Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-01-2012, n. 1396 Invalidi civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Firenze, confermando la sentenza di primo grado del tribunale della stessa sede, accoglieva la domanda proposta da G.W.G., rappresentato in giudizio dai suoi genitori, avente per oggetto l’indennità di frequenza per gli anni scolastici 2002/2003 e 2003/2004.

Rilevato che l’Inps deduceva l’insussistenza di una specifica domanda amministrativa per gli anni in questione, mentre non era in contestazione il requisito sanitario e neanche era stata contestata l’effettiva frequenza da parte del minore dei corsi scolastici per gli anni in questione, la Corte escludeva che la disciplina della L. n. 289 del 1990, e in particolare il disposto dell’art. 2, comma 3, comporti la necessità di una specifica domanda amministrativa per ciascun anno del corso scolastico seguito dal minore. Il testo normativo, infatti, unitamente ai principi enunciati da Corte cost. n. 106 del 1992, consente di ritenere la continuità nel tempo del trattamento assistenziale e di escludere il carattere innovativo della legge in considerazione, rispetto alla disciplina di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 17 (abrogata dalla L. n. 508 del 1988, art. 6, dichiarato incostituzionale dalla richiamata pronuncia della Corte costituzionale), se non riguardo all’ampliamento della platea dei beneficiari e alla rilevanza attribuita ai soli periodi di effettiva frequenza scolastica. In effetti il beneficio è riconosciuto "a partire dalla scuola materna" e il diritto al medesimo permane, per tutto la durata del percorso scolastico ed educativo, fino alla accertata cessazione dei suoi presupposti: interruzione della frequenza o riacquisto di una sufficiente capacità.

L’Inps ricorre per cassazione con quattro motivi. Il G., rappresentato dai genitori, resiste con controricorso. Il Ministero dell’economia si è costituito con controricorso, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, denunciandosi violazione dell’art. 112 c.p.c. e della disciplina sostanziale della prestazione oggetto, si lamenta il mancato esame della doglianza specificamente proposta in appello relativa alla mancata prova del requisito reddituale.

Con il secondo motivo, deducendosi violazione degli artt. 414, 416, 429 e 437 c.p.c., dell’art. 2697 c.c. e della L. n. 289 del 1990, artt. 1 e 2, si lamenta che non sia stata considerata la decadenza dell’originario ricorrente dalla prova del requisito reddituale, da cui era onerata, non avendo nè indicato nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, nè prodotto documenti atti a provare la sussistenza del requisito reddituale.

Con il terzo motivo, deducendosi violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 1990, artt. 1 e 2 si censura la sentenza impugnata per non avere ritenuto necessaria la presentazione anno per anno della domanda amministrativa avente ad oggetto l’indennità di frequenza.

Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione lamentando che la Corte di merito non si sia pronunciata sull’eccezione di carenza del requisito reddituale.

Ritiene la Corte che il primo motivo, che ha rilievo preliminare e assorbente, sia fondato.

Deve farsi applicazione del principio secondo cui il soggetto che agisce in giudizio per il riconoscimento del diritto ad una delle prestazione economiche previste in favore degli invalidi civili ha l’onere di provare non solo la sussistenza dei requisiti inerenti alle sue condizioni di salute (cd. requisito sanitario), ma anche i requisiti socio-economici, tra cui quello inerente alle condizioni reddituali, con la precisazione che la ricorrenza di tali requisiti deve essere verificata anche d’ufficio e quindi, in particolare la mancanza di tale verifica può costituire oggetto di doglianza con l’atto di appello anche qualora l’ente pubblico non abbia sollevato la questione già in primo grado (cfr., ex plurimis, Cass. n. 4067/2002 12266/2003, 22899/2011) mentre la non contestazione può rilevare solo nel caso in cui la parte abbia esplicitamente e specificamente allegato la sussistenza delle circostanze integranti il requisito reddituale (Cass. n. 16396/2008), sicchè non può ritenersi fondato il rilievo del controricorrente circa la tardività dell’eccezione in quanto sollevata solo in appello. La tesi, seguita da alcune sentenze di questa Corte, sulla non necessità di provare i requisiti socioeconomici in caso di azione in giudizio successivamente a revoca della pensione o dell’assegno per il venir meno dei requisiti sanitari non rileva con riferimento alla specie e comunque non appare condivisibile, in relazione al principio, riaffermato da Cass. n. 4254/2009 – cfr. anche Cass. 11075/2010 -, secondo cui nel giudizio avente ad oggetto la contestazione di un provvedimento di revoca del beneficio assistenziale basato esclusivamente sulla sopravvenuta insussistenza del requisito sanitario, deve essere verificata la permanenza di tutti i requisiti "ex lege" richiesti, non già soltanto di quelli la cui sopravvenuta insussistenza sia posta a fondamento della revoca, giacchè la domanda di ripristino della prestazione, al pari di quelle concernenti il diritto ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non da luogo ad un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accorda. Nè deve trascurarsi che il requisito reddituale deve permanere – cioè rinnovarsi – anno per anno.

Nella specie non solo è pacifico che la mancata prova del requisito reddituale sia stata fatta oggetto di precisa doglianza con l’atto di appello dell’Inps, ma anche è pacifico che al riguardo nessuna prova idonea sia stata allegata dall’attuale controricorrente, che fa riferimento (senza chiaramente precisarne l’avvenuta acquisizione nel processo) esclusivamente ad un’autocertificazione prodotta dai genitori dell’assistito nell’ambito del procedimento amministrativo, mentre tale tipo di documentazione non è ritenuta idonea ai fini probatori nell’ambito del giudizio (cfr., da ultimo, Cass. n. 17358/2010; cfr. Cass. S.U. n. 5167/2003).

Il motivo deve quindi essere accolto, con assorbimento degli altri.

La sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa nel merito nel senso del rigetto della domanda.

L’iter processuale e gli aspetti sostanziali della vicenda consigliano la compensazione delle spese dell’intero processo per giusti motivi.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda; compensa le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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