Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-04-2011) 22-09-2011, n. 34478

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

G.L. è stata condannata dal Tribunale di Padova con sentenza del 6.4.2006 alla pena ritenuta di giustizia oltre al risarcimento del danno in favore delle PPCC, perchè riconosciuta colpevole dei delitti di ingiuria e minaccia in danno dei coniugi T.T. e M.N., suoi vicini di casa.

La CdA di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, in riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato NDP per intervenuta prescrizione di entrambi i reati; ha confermato le statuizioni civili.

Ricorre per cassazione il difensore della imputata e deduce: 1) mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla credibilità attribuita ai testi C.F. e G.R., 2) mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla collocazione temporale dell’episodio addebitato alla imputata, 3) mancanza manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla condotta attribuita alla G., in quanto contrastante con la condotta della stessa, come ricostruita da altra sentenza, ormai passata in giudicato, 4) mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico, 5) violazione di legge per mancato riconoscimento delle attenuanti ex art. 62 c.p., nn. 2 e 5.

Quanto alla censura sub 1), il ricorrente, rilevato che la sentenza di primo grado fonda essenzialmente sulle dichiarazioni dei testi C. e G.R., osserva che, con i motivi di appello, era stata evidenziata la scarsa attendibilità di costoro, persone che nutrivano astio nei confronti della imputata e le cui dichiarazioni coincidono solo in parte con quelle provenienti dalle PPCC. La CdA ha creduto di superare la contraddizione affermando che i due testi evidentemente assistettero solo a parte del diverbio tra la imputata, da un lato, T. e M., dall’altra. Ma in ciò i secondi giudici sono smentiti dagli atti di causa (il ricorrente riporta parte delle dichiarazioni dei due testi).

Quanto alla censura sub 2), il ricorrente ricorda che i due predetti testi hanno riferito che con G.L. non esistevano buoni rapporti di vicinato, accusando l’intero nucleo familiare della imputata di tenere un atteggiamento offensivo e arrogante. Poichè poi le dichiarazioni dei predetti testi contrastano con quelle della imputata, appare evidente che le parole offensive e minacciose attribuite alla stessa ben potrebbero essere state pronunziate in altra occasione.

Quanto alla censura sub 3), il ricorrente, premesso che nell’ambito del procedimento, per cd. "parti invertite (procedimento nel quale G.L. è PO e i coniugi M. sono imputati) è stata emessa sentenza di condanna dei due predetti, sentenza passata in giudicato, rileva che la condotta che nel presente procedimento è attribuita a G.L. contrasta in maniera inconciliabile con quella accertata nell’altro processo, circostanza che non poteva essere ignorata dal giudice di appello, il quale invece nulla ha argomentato al proposito.

Quanto alla censura sub 4), il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 238 bis c.p.p., atteso che la sentenza predetta è stata completamente ignorata. La giurisprudenza afferma che una pronunzia di tal genere deve essere liberamente apprezzata dal giudice, ma non può essere pretermessa. Orbene, è rimasto accertato che G. L. subì aggressione da parie del M., riportando lesioni guarite in gg 37, di talchè le frasi che le si attribuiscono, se pur pronunziate, devono essere considerate in funzione esclusivamente difensiva e dunque non supportate dall’elemento psicologico dei delitti ex artt. 594 e 612 c.p..

Quanto alla censura sub 5) il ricorrente si duole del mancato e immotivato riconoscimento delle attenuanti sopra indicate.

Motivi della decisione

La quinta censura, attinente al trattamento sanzionatorio, è inammissibile per mancanza di interesse, in presenza di sentenza che ha dichiarato la estinzione (per prescrizione) dei reati.

Correttamente, tuttavia, il giudice di appello, nel dichiarare l’estinzione del reato, per il quale, in primo grado, era intervenuta condanna, ha deciso sulla impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, esaminando in dettaglio i motivi di impugnazione dell’imputato (ASN 200914522-RV 243343).

Tale obbligo, invero incombe sul giudice della impugnazione (dunque, tanto sul giudice di appello, quanto su quello di legittimità, cfr.

ASN 201003284-RV 245876), atteso che la posizione dell’imputato, condannato al risarcimento del danno – e pur in presenza di causa di estinzione del reato che sia "operativa" – deve essere esaminata compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna, anche solo generica, al risarcimento del danno nella mancanza di prova della innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2 (e a tanto sarebbe stato tenuto ex art. 576 c.p.p. anche in presenza della impugnazione della sola PC cfr. S.U., sent. n. 25083 del 2006, rie. Negri e altro, RV 233918).

Tanto premesso, va detto che anche le altre quattro censure sono inammissibili per le ragioni che si chiariranno di seguito.

Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna alle spese del grado e al versamento di somma a favore della Cassa ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1000.

La prima censura è articolata in fatto. Il ricorrente pretende da questa Corte un diverso apprezzamento del materiale probatorio raccolto innanzi al Tribunale e vagliato dai giudici dei due gradi di merito.

Per altro, lo stesso crede di supportare i suoi rilievi introducendo una lettura "orientata" di parte delle frasi (che riporta) attribuite ai più volte ricordati testi.

Si legge nel ricorso che entrambi hanno dichiarato di essere stati presenti ai fatti e, da ciò, il ricorrente pretende di desumere che essi abbiano ammesso di essere stati presenti allo svolgimento della intera "contesa" tra la imputata e le PP.CC..

E’ di tutta evidenza, che, come premesso, in sede di legittimità, il ricorrente non può chiedere al giudice la rivalutazione di prove (per altro arbitrariamente selezionate). Giudice delle prove è esclusivamente quello del merito, che deve valutarle nella loro globalità e interrelazione. Il controllo in sede di legittimità deve esercitarsi unicamente sulla logicità della motivazione.

Nel caso in esame, nessuna seria critica è stata mossa, sotto questo aspetto, alla sentenza di appello, essendosi il ricorrente in sostanza limitato ad affermare che i due testi non potevano essere considerati credibili in quanto il loro racconto non coincideva, in tutto e per tutto, con quello della PO. La seconda censura è del tutto aspecifica. Il fatto che i rapporti con la imputata non fossero buoni (e che quindi in altre occasioni potrebbe esservi stato scambio di battute poco amichevoli) non sta minimamente a provare che C. e G.R. si siano sbagliati nel collocare nel tempo l’episodio per il quale è processo.

La terza censura è manifestamente infondata, in quanto non si vede per qual motivo le condotte ascritte a G.L., da un lato e a T. e M., dall’altro, non possano essere state tenute in uno stesso contesto spaziale e temporale. Questo è, d’altra parte, lo "scenario" che lo stesso ricorrente traccia per la successiva censura.

Non essendovi incompatibilità logica tra le due condotte, reciprocamente aggressive, non si vede perchè la CdA avrebbe dovuto spendere parole per giustificare il fatto che dette condotte possano essere state entrambe tenute (si intende, da soggetti diversi).

La quarta censura è manifestamente infondata. Le reazioni verbali ad un’aggressione fisica non possono esplicare alcuna funzione difensiva. Invero non è certo insultando o minacciando l’aggressore che si può difendere (come prevede l’art. 52 c.p.) "un proprio diritto". Nè la circostanza può valere sul versante dell’elemento psicologico dei reati ex artt. 591 e 612 c.p., atteso che entrambi sono caratterizzati da dolo generico.

Al più, la circostanza potrebbe aver rilievo per la concreta determinazione della pena, ma, come premesso a proposito della censura sub 5), a fronte di una sentenza di NDP per prescrizione, l’argomento non può trovare spazio.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di mille Euro a favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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