Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1388 Opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La s.n.c. F.lli Cornedda Antonio e Felice & Mameli Silvestro propose opposizione al decreto ingiuntivo che le intimava di pagare in favore di M.R., titolare dell’omonima ditta, la somma di Euro 2.582,28 a titolo di restituzione della cauzione da questi versata al momento della sottoscrizione dell’ordine di una fornitura di infissi, deducendo che, contrariamente a quanto dedotto dall’ingiungente, la prestazione, sia pure in parte, era stata eseguita, sicchè dalla somma richiesta avrebbe dovuto comunque detrarsi il corrispettivo della merce fornita.

Il giudice di pace di Cagliari accolse l’opposizione e, revocato il decreto ingiuntivo, condannò la società intimata al pagamento del minor importo di Euro 398,32, quantificando il valore della merce ricevuta dal convenuto in Euro 2.192,96.

Interposto gravame da parte del M., con sentenza n. 45 dell’11 gennaio 2006 il Tribunale di Cagliari confermò la decisione impugnata, reputando corretta, in difetto di una diversa qualificazione giuridica avanzata dall’appellante ed in assenza di domande di risoluzione o di recesso dal contratto, l’affermazione del giudice di pace che aveva sostanzialmente qualificato la cauzione versata al momento del contratto ed oggetto della domanda di restituzione come mero anticipo sul prezzo complessivo della fornitura, con la conseguente detraibilità da tale importo del corrispettivo relativo ai beni effettivamente consegnati.

Per la cassazione di questa decisione, notificata l’8 febbraio 2006, con atto notificato il 4 aprile 2006, ricorre M.R., affidandosi a tre motivi. La società intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1181, 1218, 1453, 1455 e 1458 cod. civ., lamentando che i giudici di merito non abbiano valutato, nel decidere la controversia, il grave inadempimento della ditta fornitrice, che aveva eseguito solo in parte la propria prestazione, sicchè sussistevano tutti i requisiti ed i presupposti anche di fatto per dichiarare risolto il contratto per inadempimento e disporre l’integrale restituzione dell’importo versato dal ricorrente a titolo di cauzione.

Il motivo è infondato.

Vero che la giurisprudenza di questa Corte ammette, in via di principio, che la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo implicitamente essere contenuta in altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione (Cass. n. 21230 del 2009; Cass. n. 7518 del 1992);

rimane tuttavia il dubbio se una tale valutazione possa operarsi anche laddove la parte non inadempiente si avvalga della procedura monitoria, scelta che di per sè potrebbe portare ad escludere la proposizione di una richiesta implicita di risoluzione, esulando una tale pretesa dalle possibilità di tutela previste dalla legge attraverso la procedura per decreto ingiuntivo (art. 633 e seguenti cod. proc. civ.).

A prescindere da tale ultima questione, va però osservato che l’orientamento giurisprudenziale sopra richiamato non appare giovare al ricorrente nel caso di specie, una volta tenuto conto che il giudice di merito ha accertato, in fatto, che parte della prestazione era stata eseguita e che essa era stata accettata ed utilizzata dal committente. Tale conclusione è contestata dal ricorso, che assume che il M. aveva contestato e rifiutato l’adempimento parziale posto in essere dalla controparte. Sul punto, però, la contestazione appare non solo nuova, non trovandosi di essa traccia negli atti di causa, ma anche generica, non indicando il ricorrente alcun elemento di fatto idoneo a contrastare l’affermazione del giudice della sentenza impugnata secondo cui parte dei beni commissionati (nella specie 21 controcasse dei telai e una finestra circolare) erano stati montati e quindi utilizzati dal committente, che li aveva in tal modo accettati. Ne deriva che la pronuncia di risoluzione, anche se fosse stata adottata, avrebbe avuto effetto solo per la parte della prestazione non eseguita, lasciando in vita il contratto e quindi il diritto di credito della società fornitrice per i beni effettivamente consegnati.

Ai sensi dell’art. 1458 c.c., comma 1, la risoluzione del contratto per inadempimento, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, non si estende infatti alle prestazioni già eseguite.

Questa disposizione, per quanto esplicitamente dettata per i contratti di durata, esprime invero un principio applicabile in tutti i casi in cui la prestazione frazionata corrisponde ad un interesse del creditore, il quale utilizzando ed accettando parte della prestazione dimostra che essa ha comunque soddisfatto, sia pure in parte, il proprio interesse contrattuale all’adempimento. Non se ne può quindi prescindere nel caso di specie, in cui le parti avevano stipulato un contratto che, sulla base degli elementi di fatto risultanti dalla sentenza e dallo stesso ricorso, prevedeva la consegna frazionata di beni singolarmente utilizzabili.

La eventuale pronuncia di risoluzione non avrebbe pertanto investito la parte della prestazione già eseguita e non avrebbe pertanto fatto venir meno il credito della società fornitrice al pagamento dei beni consegnati. L’adempimento parziale della prestazione, se non rifiutato dal creditore, comporta infatti la riduzione del credito in misura corrispondente. La pronuncia del giudice a quo che, nel confermare la decisione di primo grado, ha ribadito la condanna alla restituzione dell’importo richiesto decurtato del corrispettivo stabilito per i beni effettivamente consegnati si sottrae pertanto ai vizi di violazione di legge denunziati, rimando tale statuizione insensibile all’esame della eventuale implicita domanda di risoluzione del contratto per inadempimento. Il secondo motivo denunzia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 cod. proc. civ., assumendo che, pur in difetto di qualificazione giuridica della cauzione da parte del ricorrente, il giudice di merito, esercitando i propri poteri doveri di qualificazione della fattispecie e di individuazione della norma giuridica applicabile, avrebbe dovuto provvedervi di ufficio, senza aderire acriticamente alla prospettazione della controparte.

Il motivo è infondato.

La censura muove dal rilievo che il giudice di merito non abbia qualificato in alcun modo la somma consegnata dal committente al momento della conclusione del contratto, che genericamente la indicava con il termine cauzione, ma l’assunto trova diretta smentita dalla lettura della sentenza impugnata, da cui chiaramente emerge il giudice di appello ha qualificato tale importo come acconto sul prezzo.

Il terzo motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che il giudice di appello si sia palesemente contraddetto laddove dapprima ha affermato che il primo giudice non aveva proceduto a qualificare giuridicamente la cauzione e poi ha dedotto che l’aveva considerata come acconto sul prezzo ed ha, con motivazione insufficiente, rigettato la contestazione dell’appellante in ordine alla fornitura della finestra circolare, in realtà mai ordinata.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Inammissibile, in particolare, è la prima censura, atteso che la questione se il primo giudice abbia o meno qualificato giuridicamente l’importo oggetto della domanda di restituzione è del tutto irrilevante, avendo comunque il giudice di appello provveduto ad identificarlo come acconto sul prezzo.

La seconda censura è invece infondata, avendo il Tribunale adeguatamente giustificato il proprio convincimento in ordine debenza del prezzo della finestra circolare richiamando le dichiarazioni rese dallo stesso M. in sede di interrogatorio formale e le deposizioni dei testi, che avevano riferito che tale finestra era stata consegnata e montata, ricavando da tale circostanza la conclusione della sua accettazione da parte del committente.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese di giudizio, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *