Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 31-01-2012, n. 1394 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1 7-7-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma dichiarava la nullità del licenziamento intimato dalla PIOVERA s.p.a. a C.G. con lettera dell’11-8-1997. ordinava la reintegrazione del C. nel posto di lavoro e condannava la società al pagamento in suo favore delle retribuzioni dal 18-8-1997 alla reintegrazione, nonchè al pagamento del complessivo importo di Euro 53.755,32 oltre interessi e rivalutazione.

Con ricorso in data 25-5-2004 la PIOVERA proponeva appello avverso la detta sentenza lamentandone la erroneità per aver il giudice di primo grado accolto la domanda relativa al compenso per lo straordinario ed al TFR senza tener conto dell’eccezione di prescrizione ritualmente e tempestivamente sollevata; senza altresì considerare l’art. 69 del c.c.n.l. che escludeva il diritto del ricorrente al compenso per lavoro straordinario e, quanto, al TFR. senza considerare che l’ordine di reintegrazione escludeva il diritto a tale emolumento, peraltro già in parte anticipato dalla società.

Quanto alle festività abolite, l’appellante lamentava l’assenza della benchè minima prova fornita dal ricorrente al riguardo.

In relazione al capo della sentenza relativo al licenziamento la società lamentava, poi, il contrasto tra dispositivo e motivazione, atteso che il giudice aveva dichiarato nel primo la nullità del recesso, mentre, in realtà, come risultava in motivazione, ritenuta la insussistenza degli addebiti e, quindi, la mancanza di giusta causa, avrebbe dovuto rilevare un vizio di legittimità e non dichiarare la nullità.

L’appellante lamentava inoltre l’erronea ed omessa valutazione dei fatti di causa e delle prove acquisite, insistendo sulla legittimità del licenziamento e nell’accoglimento delle domande riconvenzionali (disattese dal primo giudice) di risarcimento dei danni e di restituzione di somme percepite a titolo di compenso straordinario diurno.

In via subordinata l’appellante infine eccepiva l’aliunde perceptum atteso che il C. dal 14-2-2000, come dallo stesso dichiarato, lavorava presso altro datore di lavoro.

L’appellato si costituiva resistendo al gravame.

La Corte d’Appello di Roma, all’udienza dell’8-6-2000, non definitivamente pronunciando, già in riforma della pronuncia di primo grado, con sentenza depositata l’11-6-2008, rigettava le domande relative al compenso per lavoro straordinario ed alle festività abolite, ritenendo che al C., "responsabile di impianti tecnici", inquadrato ai sensi dell’art. 159 del c.c.n.l.

Settore Turismo nel 2^ livello, in base all’art. 69, comma 3, del c.c.n.l. (ed al rinvio al R.D. n. 692 del 1923, art. 1 in relazione al R.D. n. 1955 del 1923, art. 3) non spettava alcun compenso per il lavoro straordinario svolto, e che, inoltre, riguardo alle festività abolite, nella specie, era mancata del tutto la prova da parte del lavoratore di aver prestato lavoro in dette giornate (tanto più in considerazione che la relativa deduzione era in contrasto con la corresponsione della retribuzione come documentata dalla società).

Proseguito il giudizio, la Corte d’Appello, con sentenza definitiva in data 29-11-2007, depositata il 22-9-2008, in parziale riforma della sentenza appellata, nel resto confermata, rigettava anche la domanda concernente la differenza di TFR e dichiarava che dalle retribuzioni oggetto della pronuncia di condanna di primo grado andava detratto quanto il C. aveva dichiarato di aver percepito a titolo retributivo per rapporti di lavoro successivi al licenziamento. in particolare la Corte territoriale, esaminate e valutate le risultanze della prova testimoniale, riteneva infondate le censure concernenti il capo della sentenza che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento.

Sulla scorta, poi, del rigetto delle domande relative al compenso per lavoro straordinario e alle festività abolite, la Corte rigettava la richiesta riguardante le quote di TFR pretese in virtù dei detti emolumenti.

La Corte di merito, infine, riduceva il risarcimento dovuto in base all’aliunde perceptum ammesso dallo stesso C..

Per la cassazione di entrambe le dette sentenze di appello il C. ha proposto ricorso con tre motivi.

La PIOVERA ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con sette motivi.

Il C., a sua volta, ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di controparte.

Infine il C. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale il C., denunciando violazione del R.D. n. 692 del 1923, art. 1, comma 2 conv. in L. n. 473 del 1925, del R.D. n. 1955 del 1923, art. 3, n. 2 dell’art. 2108 c.c. dell’art. 115 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, censura la impugnata sentenza nella parte in cui ha respinto la richiesta del compenso per il lavoro straordinario svolto in base al "presunto inquadramento nella categoria de personale direttivo", in sostanza senza indicare gli elementi di prova di tale convincimento e senza verificare le "concrete e comprovate modalità di espletamento delle mansioni" (in specie con riguardo alla eccezionalità o meno della partecipazione al lavoro manuale).

Inoltre il ricorrente principale lamenta che la Corte di merito ha affermato che l’inquadramento nel 11 livello del CCNL del Settore Turismo, ex art. 159 dello stesso, è perfettamente rispondente alle mansioni di fatto svolte, senza una effettiva verifica al riguardo.

Il motivo non merita accoglimento.

La Corte territoriale (v. sent. non definitiva n. 4926/2006) ha rilevato che non risultavano contestate le mansioni allegate "espletate di fatto dal C. di coordinamento e responsabilità del settore tecnico di manutenzione della datrice di lavoro" ed ha accertato che tali mansioni erano perfettamente rispondenti al l’inquadramento riconosciuto nel li livello del CCNL Settore Turismo, come previsto dall’art. 159 dello stesso, di guisa che in base all’art. 69, comma 3, del medesimo CCNL, al C. non spettava alcun compenso per il lavoro straordinario svolto, e ciò in ragione non già del dato formale del conferimento della qualifica bensì proprio della effettiva corrispondenza delle mansioni a quelle del personale direttivo (v. Cass. 30-3-1992 n. 3914).

In sostanza, quindi, la decisione è stata fondata innanzitutto sul dato di fatto pacifico (neppure censurato in questa sede) delle mansioni concretamente svolte, che pertanto legittimamente sono state ritenute provate.

La questione, inoltre, della eccezionalità o meno della partecipazione al lavoro manuale, in effetti risulta nuova e come tale inammissibile, mancando in ricorso qualsiasi indicazione specifica in ordine all’avvenuta deduzione davanti ai giudici di merito (v. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).

Sulla effettiva corrispondenza, poi, delle mansioni svolte all’inquadramento contrattuale collettivo (art. 159) e sull’applicabilità nella fattispecie dell’art. 69 comma 3 del CCNL citato, la censura risulta del tutto generica ed il ricorrente principale (che si limita a richiamare in calce al ricorso il deposito della "normativa collettiva citata" e dei "fascicoli dei giudizi di merito), neppure indica in alcun modo la specifica collocazione in atti della normativa collettiva invocata (al riguardo v. da ultimo Cass. S.U. 3-11-2011 n. 22726).

Con il secondo motivo, denunciando violazione dell’art. 69, comma 3 del CCNL citato e degli artt. 1362 e ss. c.c., nonchè vizio di motivazione, il C. lamenta che la Corte di merito, in violazione della norma collettiva "ha ritenuto applicabile al ricorrente – operaio specializzato assunto con la qualifica di manutentore – le limitazioni dell’orario di lavoro previste per gli impiegati" direttivi (di cui al R.D. n. 692 del 1923, art. 1 in relazione al R.D. n. 1955 del 1923, art. 3).

Il motivo risulta innanzitutto improcedibile ex art. 369 c.p.c., n. 4, in mancanza del deposito dell’intero CCNL richiamato, risultando depositati soltanto alcuni articoli (v. Cass. S.U. 23-9-2010 n. 20075. v. anche da ultimo Cass. 15-10-2010 n. 21358).

Peraltro la censura risulta anche generica e non tiene conto del decisum specifico incentrato sulle mansioni concretamente svolte e non sul "dato formale del conferimento della qualifica" (v. Cass. n. 3914/1992 cit).

Con il terzo motivo, il ricorrente principale, denunciando violazione dell’art. 2120 c.c., artt. 115 e 2697 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, lamenta il mancato computo nel T.F.R. del compenso per lavoro straordinario, erroneamente non riconosciuto con la sentenza non definitiva.

Anche tale motivo non può essere accolto, in quanto legittimamente la Corte territoriale con la sentenza definitiva (n. 8136/2007) ha affermato che. essendo state rigettate con la sentenza non definitiva "le domande proposte in primo grado dal C. relative al compenso per lavoro straordinario e festività abolite", "conseguentemente, non spetta all’appellato anche la quota di TFR maturata in virtù degli emolumenti sopra richiamati".

Il rigetto, come sopra, dei primi due motivi, comporta quindi di per sè il rigetto anche del terzo motivo.

Passando all’esame del ricorso incidentale della PIOVERA s.p.a., con il primo motivo la società denuncia vizio di motivazione in ordine al fatto controverso consistente "nell’effettiva immissione, da parte del C. e con l’ausilio degli operai Ca. e Co.. di sostanze dannose nei serbatoi di gasolio della caldaia dell’albergo, con conseguente danneggiamento della stessa".

In particolare la ricorrente incidentale al riguardo lamenta che la Corte di merito ha disatteso le testimonianze Co. e Ca., che avevano confermato la dichiarazione del 14-7-97, ravvisando piena prova della testimonianza M. e fondando il proprio giudizio sulla base del fatto che il contenuto della citata dichiarazione era stato ritenuto falso da altra sentenza resa in un giudizio civile celebratosi tra l’odierna controparte ed i lavoratori in questione e che lo stesso appariva redatto da terzi (circostanza peraltro mai negata).

Con il secondo motivo, denunciando ulteriore vizio di motivazione in relazione al fatto controverso consistente nell’effettiva conversione repentina dal regime invernale al regime estivo, operata dal C. sulla pompa di calore dell’albergo, con conseguente danneggiamento della stessa, la società deduce che il fatto risultava confermato dai testi – ed anche dal M. – e che al riguardo la Corte di merito ha fornito una valutazione parziale e contraddittoria ritenendo decisive le ulteriori affermazioni del M.. secondo cui il C. prima della rottura aveva ripetutamente richiesto la sostituzione di due cuscinetti fondamentali per il raffreddamento della torre evaporativa e la società aveva disatteso tali richieste, laddove, invece l’unica richiesta rinvenibile in atti risultava quella contestuale alla rottura della detta torre.

Con il terzo motivo, denunciando ancora vizio di motivazione in ordine al fatto controverso consistente "nella antieconomica decisione di sostituzione del macinino da caffè, in luogo della possibile riparazione del guasto, la società deduce che la Corte di merito ha attribuito valore decisivo alle dichiarazioni del M., nonostante quelle contrarie del Co..

Con il quarto motivo, denunciando violazione dell’art. 2909 c.c., e artt. 115 e 116 c.p.c., la società in sostanza lamenta che la Corte territoriale, basando il proprio ragionamento sulle statuizioni della sentenza civile del Tribunale di Roma del 6-9-2005 (che aveva definito il giudizio promosso dal C. nei confronti del Ca. e del Co. per ottenere da questi ultimi il risarcimento dei danni conseguenti alla asserita falsità della dichiarazione 14-7-1997) ha fondato il proprio convincimento su un giudicato reso tra parti diverse in un rapporto giuridico autonomo ed indipendente da quello in contestazione.

I detti motivi, strettamente connessi e concernenti la valutazione delle risultanze istruttorie in merito agli addebiti contestati al C. risultano in parte inammissibili e in parte infondati.

Innanzitutto va qui ribadito l’indirizzo consolidato in base al quale "la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati a giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (v. Cass. 9- 4-2001 n. 5231, Cass. 15-4-2004 n. 7201, Cass. 7-8-2003 n. 11933, Cass. 5-10-2006 n. 21412). Del resto è stato anche più volte affermato che "il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa1′, (v., fra le altre, da ultimo Cass. 7-6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766).

Peraltro, come pure è stato chiarito, "in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità" (v. fra le altre Cass. sez. 1 20-6-2006 n. 14267).

In particolare, nel quadro della valutazione complessiva delle risultanze probatorie, è stato altresì precisato che "la sentenza civile può, oltre a produrre gli effetti propri del giudicato, anche avere la diversa efficacia di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che formi oggetto dell’accertamento giudiziale;

tale efficacia indiretta di prova documentale rispetto ai terzi che non furono parti nel giudizio può essere invocata da chi vi abbia interesse, spettando al giudice di esaminare la sentenza prodotta a tale scopo e sottoporla alla sua libera valutazione, anche in relazione ad altri elementi di giudizio presenti negli atti di causa" (v. Cass. 29-7-2003 n. 11682, Cass. 5-11-2009 n. 23446).

Orbene nella fattispecie la Corte di merito ha attentamente esaminato e valutato tutte le testimonianze in relazione ai singoli addebiti, evidenziando le varie contraddizioni e le mancate conferme delle dichiarazioni Co. e Ca. a fronte delle testimonianze P. e B., rilevando nel contempo la coerenza ed attendibilità della testimonianza M. il tutto anche alla luce delle risultanze di cui alla citata sentenza civile (liberamente valutata nel quadro complessivo).

Tale decisione, oltre che conforme al principio sopra richiamato, risulta congruamente motivata e resiste alle censure della ricorrente incidentale concernenti la valutazione delle risultanze probatorie sugli addebiti mossi al C..

Con il quinto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. la società lamenta omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni avanzata "in relazione agli episodi oggetto degli addebiti contestati", ribadendo la sussistenza degli stessi e, comunque, rilevando la necessità di una pronuncia al riguardo, anche nell’ipotesi di riconoscimento della illegittimità del licenziamento.

Il motivo è infondato in quanto la Corte di merito, rigettando le relative censure della società, ha confermato la decisione di primo grado in ordine alla mancata prova della sussistenza degli addebiti contestati al C., così chiaramente confermando, tra l’altro (vedi dispositivo: "…in parziale riforma della sentenza gravata che nel resto conferma… "), anche il rigetto della domanda riconvenzionale risarcitoria avanzata dalla società sul presupposto proprio della sussistenza dei detti addebiti.

La sentenza impugnata non è incorsa, quindi, nel vizio denunciato.

Con il sesto motivo la società lamenta la omessa pronuncia sulla domanda restitutoria concernente gli importi erogati al C. a titolo di straordinario.

In realtà tale domanda è stata implicitamente respinta dalla Corte d’Appello, che sul punto ha negato il diritto del C. ad un compenso ulteriore, rispetto a quello già erogato al detto titolo dalla società, valutando complessivamente la sua posizione.

Del resto al riguardo la ricorrente incidentale neppure censura la impugnata sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione.

Infine con il settimo motivo la società, denuncia omessa pronuncia in ordine all’eccezione di prescrizione, ritualmente avanzata in primo grado e riproposta in appello, deducendo che la Corte di merito, pur ritenendo insussistenti i crediti retributivi relativi allo straordinario e alle festività abolite (e alla conseguente quota di TFR), avrebbe dovuto comunque statuire circa la fondatezza o meno della detta eccezione.

Il motivo è infondato in quanto la Corte d’Appello, in sostanza, legittimamente ha ritenuta assorbita la eccezione di prescrizione riguardante i detti crediti, una volta accertata la insussistenza dei crediti stessi.

In conclusione entrambi i ricorsi vanno respinti e, in ragione della reciproca soccombenza, le spese vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta e compensa le spese.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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