Cass. civ. Sez. II, Sent., 31-01-2012, n. 1386 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 28-5-1997 ed il 7-7-1997 T.G., proprietario di una unità immobiliare ricompresa nel Condominio (OMISSIS), assumeva che in data 17-8-1996 l’assemblea condominiale aveva deliberato di autorizzare i condomino D.L.G. a realizzare una vetrata antistante la porta di ingresso del suo appartamento ed una veranda su di un balcone.

Il T. conveniva pertanto in giudizio davanti al Tribunale di Roma il suddetto Condominio ed il D.L. chiedendo dichiararsi nulla, o annullarsi o comunque dichiararsi inefficace la suddetta delibera e condannarsi quest’ultimo alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, eliminando quanto alterante il decoro dello stabile.

Si costituiva in giudizio il solo D.L. che contestava la domanda, deducendo la validità dell’impugnata delibera e la legittimità delle opere eseguite non già su suolo condominiale, ma su proprietà privata.

Il Tribunale adito con sentenza del 9-6-1999 rigettava la domanda attrice rilevando la tardività dell’impugnazione, posto che il vizio della delibera dedotto comportava la mera annullabilità della stessa, e che per altro verso non sussistevano gli estremi della lesione al decoro del fabbricato.

Proposto gravame da parte del T. cui resisteva soltanto il D.L. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 27-4-2005 ha rigettato l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza il T. ha proposto un ricorso basato su di un unico articolato motivo cui il D.L. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo articolato il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1102-1122-1135 e 1137 c.c. nonchè vizio di motivazione, rileva anzitutto che il giudice di appello, se da un lato ha riconosciuto la nullità delle delibere condominiali che incidono su diritti individuali inviolabili per legge, dall’altro ha dimenticato che tra questi è sicuramente annoverato il diritto di proprietà, nel cui oggetto rientrano anche le parti comuni dell’edificio condominiale.

Il T. a tal fine evidenzia che con il primo motivo di appello egli aveva denunciato la violazione degli artt. 1102 e 1122 c.c. ed in particolare la lesione della parti comuni per effetto delle opere eseguite dal D.L., sia che si trattasse di lesione dell’aspetto architettonico sia che si trattasse di lesione del decoro architettonico (come in effetti era avvenuto); ed invero una delibera che autorizzi la costruzione di un manufatto che deturpi in generale l’estetica del fabbricato si configura come lesiva del diritto di proprietà, incidendo sul valore dell’immobile di proprietà esclusiva dell’esponente facente parte dell’edificio sfregiato; ebbene la Corte territoriale, soffermandosi sulla violazione dell’art. 4 del regolamento condominiale, ha completamento omesso di esaminare l’eccepita violazione dell’art. 1122 c.c. e non ha tenuto conto degli accertamenti compiuti dal CTU in ordine al deturpamento dell’estetica del fabbricato ed al pericolo causato dalla inversione dell’apertura della porta di accesso ai contatori, resa necessaria dalla realizzazione della veranda.

La censura è infondata.

La Corte territoriale, esaminando congiuntamente i due motivi di appello formulati dal T., ha evidenziato che sulla base della espletata CTU le opere poste in essere dal condomino D. L. interessavano la porzione di sua esclusiva proprietà non invadendo parti comuni; ha poi aggiunto che l’appellante aveva comunque dedotto la nullità della delibera impugnata per violazione dell’art. 4 del regolamento di condominio sottolineando che non era stata proposta "un’azione tesa alla valutazione o meno del decoro architettonico, ma un’azione tesa al ripristino dell’aspetto del fabbricato, tutelato dal regolamento"; il giudice di appello al riguardo ha osservato che le delibere condominiali sono nulle soltanto se hanno un oggetto impossibile o illecito, ovvero che non rientra nell’ambito delle competenze dell’assemblea, o se incidono su diritti individuali inviolabili per legge, mentre sono annullabili mediante impugnazione nel termine previsto dall’art. 1137 c.c. le altre delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ed ha concluso che nella fattispecie la delibera impugnata esulava da quelle da ritenere nulle in base ai criteri sopra richiamati, e che, qualora essa fosse stata ritenuta contraria al regolamento di condominio, avrebbe dovuto essere considerata annullabile, e quindi soggetta all’osservanza del suddetto termine, nella specie non rispettato.

Orbene in presenza di tali argomentazioni i rilievi sollevati dal ricorrente con il motivo in esame sono destituiti di fondamento;

invero, premesso che non risulta censurata la statuizione della sentenza impugnata in ordine alla inammissibilità della questione relativa alla violazione dell’art. 4 del regolamento condominiale per la ragione sopra esposta, deve rilevarsi che, contrariamente all’assunto del T., la Corte territoriale, dando atto tra l’altro della avvenuta denuncia da parte dell’appellante anche dell’art. 1122 c.c., ha ritenuto peraltro che le opere poste in essere dal D.L. non avevano comportato alcun pregiudizio per le parti comuni dell’edificio, con un accertamento di fatto sorretto da logica e sufficiente motivazione, come tale incensurabile in questa sede; a) riguardo invero l’art. 1122 c.c. vieta al condomino di eseguire, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, soltanto quelle opere che elidano o riducano in modo appezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune (Cass. 28-5-2007 n. 12491) o che possano danneggiare le parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune (Cass. 29-4-2005 n. 8883), evenienze nella specie escluse.

E’ poi appena il caso di evidenziare l’inammissibilità del profilo di censura relativo alla prospettata situazione di pericolo causata dalla inversione dell’apertura della porta di accesso ai contatori, resa necessaria dalla realizzazione da parte del D.L. della veranda; invero, poichè la questione dedotta, che implica un accertamento di fatto, non risulta trattata dalla sentenza impugnata, il ricorrente, al fine di evitare una sanzione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere – in realtà non assolto – non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo avesse fatto, per dar modo a questa Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e 1800,00 per onorari di avvocato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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