dei tempi necessari all’accertamento dei fatti contestati,del momento in cui detti fatti sono emersi, della complessità della struttura aziendale nonchè della esigenza di uno spatium deliberandi, è conforme al principio, più volte sancito da questa Corte, secondo il quale il requisito della immediatezza deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso (V. per tutte, fra le più recenti Cass. 1 luglio 2010 n. 15649).

La valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo resta riservata al giudice del merito che come tale è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio motivazionale (V. per tutte Cass. 2 febbraio 2009 n. 2580) che nella specie non è stato, come rilevato innanzi, idoneamente dedotto.

Con la terza critica la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2119, 1455 e 1375 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 nonchè omessa e comunque insufficiente motivazione, pone i seguenti quesiti:

1. "possono costituire una giusta causa o giustificato motivo di licenziamento il solo perdurare di irregolarità a lungo tollerate dal datore di lavoro, o ragionevolmente ritenute tollerate dal lavoratore, senza che il lavoratore stesso sia stato anzitempo messo sull’avviso della cessazione della tolleranza stessa?"; 2. "nella formazione e formulazione d’un giudizio sulla gravità dell’inadempimento del lavoratore e sull’adeguatezza e proporzionalità, rispetto ad essa alla mancanza, della sanzione espulsiva, può il Giudice del merito prescindere dalla considerazione dell’elemento intenzionale della condotta oggettivamente inadempiente?"; 3."Può logicamente e fondatamente ritenersi inficiato in radice l’elemento fiduciario nel rapporto di lavoro subordinato allorquando le inadempienze contestate al dipendente siano non solo di carattere meramente formale, ma erano anche finalizzate esclusivamente a perseguire al massimo grado possibile gli scopi indicatigli dal datore di lavoro quali obiettivi primari del suo operare?".

Anche in ordine alla critica in esame vanno richiamate le osservazioni concernenti l’inammissibilità, come anticipato in sede di analisi del primo motivo del ricorso, del dedotto vizio di motivazione per difetto della specificazione del fatto controverso e, pertanto, la critica va valutata con riferimento esclusivo alla denunciata violazione di legge.

Sotto tale aspetto la censura è infondata.

Secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, pienamente condivisa dal Collegio, la giusta causa di licenziamento, ex art. 2119 c.c., quale fatto che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto, integra una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. Pertanto, l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare le clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., che, in tema di licenziamento per giusta causa, detta una tipica "norma elastica", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell’applicazione della clausola generale, poichè l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca (cfr., per tutte,Cass. 2 marzo 2011 n. 5095, Cass. 12 agosto 2009 n. 18247 e 15 aprile 2005 n. 7838 nonchè, con riferimento ad altre clausole generali, Cass. 6 aprile 2006 n. 8017).

Analogo rilievo vale con riferimento alla nozione legale di proporzionalità della sanzione disciplinare di cui all’art. 2108 c.c., anch’essa evocata nel presente giudizio (V. Cass. 13 dicembre 2010 n. 2514).

Tanto precisato rileva la Corte che nei quesiti sopra trascritti il ricorrente non enuclea dalla applicazione che la sentenza impugnata fa della nozione di giusta causa una specificazione precisa ed astratta per poi censurarla ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto errata in diritto e contrastante con l’integrazione della norma operata dalla giurisprudenza di questa Corte. Il ricorrente si limita,invece,a prospettare una diversa valutazione dei fatti contestati ed a chiedere a questa Corte se tali fatti così ridimensionati siano o meno riconducibili alla fattispecie legale.

Siffatta deduzione è però del tutto estranea all’ambito di operatività dell’ipotesi d’impugnazione prevista dal citato art. 360 c.p.c., n. 3 e come tale va respinta.

Il ricorso in conclusione va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 50,00 per esborsi oltre Euro 3000,00 per onorario ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2012

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