Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-09-2011) 23-09-2011, n. 34531 Custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 24 gennaio 2011 la Corte di Assise di Cosenza rigettava la richiesta di scarcerazione presentata da B.M. avverso l’ordinanza del 20.01.2011 con cui detta Corte, a seguito della revoca dell’ordine di esecuzione disposta nei suoi confronti dopo la rimessione in termini ex art. 175 c.p.p. statuita dalla Suprema Corte il 17.01.2011 per l’impugnazione della condanna irrevocabile alla pena dell’ergastolo inflitta al B. per associazione mafiosa, omicidio e altro. Pronunciando sull’appello ex art. 310 c.p.p. proposto dallo stesso, il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 18.03.2011, dichiarava cessata la misura della custodia carceraria e applicava al B., ai sensi dell’art. 307 cod. proc. pen., comma 1 bis, le misure congiunte del divieto di espatrio, dell’obbligo di dimora e dell’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. Riteneva in particolare il Tribunale che, ai fini del calcolo dei termini massimi di custodia cautelare, doveva tenersi conto anche del periodo di carcerazione, ammontante a circa dieci anni, subito dall’imputato per il titolo di espiazione posto nel nulla dalla Corte di cassazione.

Avverso l’ordinanza del Tribunale propongono ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catanzaro e il B.. Il P.G. deduce che nella specie non può trovare applicazione analogica la regola dell’art. 657 c.p.p., con conseguente impossibilità di tener conto, ai fini del calcolo dei termini massimi di custodia cautelare, anche del periodo di carcerazione, ammontante a circa dieci anni, subito dall’imputato per il titolo di espiazione posto nel nulla dalla Corte di cassazione, e che, facendo corretta applicazione delle norme di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p., i termini massimi di fase non possono considerarsi superati.

Il B. lamenta che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che l’art. 307 cod. proc. pen., comma 1 bis, stabilisca un automatismo ed un esonero motivazionale specifico in ordine alla adeguatezza e proporzionalità delle singole misure applicate, in ragione della gravità dei titoli di reato contestati, sicchè il giudice non dovrebbe spendere specifiche argomentazioni sulla scelta cumulativa adottata; laddove detta applicazione cumulativa resta sempre una facoltà, e non un obbligo, del giudice, che deve quindi essere esercitata con la debita motivazione – del tutto assente nella specie – che dia conto delle ragioni della scelta fra una delle tre e tanto più della scelta cumulativa di due o tre misure.

Più a monte il ricorrente contesta poi che nei casi di cui all’art. 307 cod. proc. pen., comma 1 bis, non sia necessario il presupposto della sussistenza delle ragioni che avevano determinato la custodia intramuraria, di cui al comma 1 dello stesso articolo, che deve invece essere accertato e motivato anche nei detti casi: operazione del tutto omessa dal Tribunale.

Con successiva memoria la difesa del B. ha specificamente contestato la fondatezza del ricorso del P.G..

Motivi della decisione

Il ricorso del P.G. è infondato.

Nella specie, invero, non viene in rilievo la questione dell’applicabilità analogica della regola di cui all’art. 657 c.p.p., comma 2 quanto piuttosto quella della sorte della custodia cautelare carceraria a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna a pena detentiva. Orbene, dalle disposizioni di cui all’art. 656 c.p.p., comma 9, lett. b), e all’art. 657 c.p.p., comma 1 si evince chiaramente che la detta custodia non è automaticamente interrotta dal passaggio in giudicato ma prosegue ininterrottamente fino a confluire e trasformarsi, anche retroattivamente, in detenzione espiativa. Ne consegue che, allorquando, per qualsiasi ragione, anche inerente, come nel caso di specie, ad una caducazione a posteriori del titolo espiativo, l’anzidetta trasformazione non si verifica, il protrarsi dello stato detentivo conserva necessariamente il suo titolo custodiate, e il relativo periodo non può, quindi, non venire computato ai fini del calcolo dei termini massimi della custodia cautelare. Correttamente, pertanto, il Tribunale ha operato tale computo e ha ritenuto, di conseguenza, (alla stregua dei dati concreti di cui in narrativa) superati i detti termini. Fondato è invece il ricorso del B..

Le questioni da esso poste sono: – se, anche nelle ipotesi di cui all’art. 307 cod. proc. pen., comma 1 bis, debbano sussistere le ragioni che avevano determinato la custodia intramuraria, ovvero se tale presupposto non sia necessario; se, una volta che, per legge o per la risposta positiva al precedente quesito, si debba procedere all’applicazione di misura non custodiale, vi sia un obbligo del giudice di applicare sempre e necessariamente tutte e tre le misure indicate dalla norma ovvero il giudice abbia al riguardo una facoltà di scelta, da motivare adeguatamente. Leggendo le norme di cui all’art. 307 c.p.p., commi 1 e 1 bis in modo letterale e sistematicamente coordinato e alla luce del principio di cui all’art. 13 Cost., comma 2 (secondo il quale qualsiasi restrizione della libertà personale può essere imposta nei soli casi e modi previsti dalla legge e per atto motivato della autorità giudiziaria), non può non concludersi che:

– la verifica della (permanente) sussistenza delle ragioni che avevano determinato la custodia intramuraria va operata e motivata anche nelle ipotesi di cui all’art. 307 c.p.p., comma 1 bis;

– una volta risolta positivamente la verifica suddetta, il giudice non ha l’obbligo di applicare sempre ed in ogni caso cumulativamente le tre misure indicate ma ha solo la facoltà di disporre una simile applicazione, in alternativa alla scelta di applicarne solo due o una sola, dando adeguato conto delle ragioni della scelta della misura adottata, nonchè, nel caso di imposizione di un secondo obbligo o di tutti e tre quelli previsti dalla legge, della indicazione delle ragioni della scelta di queste ulteriori restrizioni.

Considerato che l’ordinanza impugnata ha omesso qualsiasi motivazione sia in ordine alla verifica della (permanente) sussistenza delle ragioni che avevano determinato la custodia intramuraria, sia in ordine alla scelta di applicare tutte e tre le misure indicate nell’art. 307 c.p.p., comma 1 bis, l’ordinanza stessa deve essere annullata con rinvio al giudice di merito, che procederà a operare la verifica suddetta e, in caso di (motivata) soluzione positiva della stessa, a esercitare motivatamente la scelta di applicare una o più delle misure suddette.

P.Q.M.

rigetta il ricorso del P.G..

In accoglimento del ricorso del B., annulla l’ordinanza impugnata in ordine alle misure applicate e rinvia al Tribunale di Catanzaro per nuova deliberazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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