Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1392 Azioni a difesa della proprietà rivendicazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.F., con atto di citazione del 18 marzo 1993, convocava in giudizio davanti al Tribunale di Udine, S.N. e il di lui genitore S.A., per ivi sentire dichiarare la titolarità esclusiva del suo diritto di proprietà sul fondo distinto al foglio 1 mappale 129 del NCT, e l’ordine consequenziale di rettificazione dei dati catastali. Chiedeva, altresì, di accertarsi su tale fondo l’esistenza di una servitù di passaggio a favore dei convenuti, da esercitarsi con le modalità descritte nel contratto di divisione del 26 novembre 1911.

Si costituivano i convenuti, osservando che l’attrice esperiva un’azione di rivendica ed una azione di negatoria servitutis. Tutta la domanda e la narrativa i di citazione si fonda su un contratto di divisione e su un’interpretazione dei dati catastali. Epperò, specificavano i convenuti di non conoscere quel contratto divisionale nè appariva che lo stesso fosse stato trascritto e quindi non potevano essere opposte le relative pattuizioni. In via riconvenzionale chiedevano che venisse ordinato all’attrice di rimuovere completamente i pozzetti e le aiuole costruite sul mappale n. 129.

Il Tribunale di Udine, con sentenza n. 1018 del 2001, respingeva la domanda attrice.

Avverso tale sentenza, interponeva appello S.F., resistevano i convenuti, i quali, con appello incidentale, chiedevano l’accoglimento della domanda riconvenzionale, considerato che, accolta in motivazione, non era stata statuita nel dispositivo.

La Corte di Appello di Trieste, con sentenza n. 341 del 2005, respingeva l’appello principale e l’appello incidentale e per l’effetto confermava la sentenza impugnata, sia pure con diversa e altra motivazione.

A sostegno di questa decisione la Corte triestina osservava: a) che l’attrice non aveva dimostrato il suo diritto di proprietà esclusiva sul fondo oggetto di causa perchè non aveva dato prova di un suo acquisto per usucapione, nè l’atto di divisione del 1911 integrava gli estremi di un acquisto a titolo originario, b) la domanda riconvenzionale relativa all’eliminazione dei pozzetti e delle fioriere andava respinta perchè proposta tardivamente e, comunque, priva di causa petendi.

La cassazione della sentenza n. 341 del 2005 della Corte d’Appello di Trieste è stata chiesta a S.F. in G. con ricorso affidato a tre motivi.

S.N., regolarmente intimato, in questa fase non ha svolto alcuna attività processuale.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo S.F. lamenta – come da rubrica – la violazione degli artt. 329 e 346 c.p.c. e art. 2909 cod. civ., violazione di legge contraddittoria, errata motivazione sul punto decisivo "giudicato interno" inesistenza. Avrebbe errato la Corte triestina, secondo la ricorrente, nell’aver ritenuto che la valutazione delle prove in modo sfavorevole ad una rei vendicatio ex art. 948 c.c. costituirebbe "giudicato interno". Epperò l’appellante S.F. avrebbe appellato proprio la domanda principale relativa al diritto di proprietà dell’immobile in esame. A bene vedere, specifica la ricorrente – la sentenza impugnata confonde il concetto di "valutazione della prove" la "probatio diabolica" con l’istituto del giudicato interno, erroneamente, ritenendo che una domanda non accolta vada a costituire sic et simpliciter "giudicato interno", sebbene la sentenza valga sul punto e sul capo espressamente appellata. Va ribadito – scrive ancora la ricorrente -, che l’assunto del giudicato interno è infondato poichè non è affatto vero che l’appellante S.F. non avrebbe appellato la sentenza sul punto proprietà. Basti ricordare che lo stesso giudice precisava che l’appello consisteva proprio nella censura della valutazione della prova da parte del Tribunale di Udine dove ha ritenuto non provato il titolo di una serie ininterrotta di (Ndr:

testo originale non comprensibile), ovvero, da un possesso per il tempo necessario a maturarsi (Ndr: testo originale non comprensibile).

1.1.- La censura è infondata e non può essere accolta perchè la sentenza impugnata non afferma quanto la ricorrente ha invece ritenuto affermasse e, pertanto, non contiene i vizi denunciati.

1.1.a).- Si legge nella sentenza della Corte triestina che la domanda principale consisteva in una domanda di rivendicazione della proprietà, così come è stato valutato dal primo giudice con una statuizione non appellata e, dunque, non più discutibile, nè modificabile. La Corte triestina, pertanto, si è limitata – ma avrebbe potuto non farlo – a specificare – che l’identità dell’azione era ormai certa: la domanda proposta dall’attrice S.F. non era una domanda di accertamento, come la stessa sembrava avesse indicato con l’atto di citazione, ma, una vera e propria domanda di rivendica.

1.1.a.1.) In verità, la specificazione della Corte triestina ha un indiscutibile valore di chiarezza tenuto conto che l’azione di accertamento della proprietà è distinta dall’azione di rivendicazione, la cui funzione è, principalmente, di condanna alla restituzione del bene: ha, cioè, una funzione recuperativa; mentre l’azione di rivendicazione ha il carattere della realità, in quanto si rivolge a qualunque terzo che abbia acquistato il possesso del bene al di fuori del precedente rapporto del proprietario dello stesso.

2.- Il ricorrente lamenta ancora: A) con il secondo motivo: la violazione degli artt. 2106 e 2135 cod. civ. del 1865, errata interpretazione dell’art. 1158 cod. civ.. Secondo la ricorrente, la Corte triestina avrebbe errato nell’aver negato diritto domenicale in capo all’attrice ricorrente, sul presupposto che "un atto di divisione non è certo un acquisto a titolo originario", epperò avrebbe trascurato di considerare che l’atto divisionale "è certamente un acquisto per atto tra vivi ex contractu che segna l’inizio del periodo ventennale del possesso ad usucapionem della res assegnata al condividente, preautore mortis causa della ricorrente S.F.". – B) con il terzo motivo: la violazione e l’errata interpretazione dell’art. 1142, in relazione all’art. 1158 cod. civ..

Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Trieste avrebbe dovuto applicare le presunzioni dell’art. 1142, in forza del quale il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si presume che abbia posseduto, anche nel tempo intermedio.

2.1.- Entrambi questi motivi, che vanno esaminati congiuntamente, considerata l’innegabile connessione che esiste tra gli stessi, sono entrambi infondati e non possono essere accolti perchè correttamente la Corte di Trieste ha ritenuto che l’atto di divisione non integrasse gli estremi di un atto di trasferimento e l’attrice, attuale ricorrente, non avesse dimostrato di aver usucapito il fondo iure domini.

2.1.a).- Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, nel giudizio di rivendica di un immobile ai fini della prova della proprietà non è sufficiente un atto di divisione che, per il suo carattere dichiarativo, non ha di per sè forza probante nei confronti dei terzi, del diritto di proprietà attribuito ai condividendi, ma occorre, necessariamente, dimostrare il titolo di acquisto in base al quale il bene è stato attribuito in sede di divisione (Cass. 1 marzo 1979, n. 1511, Cass. 13 aprile 1987, n. 3669).

2.1.b).- A sua volta, per l’avverarsi dell’usucapione sono necessari due elementi essenziali: il possesso della cosa ed il trascorrere di un determinato periodo di tempo. E di più, il possesso per essere rilevante ai fini dell’usucapione deve rispettare alcuni requisiti:

a) dovrà essere "inequivoco", ossia certo ed inidoneo a generare nei terzi il dubbio sull’effettiva intenzione del soggetto di porre in essere un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale; b) dovrà essere pacifico e pubblico, ossia non acquistato in modo violento o clandestino; c) dovrà essere continuo ed ininterrotto nel tempo, d) dovrà avere ad oggetto uno o più beni idonei ad usucapionem.

Ora, nel caso in esame, la ricorrente non ha dimostrato nè un possesso ventennale nè, un possesso uti dominus, anzi – come ha evidenziato la Corte triestina – dalla denuncia di successione emergerebbe un animus possidenti corrispondente ad un compossesso/comproprietà:

In definitiva, il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere al regolamento delle spese perchè l’intimato S.N., in questa fase non ha svolto alcuna attività processuale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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