Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-01-2012, n. 1397 Cassa integrazione guadagni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Bari confermava la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa sede nella parte in cui con la stessa era stata rigettata l’opposizione proposta dall’Inps contro il d.i. conseguito da B.G. nei suoi confronti, avente ad oggetto il trattamento di cassa integrazione ordinaria relativamente ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2001, oltre interessi e spese legali, a seguito dell’ammissione a tale regime della sua datrice di lavoro Soc. CIPAS. Il giudice di appello in sostanza riteneva, in adesione ad orientamenti giurisprudenziali in materia, che, se è vero che il provvedimento di ammissione alla c.i.g. obbliga il datore di lavoro ad anticipare il relativo trattamento ai dipendenti interessati, tuttavia tale obbligo riguarda i rapporti tra l’Inps e il medesimo datore di lavoro, che nei confronti dei lavoratori ricopre la figura di adiectus solutioni causa, con la conseguenza che in caso di suo inadempimento legittimato passivo nei confronti del lavoratore è l’Inps, tenuto al pagamento senza che al riguardo sussista l’onere del lavoratore di previa domanda amministrativa. Nell’ambito della motivazione precisava che gli interessi decorrevano dalla data di ammissione della datrice di lavoro alla cassa integrazione.

Ai fini della regolazione delle spese del doppio grado del giudizio di opposizione, che, anche in parziale accoglimento dell’appello, compensava integralmente, la Corte dava rilievo alle concrete difficoltà che incontra l’Inps nella liquidazione dei trattamenti di cassa integrazione, insiti nella necessità di identificare i singoli beneficiari e di verificare se sia o meno intervenuto il pagamento da parte del datore di lavoro. Con riferimento alla specifica vicenda osservava che l’Inps risultava essere stato attinto da molteplici decreti ingiuntivi (essendo 59 i dipendenti della CIPS fruenti dell’integrazione) appena un mese circa dopo il provvedimento di ammissione al beneficio della società datrice di lavoro, senza alcuna previa sollecitazione ad intervenire in luogo di quest’ultima.

La lavoratrice ricorre per cassazione con otto motivi, illustrati da successiva memoria. L’Inps ha depositato procura difensiva in calce al ricorso notificato e ha poi partecipato alla discussione orale.

Motivi della decisione

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c.. Si lamenta che la Corte territoriale abbia operato la compensazione delle spese di giudizio in ragione di una asserita difficoltà dell’INPS – nella individuazione degli aventi diritto e nella conseguente liquidazione dell’integrazione salariale – che l’Istituto non aveva minimamente dedotto nè prospettato.

1.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla medesima ragione addotta per la disposta compensazione delle spese.

Si deduce che nel provvedimento di ammissione alla c.i.g. l’Istituto aveva esattamente individuato i lavoratori aventi diritto all’integrazione, indicando per ciascuno mensilità di intervento e importi dovuti, si che non poteva ravvisarsi alcuna difficoltà operativa idonea a giustificare la condotta inadempiente dell’Istituto e, quindi, la compensazione delle spese del giudizio.

1.3. Anche il terzo motivo denuncia vizio di motivazione, lamentandosi che la sentenza impugnata abbia, in maniera contraddittoria, fondato la compensazione delle spese sulla mancanza di istanze pre-giudiziali dei lavoratori, avendo invece escluso – con il rigetto dell’opposizione dell’INPS – la necessità di tali istanze ai fini del riconoscimento del diritto, in quanto derivante – secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale – esclusivamente dal provvedimento di ammissione alla c.i.g..

1.4. Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia pronunciato sulla decorrenza degli interessi legali – dovuti sugli importi di integrazione salariale -, fissandone la decorrenza alla data del provvedimento di ammissione alla c.i.g., in assenza di alcuna domanda svolta al riguardo dall’Istituto e abbia considerato, conseguentemente, tale statuizione ai fini della operata compensazione delle spese.

1.5. Il quinto motivo, denunciando contraddittorietà e illogicità della motivazione, rileva che erroneamente la Corte ha ritenuto che le parti fondamentalmente concordavano sulla configurazione giuridica della fattispecie, il dissenso tra di loro riguardando solo le concrete modalità di attuazione del diritto sotto il profilo degli accessori sul capitale e delle spese processuali.

1.6. La violazione dell’art. 112 c.p.c. è denunciata con il sesto motivo, sostenendosi che la compensazione delle spese di primo grado sia stata disposta in assenza di specifico gravame dell’INPS riguardo al regolamento delle spese e che il rigetto integrale, nel merito, dell’appello proposto dall’Istituto non giustificava alcuna compensazione delle spese di secondo grado.

1.7. Il settimo motivo denuncia violazione degli art. 91 ss. c.p.c. e vizio di motivazione. Si ribadisce che l’esito del giudizio di primo grado e di quello di appello non poteva che comportare la condanna dell’Istituto al pagamento delle spese, secondo i generali principi che governano il regolamento delle spese.

1.8 Analoga doglianza è riproposta dall’ottavo motivo sotto il profilo del vizio di motivazione.

2. Il ricorso è fondato nei limiti delle seguenti considerazioni (cfr. in termini analoghi Cass. n. 16309/2010 ed altre sentenze deliberate nella medesima udienza relative alla stessa vicenda).

2.1. Occorre premettere che la riforma della decisione di primo grado, come risulta dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza della Corte d’appello, ha riguardato, esclusivamente, la statuizione della condanna dell’Istituto al pagamento delle spese del giudizio, essendosi invece confermata, per il resto, la decisione del Tribunale; in particolare, la precisazione riguardante la decorrenza degli interessi legali (dalla data di ammissione della datrice di lavoro alla c.i.g.) non configura alcuna modifica della corrispondente statuizione della sentenza appellata, nè costituisce una ragione giustificativa del provvedimento di compensazione delle spese, conseguendone, in tale profilo, la inammissibilità della censura ex art. 112 c.p.c. perchè non pertinente rispetto al decisum.

2.2. La sentenza qui impugnata, così esattamente individuata, non si sottrae nondimeno alla censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. per la diversa ragione – puntualmente evidenziata in ricorso – che la statuizione di primo grado in ordine alle spese di quel giudizio non era stata investita dall’impugnazione proposta dall’Istituto. Ed invero, come emerge dalle conclusioni dell’atto di appello, come anche riferite nella sentenza della Corte territoriale, il gravame aveva riguardato il merito della controversia, con la conclusiva richiesta di revoca del decreto ingiuntivo opposto e di "condanna del lavoratore a pagare le spese processuali"; nè la configurazione di un’impugnazione sulle spese potrebbe conseguire al riferimento, contenuto nel medesimo atto di gravame, alla eventuale rilevanza, "ai fini … delle spese di giudizio", delle prospettate difficoltà concernenti la liquidazione degli importi dovuti ai lavoratori, che la genericità di siffatto riferimento è inidoneo alla individuazione di specifiche censure, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico della statuizione del giudice di primo grado ed a fissare con certezza i limiti della controversia in sede di gravame.

3.3. Ne deriva che il ricorso va accolto per l’indicato profilo, con assorbimento delle restanti censure relative alle ragioni della operata compensazione ex art. 92 c.p.c..

4. La sentenza impugnata va dunque cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., essendosi formato il giudicato interno sulla statuizione relativa alle spese adottata dal Tribunale.

5. Dovendosi pronunciare, conseguentemente, sulle spese del giudizio d’appello, nonchè su quelle del giudizio di legittimità, le stesse vengono poste a carico dell’Istituto, secondo soccombenza, con liquidazione come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e cassa senza rinvio la sentenza impugnata. Condanna l’INPS a rimborsare alla ricorrente le spese del giudizio d’appello, liquidate in euro cinquecento, di cui euro centocinquanta per diritti, nonchè quelle del giudizio di cassazione, liquidate in euro quaranta per esborsi e in euro settecento per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.

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