T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 11-10-2011, n. 7856 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione comunale di Poli in data 27 luglio 2006 e depositato il successivo 3 agosto, la ricorrente impugna l’ingiunzione a demolire alcune opere abusive, meglio oltre indicate.

Avverso tale ingiunzione deduce:

1. violazione degli articoli 22, commi 2, 3 e 6 e dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, eccesso di potere erroneo travisamento dei presupposti di diritto e di fatto, carente ed erronea istruttoria, carente ed erronea motivazione con violazione dell’art. 3 e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, illogicità e contraddittorietà e mancanza dell’interesse pubblico; violazione dell’art. 10 lett. B) ed art. 10 bis della legge n. 241/1990 e della legge n. 443/2001.

2. Illegittimità proprie, contraddittorietà del provvedimento, dovuto ad eccesso di potere per assoluta illogicità, violazione dell’art. 1, comma 2, legge 241 del 1990 per aggravamento del procedimento. Violazione dell’intera normativa circa la possibilità dell’attività ingiunta. Violazione e falsa applicazione degli articoli 27 – 33 e 37 del TUE.

Conclude con istanza di risarcimento del danno, la cui quantificazione rimette in via istruttoria ad idonea CTU. Chiede anche l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

Alla Camera di Consiglio del 30 agosto 2006 l’istanza cautelare è stata accolta a termine.

Con memoria per l’udienza la ricorrente rappresenta che alla data odierna il Comune di Poli non si è ancora pronunciato sulla istanza di concessione in sanatoria e produce le testimonianze rese nell’ambito del processo penale per l’abuso edilizio commesso.

Infine il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 5 luglio 2011.

Motivi della decisione

1.Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso l’interessata impugna l’ordinanza con la quale il Comune di Poli le ha ingiunto la demolizione di un "manufatto costituito da struttura metallica con copertura in lamiere coibentate e chiuso su tre lati con lamiere zincate le cui dimensioni di base misurano m. 11,00 x 4,00 ed una altezza di ml. 4,00 oltre alla installazione di una serie di 5 assi in ferro scatolare di altezza di ml. 4,00 in località Schiova al F. 10 part. 169 e 170", senza idoneo titolo abilitativo, in area sottoposta a vincolo idrogeologico e in zona sismica ai sensi della L. n. 64 del 1974.

2.1 La ricorrente, premesso che il figlio, in atto utilizzatore del capannone, ha presentato, in data 7 luglio 2006, domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, per sanare il ridetto manufatto, con la prima censura lamenta che, col provvedimento in esame, del tutto inopinatamente e sulla base di un accertamento neppure completo dello stato di fatto, l’Amministrazione comunale di Poli ha colpito un intervento edilizio, peraltro realizzato molti anni addietro quale ricovero per attrezzi agricoli, in seguito utilizzato a deposito di materiale ed attrezzature inerenti all’attività edilizia, esercitata, appunto, dal figlio. Tale mancata valutazione della situazione di fatto non può che ricadere sul provvedimento che si presenta viziato per difetto dei presupposti. E’ pure mancata la comunicazione di avvio del procedimento. Rappresenta altresì l’interessata che il difetto dei presupposti appare vieppiù evidente, dal momento che sull’intervento in questione era stata presentata una DIA che tuttavia non è stata presa in considerazione dall’Amministrazione comunale. Sulle censure insiste anche con memoria per l’udienza pubblica, rappresentando che il Comune aveva inteso ritenere che il manufatto in questione in realtà fosse una nuova costruzione e che pertanto non si era per nulla pronunciata sulla DIA, pur ritualmente presentata per la manutenzione del detto deposito.

La prospettazione della ricorrente non può essere condivisa.

In punto di fatto, per quanto emerge dalle testimonianze rese nel processo penale per l’abuso edilizio, la ricorrente non è stata in grado di dimostrare la risalenza ante 1967 del manufatto in questione, ed anzi uno dei testimoni ha dichiarato che esso preesisteva almeno dal 1981 e la stessa ricorrente ha dichiarato che, insieme al coniuge, si erano immessi nel suolo ove esso insisteva, come proprietari, soltanto dal 1984.

Ciò stante, nella mancata dimostrazione della risalenza del manufatto ante 1967 epoca in cui l’art. 10 della 6 agosto 1967, n. 765 ha profondamente innovato, in materia di assensi edificatori, al previgente e meno restrittivo sistema di cui all’art. art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, l’ingiunzione a demolire non può essere considerata immotivata. Comunque, anche se la ricorrente fosse riuscita a dimostrare la risalenza del manufatto, ciò non avrebbe precluso l’esercizio del potere repressivo comunale in quanto, come noto, "la realizzazione di un’opera abusiva costituisce comunque un illecito permanente, che si protrae nel tempo e viene meno solo con il cessare della situazione di illiceità, vale a dire con il conseguimento delle prescritte autorizzazioni (Consiglio di Stato, sezione IV, 16 aprile 2010, n. 2160)" (in TAR Lazio, sezione I quater, 6 aprile 2011, n. 3037); con conseguente necessità per il Comune di intervenire al fine di ricondurre a legittimità l’attività edificatoria, anche mediante demolizione.

Nel caso in esame, anche se il figlio della ricorrente ha presentato nel 2005 una DIA per la sostituzione di pali in legno del capannone e della copertura, le superiori osservazioni non consentono di ritenere illegittimamente esercitato il potere sanzionatorio dell’amministrazione, trattandosi di una DIA, che operava su un manufatto sprovvisto ab origine di titolo abilitativo, anche solo autorizzatorio, per l’epoca in cui sarebbe asseritamente stato realizzato.

Quanto poi alla dedotta mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, poiché le ordinanze di demolizione si configurano come provvedimenti vincolati, per esse non sono predicabili utili apporti degli interessati al procedimento (cfr. TAR Umbria, Perugia, 28 ottobre 2010, n. 499), opponibili in sede di risposta alla comunicazione ex art. 7/L. n. 241 (TAR Lazio, sezione I quater, 10 dicembre 2010, n. 36046).

2.2. Con la seconda censura l’interessata fa valere che per il ridetto capannone è stata anche inoltrata domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36/d.P.R. n. 380 e quindi l’Ente avrebbe dovuto prima valutare tale richiesta e poi, semmai, procedere alla rimozione.

L’argomentazione non può essere seguita.

Il Collegio aderisce alla tesi per cui "il procedimento di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001… ha finalità e modalità diverse da quello di condono ai sensi dell’art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326…," (cfr. TAR Lazio, sezione I quater, 11 gennaio 2011, n. 124 e 22 dicembre 2010, n. 38207) sicchè non può trarsi per esso la medesima necessitata conclusione della sospensione del procedimento sanzionatorio, fino all’esito dell’esame della domanda di accertamento di conformità. Questo perché "i presupposti dei due procedimenti di sanatoria – quello di condono edilizio e quello di accertamento di conformità urbanistica – sono non solo diversi ma anche antitetici, atteso che l’uno (condono edilizio) concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale) l’altro (sanatoria ex art. 13 legge 47/85 oggi art. 36 DPR n. 380/2001) l’accertamento ex post della conformità dell’intervento edilizio realizzato senza preventivo titolo abilitativo agli strumenti urbanistici (violazione formale)."(Tar Campania, Napoli, sezione VI, 3 settembre 2010, n. 17282).

3. Con la memoria per l’udienza pubblica parte ricorrente rinuncia alla richiesta di risarcimento del danno formulata in ricorso.

Al riguardo tuttavia è da osservarsi che la pretesa non avrebbe potuto essere accolta, dal momento che essendo formulata unitamente alla impugnativa dell’ordinanza di demolizione, e nell’auspicio del suo accoglimento, poiché ciò, invece, non si è verificato, in base al principio della pregiudiziale amministrativa, anche tale domanda va respinta e con essa il ricorso in ogni sua parte.

4. Non vi è luogo a provvedere sulle spese in assenza di costituzione dell’Amministrazione comunale di Poli.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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