Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1391 Testamento

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 30-5-1991 L.G., L.A. ed L.A., i primi due fratelli ed il terzo nipote (figlio del fratello L.V. premorto) di L.A., convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Agrigento N.T. disconoscendo la scheda testamentaria redatta dalla predetta L.A. il 6-1-1991 (pubblicata il 20-3-1991) con la quale era stata istituita erede universale la suddetta N.T., e chiedendo altresì, conseguentemente, riconoscersi la loro qualità di eredi.

A sostegno della propria domanda gli attori in particolare, disconoscendo il testamento, aggiungevano che peraltro la suddetta disposizione testamentaria era frutto di un abuso dello stato di infermità e di deficienza psichica della testatrice, e che pertanto il testamento medesimo non era stato scritto in condizioni di libertà e per intero da L.A..

La N. costituendosi in giudizio chiedeva il rigetto della domanda previa integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri aventi diritto all’eredità e, in via riconvenzionale, la condanna di L.G. alla restituzione della somma di lire 15.000.000 pari alla metà della somma prelevata dal predetto il giorno dopo il decesso della sorella da un libretto cointestato alla "de cuius".

Intervenivano quindi volontariamente nel giudizio L. G., L.R., M.A. e M. M., la prima quale sorella della "de cuius" e gli altri quali nipoti (figli di fratelli premorti), chiedendo accogliersi le domande attrici e, conseguentemente, riconoscersi anche la loro qualità di eredi.

Il Tribunale adito con sentenza del 28-1-1993 dichiarava aperta la successione legittima di L.A. e dichiarava suoi eredi legittimi L.G., L.A., L. A., L.G., L.R., M. A. e M.M..

Proposto gravame da parte della N., resistevano in giudizio L.G., L.A., L.A., L.G., L.R., M.A. e M.M..

Con ordinanza collegiale del 18-6-2004 veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di P.C. e di V. G., eredi testamentari di L.G.; all’udienza del 2-11-2004 si costituivano poi S.R. ed S. A. quali eredi di L.A.; deceduta V.G., non si costituivano i suoi eredi P.C., P.M.P. e P.C.G..

La Corte di Appello di Palermo con sentenza del 10-10-2005, ritenuto che nel primo grado di giudizio gli attori e gli intervenuti avevano disconosciuto la sottoscrizione del suddetto testamento olografo e che la N. non aveva proposto una rituale istanza di verificazione della predetta scrittura disconosciuta con la conseguenza inefficacia della stessa, ha confermato la sentenza del Tribunale di Agrigento.

Per la cassazione di tale sentenza la N. ha proposto un ricorso articolato in quattro motivi illustrato successivamente da una memoria; il procuratore di M.M., M. A., M.G., L.A., L. R., L.R. ed S.A. ha partecipato alla discussione orale.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando nullità della sentenza e/o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 per irregolare costituzione del rapporto processuale, assume che nella fattispecie risultavano successibili "ex lege" di L.A. i fratelli L.G., L.G. ed L.A., ed i discendenti dei fratelli della "de cuius" ad essa premorti L.R. ed L.A. (discendenti di L.V.), N.T. (discendente di L.G.), e M.M., M.A. e M.R. (discendenti di L.M.T.);

orbene, poichè il rapporto processuale era stato instaurato dagli attori nei confronti dell’esponente nella sola qualità di erede testamentaria di L.A. e considerato che erano poi intervenuti volontariamente in giudizio L.G., L.R., M.A. e M.M., non risultavano evocati in giudizio M.R., come evidenziato esplicitamente dall’appellante nella comparsa conclusionale del 19-3-2003, e la N. nella sua qualità di successibile "ex lege"; pertanto non era stato rispettato il principio secondo cui nelle cause aventi ad oggetto l’impugnazione di un testamento sono parti necessarie, oltre alle persone istituite eredi, anche coloro che succederebbero al "de cuius" per legge, ove l’atto di ultima volontà fosse riconosciuto valido.

La censura è fondata.

In proposito deve rilevarsi che, secondo l’orientamento di questa Corte cui si ritiene di dover aderire, nelle cause aventi ad oggetto l’impugnazione di un testamento sono parti necessarie, oltre alle persone istituite eredi, anche coloro che succederebbero al "de cuius" per legge, ove l’atto di ultima volontà fosse riconosciuto invalido, tenuto conto della unitarietà inscindibile del rapporto dedotto in giudizio, che non potrebbe rimanere contemporaneamente regolato per alcuni dal testamento e per altri dalla legge; pertanto, ove la sentenza sia stata impugnata nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorti necessari, il giudice deve ordinare che il contraddittorio venga esteso ai litisconsorti pretermessi (Cass. 27-4- 2005 n. 8728; Cass. 14-1-2010 n. 474).

Orbene, premesso che, come esposto in precedenza, nel giudizio di primo grado erano intervenuti volontariamente nel processo, tra gli altri, M.A. e M.M. quali nipoti della "de cuius" quanto figli di una sorella premorta, ovvero L. M.T., occorre osservare che la N., dopo aver chiesto dinanzi al Tribunale l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli aventi diritto all’eredità (evidentemente con riferimento alla successione legittima di L.A.), ha ribadito tale necessità nel giudizio di appello, in particolare nella comparsa conclusionale (come risulta dall’esame diretto degli atti consentito a questa Corte dalla natura processuale del vizio denunciato), con specifico riferimento a M.R., anch’esso pacificamente figlio di L.M.T. e quindi erede legittimo di L.A. al pari dei suoi fratelli M.A. e M.M..

Da quanto sopra esposto, del resto, al di là delle deduzioni in proposito svolte dalla N. nei primi due gradi di giudizio, la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei termini sopra enunciati era emersa già nel giudizio di primo grado all’atto dell’intervento volontario nel processo di primo grado di M. A. e di M.M. quali eredi di M.M. T., posto che in quella sede si poneva la questione di rilevare, anche d’ufficio, se vi fossero, oltre ai suddetti intervenienti, altri eredi di quest’ultima.

Con il secondo motivo la ricorrente, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 214, 215 e 216 c.p.c., artt. 606 e 2697 c.c. nonchè omessa o insufficiente motivazione, sostiene che la Corte territoriale ha ritenuto che gli attori e gli intervenienti, nell’impugnare il testamento olografo del 6-1-1991, avessero validamente disconosciuto tale scrittura; in tal modo non è stato considerato che sia gli attori che gli intervenuti non rivestivano, secondo la loro stessa prospettazione, la qualità di eredi di L.A., e neppure quella di chiamati alla eredità, quanto piuttosto quella di meri successibili "ex lege", e che quindi, poichè ai sensi dell’art. 214 c.p.c., comma 2 il disconoscimento della scrittura deve provenire dagli eredi dell’autore della stessa, non può ritenersi legittimato al disconoscimento – in quanto non ancora erede – colui il cui titolo successorio dipenda, quanto all’efficacia, proprio dall’accertamento dell’autenticità del testamento olografo oggetto di contestazione; sotto ulteriore profilo la ricorrente, premesso che il testamento per cui è causa non era stato prodotto dalla convenuta ma dagli stessi attori che, impugnandolo, avevano chiesto che ne venisse accertata la nullità, afferma che la procedura di cui agli artt. 214 e seguenti c.p.c. opera soltanto quando una scrittura privata viene prodotta in giudizio contro una parte del processo risolvendosi in una eccezione in senso proprio, cosicchè, quando la scrittura privata venga prodotta dalla stessa parte cui risulterebbe apparentemente riferibile, la contestazione in tal caso si risolve non già in una eccezione in senso proprio, quanto in una richiesta di accertamento della falsità della scrittura prodotta.

Infine la ricorrente rileva che, atteso che gli attori avevano richiesto in via principale, l’accertamento della nullità del testamento, il fatto negativo della provenienza del testamento olografo dalla "de cuius", costituendo il fatto costitutivo della pretesa attorea, avrebbe dovuto essere provato ai sensi dell’art. 2697 c.c. dagli attori e dagli intervenuti.

Con il terzo motivo la N., denunciando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 214 c.p.c. e motivazione inadeguata e contraddittoria, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la sussistenza di un valido disconoscimento del testamento "de quo" ad opera degli attori e degli intervenuti.

La ricorrente sotto un primo profilo rileva che sia nell’atto di citazione che nella comparsa di intervento del 27-2-1992 gli attori e gli intervenienti avevano dichiarato di impugnare e disconoscere il suddetto testamento con una mera formula di stile e con dichiarazione contraddittoria ed equivoca: "impugnano e disconoscono il suindicato testamento olografo"; inoltre, considerato che le controparti avevano dedotto "abuso dello stato di deficienza psichica e l’assenza di scrittura della testatrice in condizioni di libertà e per intero", osserva che il giudice di appello inadeguatamente ed irrazionalmente ha ritenuto che l’allegazione in via cumulativa (e non alternativa) di fatti tra loro incompatibili (non riferibilità della scrittura e della sottoscrizione alla testatrice e loro riferibilità) risulterebbe irrilevante dal punto di vista giuridico e tale da non inficiare l’efficacia della dichiarazione di disconoscimento.

Con il quarto motivo la N., deducendo violazione e/o falsa applicazione degli artt. 216, 116 e 156 c.p.c. nonchè insufficiente motivazione, censura la sentenza per aver ritenuto l’irritualità dell’istanza di verificazione proposta dall’esponente con l’atto di appello per non aver proposto alcun mezzo di prova – tale non potendo essere di per sè essere configurata la richiesta di CTU – e per non aver neppure indicato le scritture che avrebbero potuto servire da comparazione.

La ricorrente afferma anzitutto che la perizia grafologica, pur non costituendo la prova esclusiva e primaria dell’autografia, è certamente il mezzo di prova più adatto alle peculiari esigenze di indagine richieste in tema di verificazione di scritture private.

La N. inoltre fa presente che l’istanza di verificazione, se proposta in via incidentale, non necessita di forme particolari e non necessita di essere accompagnata contestualmente dalla proposizione di mezzi di prova, ben potendo questi ultimi essere formulati o acquisiti in un momento successivo.

La ricorrente poi evidenzia che la Corte territoriale ha omesso di considerare che nel giudizio di appello l’esponente aveva prodotto scritture private pacificamente riferibili alla "de cuius" analiticamente indicate nel ricorso.

I motivi secondo, terzo e quarto restano assorbiti all’esito dell’accoglimento del primo motivo di ricorso.

In definitiva quindi a seguito della mancata partecipazione al giudizio del litisconsorte necessario M.R. occorre dichiarare la nullità dell’intero procedimento e rinviare la causa al Tribunale di Agrigento quale giudice di primo grado ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3.

Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alle ragioni della decisione, per compensare interamente tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, dichiara la nullità dell’intero procedimento, rinvia la causa al Tribunale di Agrigento e dichiara interamente compensate tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2012

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