Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1389 Divisione

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Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva del 16 gennaio 2003, il Tribunale di Corno, Sezione distaccata di Cantù, accertò che Q.D., con scrittura privata del 29 dicembre 1972, aveva acquistato dal padre P., oltre la proprietà esclusiva di un appartamento sito al primo piano di un fabbricato composto da due appartamenti in Comune di (OMISSIS) e dell’appezzamento di terreno distinto con il mappale n. 3623/b, anche la proprietà condominiale, in misura corrispondente al valore dell’appartamento stesso, del terreno di cui al mappale originariamente denominato 3623/a, poi contrassegnato 3883, sui quali erano stati successivamente edificati alcuni manufatti; che con atti del 17 novembre 1994 e 1 febbraio 1996 Q.M. aveva acquistato dagli altri coeredi, ad eccezione di Q.D., i loro diritti sul compendio ereditario di Q.P., costituito dalla piena proprietà del piano terra del fabbricato di (OMISSIS) e delle corrispondenti quote sui relativi beni condominiali; dichiarò quindi che, per effetto di tale acquisto, Q.M. era divento titolare della quota ereditaria di 14/15 sui predetti beni, mentre Q.D. era rimasto titolare della quota di 1/15. Con successiva sentenza del 5 agosto 2006, il medesimo giudice dichiarò lo scioglimento della comunione sui beni dell’eredità di Q.P., riconoscendo a Q. M. la proprietà della quota di 14/15 sull’appartamento sito al piano terra e la quota di 13/30 sui beni condominali, tenuto conto della proprietà esclusiva di Q.D. sull’appartamento sito al primo piano e della sua quota di eredità sui restanti beni;

assegnò quindi a Q.D. e a Q.M. i singoli beni secondo il progetto divisionale redatto dal consulente tecnico d’ufficio.

Interposto appello principale da Q.M. e incidentale da Q.D., le relative decisioni vennero confermate dalla Corte di appello di Milano che, con sentenza n. 1313 del 29 aprile 2010, ribadì, per quanto qui interessa, che con l’atto del 1972 il de cuius Q.P. aveva trasferito al figlio D. non solo l’appartamento in proprietà esclusiva ma anche la quota di comproprietà del terreno di cui al mappale originariamente denominato 3623/a, asservito per volontà delle parti a bene comune in favore delle singole unità abitative.

Per la Cassazione di questa decisione, con atto notificato il 13 dicembre 2010, ricorre Q.M., sulla base di due motivi.

Q.D. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto al ricorrente la quota di 13/30, oltre che sui beni comuni, anche sui beni oggetto di cessione da parte degli altri coeredi, in contrasto con l’affermazione che, in forza di tale acquisto, al suddetto ricorrente spettava la quota di 14/15 sul compendio ereditario, finendo così, al pari del primo giudice, col determinare la quota di spettanza di Q.M. in misura diversa se riferita all’appartamento sito al piano terra rispetto a quella relativa a agli altri beni. I giudici di merito hanno quindi anche errato nel non rilevare che con gli atti di cessione delle quote del 1994 e 1996 risultava esplicitamente escluso che i beni oggetto di cessione fossero da considerarsi comuni, limitandosi con motivazione insufficiente a rilevare che la volontà di destinare all’uso comune la porzione di terreno corrispondente era emersa dall’atto di vendita del 1972. Il mezzo appare infondato.

Quanto al vizio di contraddittorietà di motivazione, esso va escluso non ravvisandosi alcuna contraddizione tra la proposizione che ha riconosciuto al ricorrente, per effetto dell’acquisto dei diritti degli altri coeredi, la quota del 14/15 sul compendio ereditario e l’affermazione che, con riferimento ai beni destinati all’uso comune dell’edificio, gli ha riconosciuto invece una quota pari al 13/30.

Tale differenza, infatti, nella sentenza impugnata, trova la sua giustificazione nella considerazione che, al fine della determinazione della quota di proprietà condominiale, i diritti di Q.D. derivavano non solo dalla quota ereditaria di 1/15 a lui spettante, ma iure proprio, anche e soprattutto, dalla sua proprietà esclusiva dell’appartamento del primo piano dello stabile, avendo i giudici di merito correttamente rilevato che la determinazione di tali quote, cadendo su beni condominiali, doveva essere determinata tenendo conto del valore dei singoli appartamenti.

Priva di pregio è anche la critica di difetto di motivazione in ordine alla interpretazione degli atti del 1994 e 1996 di cessione delle quote ereditarie in favore di Q.M.. Sul punto la Corte territoriale è partita dalla premessa che in forza dell’atto di vendita intervenuto tra Q.P. ed il figlio D. nel 1972, il de cuius non aveva conservato la proprietà esclusiva del mappale 3623/a, avendolo asservito all’uso comune dell’edificio e, quindi, anche dell’appartamento acquistato dal figlio, giungendo per tale via alla conclusione, che costituisce anch’essa accertamento di fatto non censurabile in questa sede, che l’indicazione fatta da alcuni degli eredi nell’atto di cessione dei beni ereditar del 1994 e 1996 dell’intera proprietà del mappale 3623/a era frutto di un errore, avendo essi acquistato solo la quota di proprietà condominiale, sicchè i cedenti, iure successionis, non potevano disporre dell’intera proprietà del terreno, aggiungendo, tuttavia, che tale errata indicazione dei beni non aveva determinato la nullità dell’intero atto, ma soltanto delimitato la sua efficacia reale ai diritti effettivamente acquistati dai cedenti. Trattasi di motivazione sufficiente, non contraddittoria ma coerente nella relazione tra presupposti e conclusioni, nonchè adeguatamente argomentata in ragione dei richiami al contenuto degli atti negoziali intercorsi tra le parti. Per contro, deve rilevarsi che la censura con cui il ricorso lamenta un’errata lettura e valutazione da parte del giudice di merito sia degli atti di cessione delle quote, che dell’atto di vendita del 1972, non sembra superare il vaglio di ammissibilità costituito dal rispetto del requisito di autosufficienza, che impone al ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di determinati atti, di riprodurne esattamente il contenuto, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006). Nel caso di specie, in particolare, il ricorso non rispetta il suddetto principio di autosufficienza, in quanto omette completamente di riprodurre il testo degli atti negoziali sopra richiamati, che assume essere stati mal valutati dal giudice territoriale, mancanza che impedisce al Collegio qualsiasi valutazione sul punto. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 726, 727, 728, 1117 e 1118 cod. civ., assumendo che la mancata considerazione degli atti di cessione delle quote stipulati nel 1994 e 1996 ha comportato anche la violazione delle regole che sovraintendono, in sede di scioglimento della comunione, la formazione delle porzioni di beni da assegnare ai condividendi, secondo un criterio di proporzionalità con la quota posseduta. La Corte di merito ha altresì violato le norme che disciplinano le parti comuni dell’edificio, considerando parti comuni anche quei beni, indicati negli atti di cessione delle quote, che in realtà non lo erano.

Il motivo è infondato.

La prima censura, che concerne la violazione del criterio di proporzionalità della quota rispetto ai beni assegnati, va invero considerata assorbita in ragione del rigetto del primo motivo. La conferma della decisione impugnata in ordine alla determinazione delle quote spettanti ai condividendi porta infatti ad escludere la violazione lamentata con la doglianza in esame, prospettata del resto dallo stesso ricorrente come mera conseguenza dell’errore denunziato con il primo motivo.

La secondo censura, che denunzia la violazione delle regole sull’appartenenza alla proprietà condominiale del terreno di cui si discute, è invece infondata, avendo la Corte distrettuale ritenuto che tale qualità del bene fosse stata impressa dall’atto di vendita del 1972, con cui il de cuius aveva venduto uno dei due appartamenti dell’edificio al figlio D., avendo in tale atto i contraenti manifestato la comune volontà di destinare il terreno de quo a bene comune a beneficio delle porzioni di proprietà individuale dell’edificio, conferendogli in tal modo i caratteri della condominialità. Tale conclusione non viola la disposizione di cui all’art. 1117 cod. civ., la quale indica i beni che debbono ritenersi oggetto di proprietà comune dei singoli condomini, atteso che tale elencazione, per giurisprudenza costante di questa Corte, non è tassativa (Cass. n. 17993 del 2010; Cass. n. 4787 del 2007), con l’effetto che non solo la qualità condominiale di un bene può essere esclusa da un titolo diverso, ma anche che i partecipanti al condominio possono liberamente stabilire, come avvenuto nel caso di specie al momento della sua costituzione, che un bene, di per sè non compreso nell’elenco, sia asservito all’uso comune, acquistando per l’effetto tale qualità.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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